2022-02-06
Si avvicina l’assemblea per l’assetto del Leone. Consob e Ivass ora dovranno dare un perimetro alle mosse dei contendenti che schierano gli studi: da Sergio Erede a Piergaetano Marchetti.In questi giorni non assistiamo solo al grande ritorno di Gianni Morandi, Massimo Ranieri e Iva Zanicchi sul palco di Sanremo. I tre (anzi, quattro) tenori della disfida finanziaria di «Generali 22» sul palco di Trieste sono gli imprenditori Francesco Gaetano Caltagirone (79 anni) e Leonardo Del Vecchio (87 anni a maggio), ma anche due grandi avvocati d’affari come Sergio Erede (82 anni) e Piergaetano Marchetti (83 anni). Qualche stecca si è già sentita ma c’è chi giura che - ognuno con la sua musica e i suoi strumenti accordati - ha pronti acuti, gorgheggi e colpi a sorpresa. La battaglia sul Leone è entrata nel vivo. In palio c’è il governo societario e il timone del primo gruppo assicurativo italiano che sta seduto su 660 miliardi, in pratica un terzo del Pil italiano, di cui circa un decimo sono nostri titoli di Stato. Mario Draghi per il momento si limita a monitorare la situazione - attraverso il binocolo del suo consigliere economico Francesco Giavazzi – mentre la partita è seguita con attenzione dalla Consob e dall’Ivass, le autorità di vigilanza rispettivamente del mercato e delle compagnie assicurative. Proprio a loro si è rivolta nei giorni scorsi Generali per avere chiarimenti sulle quote del patto che risulta ben al di sopra della soglia rilevante del 10 per cento. Ora che l’accordo, prima dell’uscita tattica del gruppo Caltagirone, è arrivato oltre il 16,3%, il Cda del Leone ha deciso di rivolgersi alle due autorità anche per capire se si tratta di un mero patto di consultazione o di qualcosa di più: il tema di fondo è un eventuale concerto, ovvero una iniziativa surrettiziamente coordinata con gli altri soci, che evoca il rischio di una costosissima Opa su Trieste. Si tratta quindi di un quesito in merito al corretto svolgimento dell’assemblea di fine aprile che voterà il rinnovo delle poltrone. Secondo i consulenti legali del Leone, eventuali contestazioni che potrebbero emergere (impugnazione, esposti, eccetera da parte di altri azionisti), potrebbero infatti invalidare la regolarità dell’assemblea e, di conseguenza, l’operatività della compagnia. C’è inoltre un ulteriore rischio, a carico degli amministratori presenti in Consiglio: se restassero «fermi» di fronte ad attività che potrebbero minare la regolarità dell’assemblea, si esporrebbero a un’azione di responsabilità da parte di altri azionisti. Quindi, va chiarito se quello sottoscritto inizialmente tra Caltagirone, Del Vecchio e Fondazione Crt, da cui poi a fine gennaio si è sganciato l’imprenditore romano, è un semplice patto o è un concerto? Va inoltre valutato se si può continuare a operare con un consiglio a ranghi ridotti dopo le dimissioni dello stesso Caltagirone e dei rappresentanti di Delfin e di Crt, e se gli attori in campo possono prendere a prestito azioni per avere più munizioni in assemblea.Per le eventuali cooptazioni nel board, attualmente composto da 10 amministratori, e per arrivare a una short list di candidati da sottoporre al voto di primavera bisognerà aspettare la prossima riunione del Cda, in agenda il 16 febbraio. Ma la partita è assai complessa e a prescindere da chi la vincerà rischia di trasformarsi anche in una lunga disputa legale. Ecco perché in pista sono già scesi i pezzi da novanta degli studi milanesi. Come ha ben evidenziato ieri un articolo di Milano Finanza, Generali ha schierato il notaio e giurista Piergaetano Marchetti, uno dei maggiori esperti in materia di corporate governance. Al suo fianco stanno lavorando anche altri nomi noti nel settore come Roberto Casati di Linklaters, specializzato in operazioni straordinarie, e Francesco Gatti, partner fondatore dello studio Gatti Pavesi Bianchi Ludovici, che ha seguito il fondo Usa Blackstone nel lodo contro Rcs nella contesa degli