
Il vicedirettore del Corriere si meraviglia che a essere cercati all'estero siano i nostri giovani provenienti dalle città più ricche. E approfitta della sensazionale rivelazione per attaccare le piccole e medie imprese italiane. Mai le banche che hanno fatto disastri.La prova che troppi numeri possono dare alla testa è il pomeriggio di sincero sgomento che ha irretito e infine perso Federico Fubini, una delle Montblanc più lucide del Corriere delle élite. Il vicedirettore ad personam (insomma, a sé stesso) del giornale milanese si è procurato un sondaggio di YouGov sulle province dalle quali si emigra di più e ha scoperto «il paradosso dei giovani che vanno all'estero» e provengono non dalle zone più straccione, ma «dalle città più ricche». In sostanza, Paesi come Regno Unito e Francia, non si pigliano le nostre scamorze, ma i giovani ben laureati e di famiglia culturalmente aperta. Incredibile, davvero. Ma la sua personale giornata di Paperino è culminata in un altro articolo in cui ha veduto bene di dire la sua anche sulla Grecia affamata dall'austerity, austerità della quale ovviamente l'ortodosso Fubini va assai ghiotto, dimenticandosi di quella volta che ammise di aver censurato la notizia dei bambini morti di fame grazie alla Troika. Proviamo ad andare con ordine, laddove l'unico ordine è quello monetario, dei banchieri centrali e degli speculatori-filantropi della Open society foundation di George Soros. Fubini spiega che «nel Paese sono più numerosi coloro che si preoccupano dell'emigrazione che quelli che perdono il sonno per l'immigrazione». E questa non è un'intuizione maturata dopo lunghe passeggiate al parco, tra i banchi del mercato rionale o viaggiando sui mezzi pubblici. No, è scienza, è sondaggi, è pubblico disvelamento di verità arcane grazie a una montagna di numeri sorprendenti. Le prime sette provincie italiane dalle quali si è partiti di più per lavorare all'estero sono al Nord: Bolzano, Imperia (vicine al confine, ma Fubini non si è fatto una domanda su questo), Macerata, Mantova, Gorizia, Vicenza, Trieste. E nelle prime venti posizioni si trovano anche Pordenone, Treviso, Como, Asti, Varese, Alessandria, Verbano-Cusio-Ossola, Udine, Sondrio e Trento. In sostanza, si parte in gran parte dal ricco Nord della provincia magari un po' sonnacchiosa, ma nota anche per la qualità della vita su livelli elevatissimi. Invece, il sondaggio scopre che i ragazzi del Sud, se si spostano, al massimo vanno a Roma o al Nord.Il nostro Fubini errante, molto giustamente, osserva che i neolaureati lasciano anche province colpite dai disastri bancari dell'era di Ignazio Visco, come Macerata, Teramo e Vicenza. I lettori di questo giornale sanno bene di che mezza tragedia stiamo parlando. I lettori del Corriere della Sera, sempre schierato a tutela dei banchieri che sbagliano e dei vigilanti che sbadigliano, lo sanno un po' meno. Ma davanti a un fenomeno non esattamente nuovo, come quello dell'emigrazione di «alto livello» dal Nord Italia, Fubini parla di «enigma» e s'insopettisce: «Questa gente non va via in primo luogo perché non trova lavoro. Dev'esserci qualcos'altro». Le ragioni, insomma, «devono essere anche culturali e psicologiche». E per il vicedirettore di Via Solferino sono legate allo scarto culturale e tecnologico che c'è tra i giovani laureati e i capi azienda italiani, bolsi e «inadeguati», specialmente «nella piccola e media impresa». Sia chiaro, non è una tesi completamente sbagliata, perché ci sono tanti, troppi, sedicenti imprenditori che fanno i capitalisti con i soldi degli altri, non reinvestono gli utili in azienda, pagano dipendenti e fornitori in ritardo. Ma fa un po' sorridere che quest'attacco alle pmi del Nord arrivi dal giornale che più le esalta per tutti gli altri giorni dell'anno. Ma poi, banalmente, metti di essere un giovane e bravo giornalista italiano, costretto a emigrare a Londra perché in Italia non ti assume nessuno, e ti tocca leggere sul Corriere un pezzo che attacca cosi: «Da un recente sondaggio condotto da YouGov per lo European council of foreign relations emerge che nel Paese…». Ma che a uno non cascano le penne dal taschino per la sciatteria, la noia, la vuota altisonanza della parte dell'articolo in cui ci si gioca l'attenzione del lettore, come insegnano le regolette di base della professione? Comunque, giusto in due parole: visto che per lavare i piatti, cucinare italiano e fare i