2024-06-23
Fondi Ue agli sfruttatori dell’indiano ucciso
L'azienda agricola Lovato a Borgo Santa Maria dove lavorava Satnam Singh (Ansa)
La Procura di Latina (la stessa che ha ottenuto il processo ai Soumahoro) indaga un italiano, la cui azienda ha incassato finanziamenti europei. Dichiara l’affitto di quasi 3 ettari ma nessun dipendente e un solo trattore.La tragedia del trentunenne indiano Satnam Singh forse servirà a migliorare l’esistenza di molti suoi connazionali e non solo loro, sottoposti a condizioni di vita disumane nei campi agricoli italiani. Il caso del giovane sikh stimolerà anche la caccia agli sfruttatori che popolano le campagne del Belpaese, italiani, ma anche stranieri, i quali spesso svolgono il ruolo di caporali, i moderni kapò. La Procura di Latina guidata da Giuseppe De Falco, dopo aver mandato alla sbarra la famiglia di Aboubakar Soumahoro proprio per il cattivo utilizzo dei fondi destinati ai più sfortunati, adesso si sta occupando di un italiano, Antonello Lovato, trentottenne di Latina, titolare dell’omonima azienda agricola, impresa unipersonale, e consigliere della società cooperativa Agrilovato, presieduta dal padre Renzo e, sino a poche ore fa, in procinto di entrare in un consorzio collegato a Legacoop. Lovato jr è stato individuato dagli inquirenti come committente del cittadino indiano deceduto ed è al momento è l’unico indagato nel fascicolo. L’ipotesi di reato iniziali per cui si procede sono omicidio colposo e omissione di soccorso. Le investigazioni approfondiranno altre possibili contestazioni: violazioni delle norme in materia di sicurezza del lavoro, rilevanza causale sulla morte dell’omissione di soccorso, eventuali situazioni di caporalato e violazioni di carattere amministrativo relative al rapporto di lavoro.La moglie di Singh, Soni, ha ottenuto il suo primo permesso di soggiorno per motivi di giustizia e potrà chiedere il ricongiungimento famigliare con la madre. Adesso potrà usufruire di tutte le prestazioni sociali collegate al suo status reddituale, a partire dall’assegno di inclusione in attesa di eventuali risarcimenti. I magistrati hanno già iniziato a raccogliere i dati relativi all’azienda. Il fatturato della coop, tra il 2022 e il 2023, ha avuto un calo vertiginoso, passando da 1,95 milioni di euro a 1,16. A diminuire sono stati anche i costi per il personale, scesi da 223.000 euro a 150.000. Gli utili sono stati inversamente proporzionali alle presunte spese per i dipendenti: 62.468 euro nel 2023, 111 euro nel 2022. Dai fascicoli aziendali depositati presso l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) dell’azienda individuale e della cooperativa risulta che la prima avrebbe in affitto 2,74 ettari (27.400 metri quadrati, come quattro campi da calcio) di terreni a Latina, mentre la seconda solo 0,4 ettari (4.000 metri quadrati, oltre metà campo da calcio) localizzati a Sabaudia. E proprio per il presunto sfruttamento del lavoro nei campi di Sabaudia tra il novembre del 2019 e il maggio del 2020 è stato iscritto sul registro degli indagati papà Renzo insieme a un socio per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (il reato di caporalato). Gli indagati avrebbero sottopagato i manovali agricoli e li avrebbero sistemati in strutture fatiscenti in cambio di una pigione di 100 euro al mese.Antonello Lovato ha dichiarato all’Agea che per lavorare i campi dell’azienda personale, coltivati a «seminativi» (per esempio cereali, legumi, patate), non ha nemmeno un dipendente e ha raccontato di avere come mezzi di produzione solo un trattore. Per quanto riguarda la coop nel fascicolo i campi «manodopera» e «mezzi di produzione» sono vuoti. Nessun cenno al macchinario avvogli plastica a rullo trascinato dal trattore in cui è rimasto incastrato con gambe e braccia il trentunenne indiano.Lovato jr con la ditta individuale, ha persino richiesto rimborsi comunitari.I cosiddetti titoli per i suoi terreni ammontano a circa 700 euro e per questi ha ricevuto tra fine 2023 e il 2024 circa 900 euro di rimborsi in tre tranche (un anticipo e due saldi, l’ultimo il 7 giugno, di pochi euro). Per le richieste di finanziamenti del 2021 e del 2022 aveva ottenuto altri 2.500 euro. La cooperativa ha presentato due domande di sostegno per sviluppo rurale, che non sono state finanziate. Il fascicolo risulta chiuso il 31 dicembre 2023 in quanto «dormiente». Nel 2016 la società agricola Lovato Renzo & Lovato Antonino, nata nel 2005, ha ricevuto 128.000 euro relativi a una richiesta di aiuto del 2008.Ma come è possibile che non ci sia in Italia la possibilità di smascherare in automatico chi dichiara di coltivare ettari di terreno senza manodopera? Il direttore dell’Agea Fabio Vitale, già capo della Vigilanza dell’Inps, e attuale consigliere di amministrazione dell’istituto previdenziale, sul punto ha le idee chiare: «Quello che è accaduto a Latina è uno scempio, una vergogna e il nostro impegno sarà costante per evitare che le