immobili di via Solferino. Dall’altra parte della barricata, c’è lo studio Cleary Gottlieb che assiste Caltagirone e soprattutto c’è Sergio Erede, che è da anni il consulente legale di Del Vecchio (nonché l’avvocato di Urbano Cairo contro Blackstone). Erede ha costruito la sua carriera - e la sua fama - al fianco di big dell’industria e della finanza. Dal primo grande cliente, Carlo De Benedetti, con il quale ha gestito l’agonia di Olivetti e la nascita di Omnitel, a Roberto Colaninno con cui ha architettato l’Opa Telecom. In passato ha seguito l’Opa Generali/Ina, la privatizzazione di Autostrade e Aeroporti di Roma, le quotazioni di Enel e Finmeccanica. E nel suo trackrecord più recente c’è anche il ruolo di co counsel legale di Ubi nella trattativa sull’Ops di Intesa Sanpaolo che come advisor finanziario di quell’offerta aveva Mediobanca. Ovvero l’altro azionista delle Generali sfidato da mister Luxottica e da Caltagirone.Ma oltre ai team di avvocati schierati sul campo con quali munizioni di liquidità si muovono il costruttore romano e Del Vecchio? Quale è la galassia societaria dei due protagonisti della battaglia di Trieste? Quella dell’imprenditore veneto è più semplice da tracciare: con la sua cassaforte Delfin possiede il 6,62% di Generali, il 19,4% di Mediobanca e l’1% di Unicredit. È poi azionista con il 32,08% e presidente del colosso dell’occhialeria Essilux, nata dalla fusione tra Essilor e Luxottica. Un’operazione seguita da un lungo braccio di ferro con i francesi proprio sulla governance: per oltre due anni, l’imprenditore agordino e Hubert Sagnières (artefice della crescita di Essilor) si sono affrontati a volte direttamente, altre per interposta persona, sino a che Del Vecchio ha ottenuto la nomina a Ceo per il suo braccio destro Francesco Milleri. Del Vecchio è anche presidente della Fondazione che porta il suo nome e con la quale nelle scorse settimane ha rafforzato il suo legame con papa Francesco: la lunga riforma delle finanze vaticane passa infatti (anche) dal salvataggio e rilancio del Fatebenefratelli con un’operazione complessa che vede per la prima volta nella storia della curia romana l’intervento dei privati, in questo caso di mister Luxottica attraverso la sua Fondazione che ha donato 75 milioni e che ha già investito in sanità a Milano (18% dello Ieo-Monzino).Assai più intricata la ragnatela di società controllate da Caltagirone, così come è fitto il bouquet di cariche ricoperte, che abbiamo ricostruito consultando gli atti depositati in Camera di Commercio e i documenti pubblicati sui siti delle società quotate in Borsa come la holding Caltagirone spa di cui possiede l’87,5% attraverso altre società più piccole come la Finanziaria Italia 2005 spa al 53,9%, FGC spa al 33,3% e Fincal spa al 0,37 per cento. Sono del resto assai diversi i business dell’imprenditore capitolino che fa affari con il cemento della holding Cementir (controllata al 65,9% direttamente e indirettamente), con il settore immobiliare e delle costruzioni coperto dal gruppo Vianini ma è anche editore del Messaggero, Gazzettino, Il Mattino, Corriere Adriatico e di Leggo tramite la Caltagirone Editore di cui possiede il 60,76% anche in questo caso attraverso una serie di società. E poi ci sono le partecipazioni finanziarie in Generali (8,04%), Mediobanca (3,1%) e anche nella romana Acea (5,5%). Per i suoi svariati investimenti, Caltagirone può contare su una folta pattuglia di «scatole» finanziarie controllate da lui stesso o dalle sue casseforti o da subholding (lo shopping di titoli Mediobanca per esempio è stato fatto da Istituto 2012, Capitolium, Mantegna 87 e Calt 2004). Vedremo se nelle galassie dei due imprenditori finirà anche la costellazione del Leone o di Mediobanca. Di certo, per convincere i mercati non serviranno solo i team di super avvocati ma anche un arsenale di liquidità, credibilità e trasparenza.
Maurizio Landini (Ansa)
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