fruttivendoli, ci sono popoli più ricercati del nostro, a fare gli architetti o gli analisti finanziari in Europa ci vanno i ragazzi di Varese, laureati bene nelle università serie del Nord Italia. Mentre se sei di una certa parte della nazione e hai studiato a mille chilometri dall'Europa, è tutto più difficile. Scoperta, eh? Vabbè, sempre perché il problema sono i padroncini ottusi delle pmi del Nord, passiamo alla classe dirigente più illuminata: noi giornalisti. Lo scorso 2 maggio, il Fubini errante ammise con Tv2000, la tv dei preti, di essere stato molto errante: «Faccio una confessione, c'è un articolo che non ho voluto scrivere sul Corriere della Sera. Analizzando i dati della mortalità infantile in Grecia, mi sono accorto che a causa della crisi sono morti 700 bambini. Non ho scritto l'articolo per non essere strumentalizzato dagli antieuropei e ostracizzato dagli altri». Bene, dopo aver espettorato la coscienza, ieri ha scritto un fogliettone dalla parte di Tsipras: «È tempo che l'Europa riduca le pretese sul debito di Atene». Chiede più investimenti nella sanità pubblica e spiega che «l'Europa dovrebbe aiutare e non punire». Anche la Verità vuole fare, con Fubini, come l'Europa, «aiutare e non punire». Per esempio, si potrebbe nominare il valente collega corrispondente da un Paese del Sud Europa e consentirgli di toccare con mano gli effetti sulle persone in carne e ossa delle politiche ordoliberiste che ha lodato per anni. Tanto il montismo è come la sbornia di Jean-Claude Juncker, prima o poi passa.
Johann Chapoutot (Wikimedia)
Col saggio «Gli irresponsabili», Johann Chapoutot rilegge l’ascesa del nazismo senza gli occhiali dell’ideologia. E mostra tra l’altro come socialdemocratici e comunisti appoggiarono il futuro Führer per mettere in crisi la Repubblica di Weimar.
«Quella di Weimar è una storia così viva che resuscita i morti e continua a porre interrogativi alla Germania e, al di là della Germania, a tutte le democrazie che, di fronte al periodo 1932-1933, a von Papen e Hitler, ma anche a Schleicher, Hindenburg, Hugenberg e Thyssen, si sono trovate a misurare la propria finitudine. Se la Grande Guerra ha insegnato alle civiltà che sono mortali, la fine della Repubblica di Weimar ha dimostrato che la democrazia è caduca».
(Guardia di Finanza)
I finanzieri del Comando Provinciale di Palermo, grazie a una capillare attività investigativa nel settore della lotta alla contraffazione hanno sequestrato oltre 10.000 peluches (di cui 3.000 presso un negozio di giocattoli all’interno di un noto centro commerciale palermitano).
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
Continua a leggereRiduci
Stefano Arcifa
Parla il neopresidente dell’Aero Club d’Italia: «Il nostro Paese primeggia in deltaplano, aeromodellismo, paracadutismo e parapendio. Rivorrei i Giochi della gioventù dell’aria».
Per intervistare Stefano Arcifa, il nuovo presidente dell’Aero Club d’Italia (Aeci), bisogna «intercettarlo» come si fa con un velivolo che passa alto e veloce. Dalla sua ratifica da parte del governo, avvenuta alla fine dell’estate, è sempre in trasferta per restare vicino ai club, enti federati e aggregati, che riuniscono gli italiani che volano per passione.
Arcifa, che cos’è l’Aero Club d’Italia?
«È il più antico ente aeronautico italiano, il riferimento per l’aviazione sportiva e turistica italiana, al nostro interno abbracciamo tutte le anime di chi ha passione per ciò che vola, dall’aeromodellismo al paracadutismo, dagli ultraleggeri al parapendio e al deltaplano. Da noi si insegna l’arte del volo con un’attenzione particolare alla sicurezza e al rispetto delle regole».
Riccardo Molinari (Ansa)
Il capogruppo leghista alla Camera: «Stiamo preparando un pacchetto sicurezza bis: rafforzeremo la legittima difesa ed estenderemo la legge anti sgomberi anche alla seconda casa. I militari nelle strade vanno aumentati».
«Vi racconto le norme in arrivo sul comparto sicurezza, vogliamo la legittima difesa “rinforzata” e nuove regole contro le baby gang. L’esercito nelle strade? I soldati di presidio vanno aumentati, non ridotti. Landini? Non ha più argomenti: ridicolo scioperare sulla manovra».
Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, la Cgil proclama l’ennesimo sciopero generale per il 12 dicembre.
«Non sanno più di cosa parlare. Esaurito il filone di Gaza dopo la firma della tregua, si sono gettati sulla manovra. Ma non ha senso».






