2022-05-30
Paolo Scaroni: «Gas e sanzioni, così si perde lo scudetto dell’economia»
L’ex numero uno di Eni, oggi presidente del Milan: «Per l’energia non si può fare a meno della Russia. Tetto ai prezzi? Impossibile. E le misure contro Mosca ci faranno male».«Adesso tocca all’Italia vincere il suo scudetto. Quello della crescita economica, di cui abbiamo davvero bisogno in questo mare tempestoso». Il presidente del Milan Paolo Scaroni, deputy chairman di Rothschild, ex amministratore delegato di Eni ed Enel, è reduce dai festeggiamenti per il trionfo rossonero: «Una delle emozioni più grandi della mia vita». Ma fuori dallo stadio, tornano le paure per l’approvvigionamento energetico italiano, mentre in terra ucraina continuano a tuonare i cannoni. Presidente, per adesso Putin ha dato garanzie all’Italia sulle forniture di gas. È preoccupato per il prossimo inverno?«Certamente non siamo pronti a rinunciare al gas russo. Lo saremo, salvo incidenti di percorso, nel 2024. Pensare di chiudere i rubinetti adesso comporterebbe razionamenti e pesanti cambiamenti del nostro stile di vita». Per sostituire il gas di Mosca, è l’Africa la sponda ideale?«Sì, lo è. Rispetto alla Germania disponiamo però di un’arma in più: l’Eni, che il gas lo scopre, lo produce, e può fare il necessario per spedirlo in Italia. Il governo si è attivato per portare in Italia quello estratto in Mozambico, Congo, Algeria, e mi auguro anche in Libia, dove c’è margine per aumentare la produzione». Quindi ci affideremo a Paesi ancor meno democratici della Russia? «Il punto non è se siano democratici o no, ma se siano affidabili. Come si dice in questi casi, purtroppo il petrolio e il gas non si trovano in Svizzera. Se entrassimo nell’ottica di commerciare soltanto con Paesi democratici, allora dovremmo anche bloccare le importazioni dalla Cina».Dunque?«Dobbiamo collaborare con i Paesi che il petrolio e il gas ce l’hanno, pur sapendo che potrebbero diventare problematici. Il modo migliore per assicurarci le forniture nel breve e medio termine è quello di avere tanti fornitori. Sperando che non diventino inaffidabili tutti insieme». Ma una volta raggiunta la sicurezza energetica, ci resterà comunque il fardello dell’energia carissima?«È un fardello che abbiamo già sulle spalle da mesi. E le sanzioni non potranno che mantenere alti i prezzi. Mi aspetto che in futuro in Europa il prezzo del gas arrivi purtroppo anche al triplo del prezzo americano». Con quali conseguenze?«Il consumatore farà i conti con bollette sempre più care, e avrà meno denaro in tasca per comprare altre cose. Inoltre, le nostre aziende energivore tenderanno a spostarsi in Paesi dove il gas è più a buon mercato». Il nostro Paese verrà colpito più degli altri?«Sì, perché la percentuale di gas nel nostro consumo energetico è più alta che altrove. È vero che ci sono le rinnovabili, ma ci vorrà del tempo prima che siano davvero significative. Solo quando porteremo a zero l’energia elettrica ricavata dal gas, i consumatori potranno tirare un sospiro di sollievo». È possibile mettere un tetto al prezzo di gas e petrolio, come vorrebbe l’Ue e il governo Draghi? «Sono scettico sul fatto che si riesca a coercire le leggi del mercato. In passato non ha funzionato, e dubito si riesca in futuro». In definitiva le sanzioni ci porteranno verso la pace o verso la recessione? «Non ho gli elementi per esprimere giudizi sull’impatto politico-militare delle sanzioni. Sicuramente abbiamo scelto una strada che ci farà del male, e ci condurrà a una recessione globale. Ma penso sia un male necessario, perché non potevamo rimanere impassibili di fronte all’invasione dell’Ucraina». Mario Draghi ha detto che la dipendenza energetica da Mosca rischia di diventare «sottomissione». Quali errori hanno portato a questa subalternità?«L’indipendenza energetica è la condizione necessaria per l’indipendenza politica. Quando De Gaulle negli anni Cinquanta portò la Francia nel nucleare, non lo fece perché costava meno, ma per ottenere una vera indipendenza energetica e quindi politica». E l’Europa di oggi?«L’Europa ha dimenticato questo concetto. Nei confronti della Russia, ha pensato invece che il commercio fosse lo strumento per esportare la democrazia». Un’illusione?