2021-03-02
La frittata saudita spaventa Renzi. Il fronte delle dimissioni lo pressa
Ex ministri, ex compagni, neo consulenti di Mario Draghi: più il senatore semplice scappa dalle domande sui rapporti con Moḥammad bin Salman, più si fa terra bruciata attorno. Ma a breve il Copasir potrebbe metterlo alle strette sul tema.Come un boomerang il caso Arabia Saudita ritorna oggi sulla testa di Matteo Renzi, mettendolo al tappeto, e colpendo la sua immagine pubblica. Ci torna in queste ore con più forza di quando uscì per la prima volta la notizia della collaborazione retribuita tra Renzi e un fondo che è emanazione diretta della corona Saudita. Ci torna con la forza clamorosa dei risultati dell'inchiesta Cia sulla morte del giornalista Jamal Kashoggi, con le accuse al principe ereditario Bin Salman, e ci torna - infine - dopo il clamoroso passo falso del leader di Italia viva, che ha pensato di poter sanare il conflitto di interessi denunciato da questo giornale, con il risibile escamotage dell'intervista chiusa affidata ad un mastino della notizia: sé stesso. Renzi, due settimane fa, aveva eluso tutte le domande sollevate dai media spiegando: «Risponderò dopo che sarà nato il governo». Lo ha fatto intervistandosi da solo. Il primo affondo, per qualità e sostanza politica, è quello che è arrivato da un teorico alleato dell'uomo di Rignano, il suo ex ministro Carlo Calenda. Il leader di Azione ieri è partito lancia in resta: «Non è mai successo che un politico in carica abbia percepito soldi da Paesi stranieri. In nessuna parte del mondo esiste un partito, o un leader di partito, eletto e pagato dai cittadini, che prenda un compenso da un regime straniero, tanto più autocratico». Parole molto nette. Ma un attacco ancora più duro era arrivato da un ex ministro, Peppe Provenzano, che ha parlato - e questo è un altro segnale preoccupante per Renzi - dai microfoni di Immagina, la nuova radio del Pd. Il che significa, ovviamente, che non si tratta di una normale presa di posizione personale. Ed ecco cosa dice: «Renzi aveva detto che dopo la crisi avrebbe chiarito i suoi rapporti con l'Arabia Saudita e il “grande principe ereditario". Lui non ha ancora chiarito nulla, ma ci ha pensato Biden». E poi, con un altro affondo: «Chiarire ora non è solo questione di opportunità, ma di interesse nazionale. Uno statista avrebbe chiuso la storia», conclude Provenzano, «chiedendo scusa e restituendo i soldi. Non lo ha fatto». Ma anche un neo consulente del governo Draghi, uomo solitamente moderato come Carlo Cottarelli, ha preso una posizione molto netta sul caso: «Faccio una riflessione sul caso Renzi. Al di là dell'errore fatto dall'ex premier, dovrebbe essere vietato per un parlamentare ricevere compensi per altre attività lavorative. I parlamentari», aggiunge Cottarelli ,«devono lavorare a tempo pieno per il Paese. Sono pagati (e bene) per questo». Insomma, in soli due giorni, si sono congiunte due diverse critiche: quella sul rapporto e economico con l'Arabia Saudita, e quella sulla scelta di eludere una mediazione giornalista. E ha iniziato a danzare lo spettro della richiesta di dimissioni. L'auto-intervista nella propria e-news ha sicuramente peggiorato la situazione di Renzi, se è vero che in quelle righe lui definisce «scomparsa» l'omicidio di Kashoggi, e che evita di citare il principe ereditario Bin Salman. Ciò che mette in difficoltà il leader di Italia viva tuttavia è il rapporto della Cia (a cui non a caso ieri La 7 ha dedicato una intera puntata di Atlantide) dove si individua una responsabilità diretta dell'uomo con cui Renzi ha tenuto i suoi rapporti. E questa novità rende retrospettivamente ancora più grottesca l'immagine dell'intervista in cui l'uomo di Rignano si sdilinquiva al cospetto di «your royal highness». Cioè Bin Salman stesso. Senza dimenticare che a breve il capo di Italia viva (non appena il Copasir si potrà riunire) sarà sentito per le dichiarazioni sul caso Barr. Ma lì davanti ai membri del Comitato potrebbe subire anche domande sul viaggio tra i sauditi. E potrebbe arrivare altra benzina sul fuoco.Di fronte a questa situazione oggettivamente imbarazzante, in cui si congiungono il danno di immagine e le richieste di chiarimenti istituzionali, appaiono molto fragili le ultime tesi difensive, affidate (per ovvi motivi) esclusivamente ad esponenti di Italia viva, come l'ex ministra Teresa Bellanova, che ieri ripeteva: «Renzi ha sempre condannato il delitto Kashoggi. Molti di quelli che oggi lo attaccano non hanno mai avuto proposte di andare a parlare in contesti intenzionali del livello di quello di Riad». Tuttavia il tema del conflitto di interessi è sul tavolo, e trova un amplificatore nelle restrizioni che la nuova amministrazione americana sta adottando contro Riad. La mossa di Renzi di citare in giudizio Marco Travaglio per averlo definito al soldo di Riad, potrebbe portare altri effetti collaterali spiacevoli, nuovi capitoli mediatici. Anche Alessandro Di Battista, leader dell'anima movimentista del M5s (da poco uscito) ha messo Renzi nel mirino pubblicando un lungo j'accuse in cui chiede le due dimissioni da senatore e invoca trasparenza sui rapporti non ancora emersi: «Dio solo sa quante volte dal 2 ottobre del 2018, giorno dell'assassinio Khashoggi, al 28 gennaio scorso, data dell'ultima sortita a Riad, durante la quale ha addirittura intervistato Mohammad bin Salman», osserva di Battista,«il senatore semplice si sia recato in Arabia Saudita». Infine, l'ultimo fronte, stavolta a destra, è quello aperto con un post durissimo da Giorgia Meloni: «L'intelligence Usa collega direttamente l'atroce omicidio di Khashoggi in Turchia alla famiglia reale saudita e in particolare al principe ereditario Bin Salman, che avrebbe dato l'ordine di sequestrarlo e farlo a pezzi. Si tratta dello stesso principe elogiato servilmente da Matteo Renzi come fautore di un nuovo Rinascimento». Non solo Renzi, osserva la Meloni «ma tutta la sinistra che ha avuto rapporti con l'Arabia Saudita deve chiarire». Da destra, da sinistra e dal centro, rutti contro Matteo. Sarà dura trovare una linea difensiva che plachi le richieste di dimissioni.
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