2021-11-03
Mentre alla Cop26 si parla del nulla chiude un terzo dei rubinetti di gas
Sempre più concreta l'ipotesi di crisi energetica di lungo periodo sull'Ue: interrotte le pipeline da Est e Sud. La Francia per ora sopperisce alle richieste extra, ma il comparto manifatturiero è a rischio black out.Cop26 e ambiente. Mentre a Glasgow, in Scozia, si celebra la riunione dei capi di Stato e delle multinazionali interessate a diffondere uno dei più grandi storytelling della storia (i governi che hanno fallito nel gestire le crisi economiche riusciranno a comandare sul clima), l'Europa mostra tutte le sue debolezze energetiche. In queste ore ben quattro rubinetti, circa un terzo del totale, che consentono l'approvvigionamento di gas sono praticamente chiusi. Da 5 giorni la pipeline Yamal che consente l'ingresso dell'oro azzurro in Ue tramite Polonia non è funzionante. A chiudere è Gazprom. I gasdotti ucraini operano a singhiozzo e sono due tubi di dimensioni importanti. Stesso discorso per l'infrastruttura che interessa i Balcani e la Serbia. In questo caso un incidente in Turkmenistan avrebbe imposto una semi chiusura della pipeline. Riapertura a data da stabilirsi. Infine, c'è un enorme problema a Sud. Algeria e Marocco sono ai ferri corti per motivi diplomatici. Le relazioni sono sospese da agosto, quando Algeri ha accusato il vicino di sponsorizzare «azioni ostili» nei propri affari domestici. Secondo il ministero degli Affari esteri algerino, Rabat sosterrebbe apertamente i movimenti separatisti della Cabilia, una piccola regione nel nord dell'Algeria, che da anni aspira all'indipendenza. Il presunto appoggio marocchino ai separatisti berberi è solo l'ultimo capitolo di una serie di ingerenze incrociate tra Algeri e Rabat. Che da due giorni ha prodotto lo stop del transito del gas diretto alla Spagna. Secondo i dati di Enagas, l'Algeria ha fornito quest'anno il 47% del gas importato dalla Spagna, pari a 15 miliardi di metri cubi.Di questi, 14 miliardi sono arrivati attraverso il gasdotto che passa per il Marocco, e che ora è stato chiuso, e il gemello Medgaz, e 1 miliardo via mare, sotto forma di gas naturale liquefatto. Madrid è in grado di sopportare lo stop algerino per poche settimane. Se dovesse proseguire, dovrebbe rivolgersi alla Francia. Parigi è infatti il Paese più autonomo da punto di vista dell'elettricità prodotta dall'atomo. Il problema è che pure l'Italia dipende da Parigi. Basti vedere che il mese di settembre ha registrato un aumento dell'import di energia dalla Francia di circa il 100%. Il trend di ottobre dovrebbe essere in linea. Mentre con novembre rischia ulteriori sorprese. Il cosiddetto Winter Outlook di Entso-E, il network europeo dei gestori di sistemi di trasmissione energetica, diffuso la scorsa settimana, ha evidenziato un problema strutturale sulla Francia. Se lo stress dovesse aumentare i Paesi collegati si troverebbero a contingentare le richieste. Tradotto in parole povere: c'è un forte rischio per l'Europa e per l'Italia di assistere al taglio della produzione manifatturiera perché i singoli Paesi non riusciranno a soddisfare la richiesta. La Francia sta sovvenzionando le aziende energivore (vedi il settore dell'acciaio) ma nessun altro governo ha spiegato come sarà in grado di sfruttare e mettere a terra le novità sui dazi portate a casa durante il recente G 20 a Roma. L'accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione europea annunciato al termine del G20 sta infatti scuotendo il mercato siderurgico italiano. Se da un lato la revisione della «Section 232» offrirà alle acciaierie del vecchio continente la possibilità di aprirsi al ricco mercato nordamericano, dall'altro lato i loro clienti ossia distributori e utilizzatori temono che, così facendo, l'attuale stato di carenza delle materie prime che attualmente insiste nel mercato possa aggravarsi. L'accordo commerciale di base rappresenta un piccolo capolavoro diplomatico per il presidente americano Joe Biden, sempre più preoccupato dell'impatto inflazionistico derivante dagli alti prezzi delle materie prime. Una dinamica, questa, che, se non gestita, rischia di provocare un effetto rigetto alle prossime elezioni di mid-term da parte delle fasce sociali più vulnerabili. Non è un caso se nelle ultime settimane la Casa Bianca abbia più volte premuto sull'Opec, il cartello dei paesi produttori di petrolio, affinché aumenti l'output al fine di sgonfiare i prezzi del carburante. I moniti però sono sempre stati, almeno per il momento, respinti al mittente. Sugli acciai, invece, Biden vanta una leva maggiore potendo contare sullo «spread» di oltre 700 dollari la tonnellata che oggi insiste tra il prezzo dei laminati piani negli Usa rispetto a quelli europei. Per noi significa riapertura del mercato, ma senza le garanzie di avere sufficiente materia prima e soprattutto elettricità per far marciare gli altoforni. Sarebbe una debacle a cui Bruxelles non sembra intenzionata a correre ai ripari. Le ultime riunioni Ecofin ed Eurogruppo non hanno sortito alcun risultato. Tranne prendere tempo e annunciare che gli stress sulle infrastrutture e sui prezzi spariranno la prossima primavera. Ipotesi hard, visto che ci sono tutte le premesse per una crisi energetica di lungo termine. Ma anche se fosse vero dovremmo superare l'inverno. E con le fabbriche a singhiozzo l'inflazione schizzerebbe ancora di più.