«L’illusione era questa: mettendo la Russia all’interno dell’interscambio con l’Europa, inclusa l’energia, progressivamente sarebbe diventata un Paese democratico, rispettoso dei confini altrui. Questo lo pensavano in tanti, e forse l’ho pensato anch’io. Ma è un convincimento crollato con la crisi in Ucraina». Lei conosce bene la psicologia di Vladimir Putin. È lui che è improvvisamente cambiato, o siamo noi che non l’abbiamo mai capito? «Putin conosce la politica energetica, si è laureato con una tesi sul potere politico legato all’energia. Si è reso interprete di un nazionalismo che in Russia c’è sempre stato. Oggi la semplice idea che l’Ucraina aderisca alla Nato non dà fastidio solo a Putin, ma anche al popolo russo e alla sua classe dirigente: è come mostrare un drappo rosso a un toro». L’obiettivo è detronizzare lo Zar?«Per come conosco la Russia, non penso che se domani andasse via Putin arriverebbe un nuovo leader tipo Tony Blair. Semmai arriverebbe un altro Putin, perché la Russia genera autocrati. Pensare di risolvere la crisi cambiando una persona è illusorio». Nonostante la catastrofe, in futuro sarebbe comunque opportuno riallacciare rapporti e commerci con il mondo russo?«Non è un’eventualità all’orizzonte. Anzi, prevedo sanzioni prolungate. Certo, mettere al bando il più grande Paese al mondo mentre Cina, India, Turchia e Arabia Saudita non ci seguono è un’operazione un po’ monca. Non siamo riusciti a isolare la Russia come avremmo voluto. Ma, del resto, cos’altro potevamo fare?». Perché è così difficile sfruttare il gas e il petrolio italiano? «L’Italia ha più idrocarburi della Francia, della Germania e della Spagna. Penso al gas dell’Adriatico, al petrolio del mare di Sicilia, al piccolo “Texas” della Basilicata. Trent’anni fa in Italia si producevano 18-20 miliardi di metri cubi di gas all’anno: oggi siamo fermi a tre, con continui provvedimenti amministrativi e di legge che hanno limitato esplorazioni ed estrazioni». Ambientalismo estremo e burocrazia folle: questa è la nostra condanna? «Il vero problema sono gli italiani, il campanilismo che si oppone a ogni infrastruttura. Potremmo avere la legislazione più liberale del mondo, ma l’ultimo dei paesini continuerebbe a ribellarsi». Si riferisce anche alle continue risse sui rigassificatori? «In Italia si dà per scontato, per esempio, che un rigassificatore debba stare in mezzo al mare. Ma chi l’ha detto? Costano il doppio, e poi la differenza finisce nelle bollette. Manca quel senso di solidarietà nazionale che aiuta a comprendere un principio: senza opere pubbliche soffriamo tutti». Occorre riprovare col nucleare? «Su questo stanno riflettendo in tanti nel mondo, perché combattere il riscaldamento globale senza ricorrere al nucleare è sostanzialmente impossibile. Certamente è una fonte energetica che va gestita con attenzione, ma non possiamo non utilizzarla». Eppure le resistenze italiane sono robuste. «Gli ambientalisti americani sono pro nucleare, in Francia arriveranno otto nuove centrali, nel Regno unito tre, la Finlandia può rinunciare al gas russo solo perché ha una gigantesca centrale appena inaugurata. Ma sull’Italia non sono ottimista. Al momento di scegliere dove piazzare una centrale, si scatenerebbero rivolte popolari. Del resto, siamo il Paese delle assemblee di condominio infinite sulle antenne del 5G…».Con l’inflazione al galoppo, inevitabile un rialzo dei tassi anche in Europa? «La Bce non potrà resistere a lungo con un’inflazione a questi livelli e tassi a zero. La vera scommessa è come combattere l’inflazione senza entrare in recessione. È un esercizio complicato: ma se Draghi è fiducioso, lo sono anche io». È la fine della globalizzazione? «Se l’inflazione in questi anni è stata così bassa, merito è anche di quella globalizzazione oggi sotto attacco. Rinunciare a pezzi del mercato globale significa di per sé creare un elemento inflazionistico». Dinanzi all’impennata dei prezzi, Bruxelles suggerisce di far leva sui rifugiati, agendo sul costo del lavoro. «Bisogna stare attenti a non penalizzare gli italiani che un lavoro ce l’hanno già. Non può esserci una corsa al ribasso salariale. In questi tempi difficili, i salari dovrebbero assolutamente aumentare, non certo diminuire». Detto questo, lo scudetto del Milan può insegnare qualcosa al Paese?«Che con il pessimismo non si va lontano. Che si vince solo lottando insieme. Il team manageriale del Milan, da Pioli a Maldini, a Massara e Gazidis, ha saputo unire e motivare la squadra in campo. E con questo spirito i giocatori sono diventati tanti Maradona». Tra le tante soddisfazioni della sua carriera, lo scudetto vince su tutto? «Sono emozioni irripetibili, e non solo per me. A Reggio Emilia, in tribuna, ho visto commuoversi persino la famiglia Singer, padre e figlio, persone che dalla vita hanno avuto tutto. Ma certe gioie non si comprano. Ti arrivano, le accogli, e ti restano dentro per sempre».