
Dubbi dei russi, poi Ankara smentisce l’iniziativa. Scintille tra Cina e Uk per Taiwan.È iniziato ieri e si concluderà oggi il G20 del Brasile, preceduto domenica da un bilaterale tra Giorgia Meloni e il presidente Lula. A occupare il tavolo dei grandi, oltre alla transizione energetica e al commercio, c’è soprattutto - viste anche le ultime novità - la guerra in Ucraina. Ci voleva l’elezione di Donald Trump per sbloccare l’attività diplomatica (vedi la telefonata di Olaf Scholz a Vladimir Putin) e i piani di pace per l’Ucraina: secondo Bloomberg, la Turchia doveva presentare il suo, che prevedrebbe la creazione di una zona demilitarizzata nel Donbass orientale, sostanzialmente congelando il fronte, e il rinvio di almeno dieci anni dei colloqui per l’adesione di Kiev nella Nato. Subito, però, è arrivata la smentita di Ankara: «Sosteniamo le iniziative diplomatiche per porre fine alla guerra tra Ucraina e Russia», ha dichiarato un diplomatico turco all’agenzia russa Ria Novosti. «Tuttavia, le parti dell’articolo relative alla Turchia», continua riferendosi al pezzo di Bloomberg, «non riflettono la realtà». All’origine della smentita potrebbe esserci la reazione russa, arrivata tramite il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov: «L’opzione del congelamento lungo la linea di combattimento è a priori inaccettabile per la parte russa», ha commentato. L’agenzia Tass ha comunque riporato di un breve colloquio tra Recep Tayyip Erdgoan e il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, poco prima della sessione plenaria del G20.Trapela ottimismo anche per un possibile comunicato congiunto sulle guerre. Sempre secondo Bloomberg, che avrebbe visionato una bozza del documento, per quanto riguarda l’Ucraina verranno sottolineati la «sofferenza umana e gli impatti negativi» del conflitto sulla sicurezza alimentare ed energetica globale, ma anche sull’inflazione e sulla crescita. Inoltre, nel testo comune troverebbero accoglienza favorevole «tutte le iniziative rilevanti e costruttive a sostegno di una pace durevole», basata sulla Carta delle Nazioni Unite.A Rio de Janeiro è intervenuto anche Joe Biden, il quale ieri, al suo ultimo G20, ha ribadito che «gli Stati Uniti sostengono la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina e così dovrebbero fare anche tutti quelli seduti a questo tavolo». L’amministrazione uscente è intenzionata a sfruttare gli ultimi due mesi alla Casa Bianca per garantire a Kiev tutto il sostegno possibile, a partire dal permesso di lanciare missili americani dentro il territorio russo (secondo alcuni limitatamente al Kursk), prima dell’arrivo del tycoon. «Chiedo a tutti i qui presenti di aumentare la pressione su Hamas», ha aggiunto anche il presidente Usa in merito al conflitto mediorientale. «Continueremo a spingere per accelerare un accordo sul cessate il fuoco che garantisca la sicurezza di Israele, riporti a casa gli ostaggi e ponga fine alla sofferenza del popolo e dei bambini palestinesi». A sparigliare le carte ci sta pensando anche il presidente argentino, Javier Milei, rivale del padrone di casa Lula ma soprattutto in grande sintonia con Trump, tanto da aver partecipato, nei giorni scorsi, al ricevimento a Mar-a-Lago per celebrare la vittoria delle presidenziali. L’argentino ha inizialmente negato il suo assenso all’«Alleanza globale contro la fame», promossa dal presidente brasiliano, opponendosi in particolare a una tassa globale sui super ricchi e a una clausola sull’uguaglianza di genere. Il documento alla fine è stato sottoscritto, ma Buenos Aires ha altresì chiarito che l’adesione all’Alleanza «non implicherà l’adozione di programmi e politiche specifiche» e che seguirà «un approccio guidato dal mercato».Sempre a Rio, c’è stato un mezzo incidente diplomatico tra il presidente cinese, Xi Jinping - il quale, nel suo discorso ufficiale, ha annunciato nuovi progetti per il cosiddetto Sud Globale - e il primo ministro britannico, Keir Starmer, che sta cercando di trovare una via d’uscita alla depressione economica del suo Paese. Durante il bilaterale, Starmer ha affrontato direttamente le questioni dei diritti civili e di Taiwan, e in quel momento i funzionari di Pechino hanno costretto due giornalisti inglesi ad allontanarsi.A margine del consesso, spazio per dei bilaterali di Giorgia Meloni. Uno, con il principe ereditario dell’Emirato di Abu Dhabi, Sheikh Khaled bin Mohamed bin Zayed Al Nahyan, con cui si è parlato di Piano Mattei e business forum tra imprese italiane ed emiratine che operano in Africa. Un altro con Justin Trudeau, il premier canadese, che hanno discusso di intelligenza artificiale, materiali critici e collaborazione tra le agenzie spaziali. A Ottawa passerà il testimone del G7 e Roma si è assicurata continuità sull’attenzione rivolta all’Africa.
