2022-03-30
Il prossimo choc sarà sul gasolio. A maggio si rischiano dei prezzi impazziti
Le scelte ecologiche improvvisate e i lockdown hanno ridotto le scorte. Ora la guerra potrebbe generare una crisi globale.Non solo gas e carbone: la fragilità energetica dell’Europa si misura anche sul gasolio. Per i distillati petroliferi il 2021 si è chiuso a livello mondiale con un deficit di offerta del 3%. Ciò significa che si stanno consumando riserve, che infatti in Europa, Asia e Stati Uniti sono ai minimi da oltre un decennio. Probabilmente, il deficit di offerta quest’anno peggiorerà e secondo alcune stime potrebbe salire al 10%. Una situazione difficile che viene a manifestarsi in un momento già assai delicato per l’Europa, alle prese con un sistema energetico non distante dal collasso.L’attuale situazione di carenza discende da circostanze lontane e diverse. Intanto, come è noto, i maggiori produttori di petrolio mondiali, tra cui la Russia, fanno parte dell’Opec+, un cartello che decide le politiche dell’offerta di greggio in maniera unitaria, evitando la concorrenza interna. A tale distorsione del mercato si è aggiunta negli ultimi anni la scelta politica occidentale del Green deal, una grande e improvvisata operazione di salto verso le tecnologie rinnovabili di cui non è stata fatta una adeguata analisi di impatto. Il risultato è che progressivamente hanno rallentato gli investimenti «old economy» sia per la ricerca di idrocarburi che per le manutenzioni degli impianti esistenti, compresi quelli di raffinazione. L’Europa in particolare ha perso nel decennio 2010-2020 il 16% della propria produzione di raffinati. La finanza mondiale ha poi voluto aggiungere al quadro la primazia degli asset Esg (Environmental, social and governance, ossia le istanze ambientali, sociali e di governance), che ha spostato violentemente il mercato dei capitali verso gli asset genericamente «sostenibili». Un’allocazione dei capitali di rischio imposta in via autoritativa, non secondo i fondamentali economico finanziari che ancora vedrebbero abbondanti ritorni nei settori tradizionali, può portare, come in effetti ha portato, a distorsioni del mercato.Infine, i lockdown pandemici mondiali hanno provocato pesanti stop and go nella produzione di greggi e nella raffinazione, con conseguenti ritardi dell’offerta rispetto alla domanda. Quest’ultima non accenna a diminuire, ed anzi è tornata ai livelli pre-Covid (100 milioni di barili al giorno).L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si innesta quindi su una situazione già gravemente squilibrata. Per quanto riguarda l’Europa, il gasolio proveniente dalla Russia rappresenta il 50% delle importazioni e il 15% del consumo finale europeo. L’Italia, per una volta, è meno esposta rispetto al resto d’Europa: nel 2021 le raffinerie italiane hanno prodotto circa 29 mlnT di gasolio, mentre il Paese ne ha consumato circa 26 mlnT (autotrazione, riscaldamento e agricolo) e il saldo import/export si è chiuso a +3 mlnT. Per quanto riguarda il greggio, invece, le importazioni italiane nel 2021 hanno raggiunto i 57 milioni di tonnellate (+13.2% rispetto al 2020) e dalla Russia sono arrivati tre tipi di greggio: l’Urals (3,35 mlnT), il Varandej (1,37 mlnT) e l’Arctic (0,7 mln T). Il totale di greggio importato dalla Russia è stato dunque di 5,42 mlnT, il 9,5%. Le sanzioni alla Russia e le relative contro-sanzioni vanno a colpire l’offerta, riducendola ulteriormente. Dal 24 febbraio, giorno dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina, il prezzo sul mercato mediterraneo del gasolio Cif Med 10ppm è cresciuto sino a superare i 1.100 euro/.000 litri, cioè da due a tre volte il prezzo medio registrato negli ultimi cinque anni. In Italia oggi il prezzo del diesel alla pompa può essere, localmente, più alto di quello della benzina, perché il differenziale tra i costi della materia prima è superiore anche al vantaggio dato dall’accisa agevolata del diesel. Le chiusure del mercato Mediterraneo all’ingrosso del 25 marzo vedevano il Diesel 10ppm a 958,63 €/.000 litri e la benzina 10ppm a 762,70 €/.000 litri.Lo squilibrio dell’offerta rispetto alla domanda si rileva anche dalla situazione di accentuata backwardation delle quotazioni dei futures, con le consegne a breve molto più costose di quelle a lungo termine. In questo contesto, qualche operatore sta accumulando scorte, accentuando così la situazione di «corto» del mercato a pronti. Un paio di settimane fa Shell e Bp non avrebbero offerto quantitativi all’ingrosso sul mercato tedesco, nel tentativo di recuperare un po’ di riserve.Se è vero che il prezzo alto di un bene ne segnala la scarsità, nel caso specifico il rimedio a tale condizione può essere dato da una combinazione di tre fattori: 1 il raffreddamento della domanda, dunque un sostanziale calo dei consumi; 2 il rapido aumento della capacità di raffinazione, tale da recuperare il gap sulle scorte; 3 il dirottamento dei quantitativi russi su altri mercati, in modo da soddisfare comunque la domanda globale. In assenza di ciò, i prezzi potrebbero raggiungere livelli tali da frenare seriamente la crescita economica. Il gasolio è infatti utilizzato in particolare per il trasporto merci ma anche in agricoltura e nell’industria, dunque fornisce rapidi segnali di prezzo e di inflazione. Un allentamento delle tensioni internazionali potrebbe aiutare, ma il rischio di vedere un’inflazione a due cifre già nel prossimo mese di maggio non è trascurabile.