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Gianfranco Lande durante un’udienza del processo che l’ha coinvolto (Ansa)
I parenti del consigliere hanno investito una fortuna con Gianfranco Lande. Che per prendere tempo li spingeva a fare «condoni» sui capitali.
Francesco Saverio Garofani in questi giorni viene raccontato come il gentiluomo delle istituzioni, il cattolico democratico che ha attraversato mezzo secolo di politica italiana con la felpa della responsabilità cucita addosso. Quello che nessuno racconta è che lui, insieme a una fetta consistente della sua famiglia, è stato per anni nel giro di Gianfranco Lande, il «Madoff dei Parioli». E che il suo nome, con quello dei tre fratelli, Carlo, Giorgio e Giovanna (che negli atti della Guardia di finanza vengono indicati in una voce cumulativa anche come fratelli Garofani), riempie la lista Garofani nell’elenco delle vittime allegato alla sentenza che ha raccontato, numeri alla mano, la più grande stangata finanziaria della Roma bene, insieme a quello di un certo Lorenzo (deceduto nel 1999) e di Michele, suo figlio, del cui grado di eventuale parentela però non ci sono informazioni.
Getty Images
Travaglio: «Garofani deve dimettersi». Foa: «Non è super partes, lasci». Porro: «È una cosa pazzesca e tentano di silenziarla». Padellaro: «Una fior di notizia che andava pubblicata, ma farlo pare una scelta stravagante». Giarrusso: «Reazioni assurde a una storia vera». L’ex ambasciatore Vecchioni: «Presidente, cacci il consigliere».
Sergio Mattarella (Getty Images)
Il commento più sapido al «Garofani-gate» lo ha fatto Salvatore Merlo, del Foglio. Sotto il titolo «Anche le cene hanno orecchie. Il Quirinale non rischia a Palazzo, ma nei salotti satolli di vino e lasagnette», il giornalista del quotidiano romano ha scritto che «per difendere il presidente basta una mossa eroica: restarsene zitti con un bicchiere d’acqua in mano». Ecco, il nocciolo della questione che ha coinvolto il consigliere di Sergio Mattarella si può sintetizzare così: se sei un collaboratore importante del capo dello Stato non vai a cena in un ristorante e ti metti a parlare di come sconfiggere il centrodestra e di come evitare che il presidente del Consiglio faccia il bis.
Lo puoi fare, e dire ciò che vuoi, se sei un privato cittadino o un esponente politico. Se sei un ex parlamentare del Pd puoi parlare di listoni civici nazionali da schierare contro la Meloni e anche di come modificare la legge elettorale per impedire che rivinca. Puoi invocare provvidenziali scossoni che la facciano cadere e, se ti va, perfino dire che non vedi l’ora che se ne vada a casa. E addirittura come si debba organizzare il centrosinistra per raggiungere lo scopo. Ma se sei il rappresentante di un’istituzione che deve essere al di sopra delle parti devi essere e apparire imparziale.