organizzazioni criminali utilizzino soldi che devono andare agli agricoltori o che gli imprenditori disonesti sfruttino e addirittura uccidano povera gente che disperatamente cerca di sopravvivere». Vitale spiega quali saranno i prossimi passi per evitare che si verifichino altri casi come quello di Latina: «Posso anticipare che inizieremo un’attività serrata di controllo sulle aziende che hanno dichiarato pochi o nessun lavoratore rispetto alla consistenza dei terreni e delle colture. Recentemente abbiamo anche firmato un protocollo con l’Inps per incrociare i dati su terreni e lavoratori e capire chi stia sfruttando illegalmente la manodopera».Un’impresa che non si annuncia semplice.Anche perché con il governo Renzi gli ispettori dell’Inps sono stati accorpati a quelli dell’Ispettorato nazionale del lavoro e per questo il loro numero è sceso, essendo il loro ruolo a esaurimento (non vengono rimpiazzati), da 1.600 a meno di 750. «Con il numero attuale di ispettori Inail, Inl e Inps si può controllare al massimo il 5 per cento dell’aziende italiane, neanche lo 0,5 per cento di quelle agricole che sono 1,2 milioni» prosegue Vitale, che punta a a controlli basati su un’attività di intelligence collegata allo scambio di informazioni e all’incrocio dei dati. Il direttore dell’Agea, ex carabiniere ed ex dirigente generale di via Ciro il grande, è uno dei consiglieri più ascoltati del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e a proposito dell’operato del ministro ci spiega: «Ha da subito istituito una cabina di regia interforze per contrastare le frodi in agricoltura, tra cui anche la cosiddetta condizionalità sociale».Con la nuova Politica agricola comune 2023-2027 è entrata in vigore l’applicazione di questa «condizionalità sociale» che mira a far rispettare, agli agricoltori percettori degli aiuti Pac, la normativa nazionale sulla sicurezza del lavoro e dei contratti dei lavoratori pena l’applicazione di sanzioni. Ma la caccia ai furbetti sembra quella al classico ago nel pagliaio. Per esempio paiono andare in direzione opposta rispetto alle iniziative di ministero dell’Agricoltura e Agea i due protocolli d’intesa firmati dall’Ispettorato nazionale del lavoro con il Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, il primo riguardante l’asseverazione rilasciata dai medesimi consulenti e il secondo relativo a legalità, vigilanza e contrasto all’abusivismo professionale.Per l’Inl (organismo controllato dal ministero del Lavoro) ha firmato l’accordo l’ex dg dei consulenti del lavoro Paolo Pennesi, per i consulenti del lavoro Rosario De Luca, marito del ministro del Lavoro Marina Elvira Calderone.Matteo Ariano coordinatore nazionale del comparto Funzione pubblica della Cgil, sindacato particolarmente attivo nel contrasto al caporalato, ha riassunto così le principali presunte storture: «Si rispolvera l’asseverazione di conformità […] con cui il datore di lavoro si fa certificare, a pagamento, dal consulente del lavoro di essere in regola col pagamento di contributi, di rispettare le norme contrattuali e di legge in materia di rapporti di lavoro. In cambio, sarà inserito in una lista di “aziende buone”, che saranno esonerate dalle ispezioni sul lavoro per un anno, a meno che non siano presentate denunce, inchieste giudiziarie o indagini a campione sulla veridicità delle autocertificazioni». Per Ariano non è migliore il secondo protocollo: «Praticamente consegna le chiavi dell’attività dell’Inl a un soggetto privato quale è l’ordine dei consulenti del lavoro». Ariano aggiunge: «Si aggiunge che le ispezioni debbano avvenire con la minor turbativa possibile all’attività produttiva». A questo punto il sindacalista si domanda: «Cosa si deve fare per non turbare l’attività? Si avvisa l’azienda prima di procedere all’ispezione? Si chiede il permesso di poter entrare in azienda o di parlare coi lavoratori, sempre che non sia di troppo disturbo?». Nel frattempo Agea ha trovato poca collaborazione. Dopo una serie di incontri informali avvenuti con tutti gli attori coinvolti (dal ministero del Lavoro al ministero dell’Interno, dai Vigili del fuoco al Comando dei carabinieri per la Tutela del Lavoro) il 12 dicembre 2023 ha trasmesso una nota in cui era evidenziata l’esigenza di dare «immediata» attuazione al rispetto delle norme sociali, di sicurezza sul lavoro e di contratti dei lavoratori. Sempre nel mese di dicembre l’agenzia ha messo a disposizione delle autorità coinvolte la lista dei soggetti che avevano presentato la domanda per i premi Pac 2023 affinché fossero segnalate eventuali infrazioni per le materie di competenza. A maggio, sempre l’Agea, con un’ulteriore nota, ha sollecitato la trasmissione con la massima urgenza di tali informazioni.Anche perché, in caso di mancata comunicazione a Bruxelles, c’è il rischio di rettifiche finanziarie forfettarie del 10% da parte della Commissione europea calcolate sul totale dei pagamenti effettuati dagli organismi pagatori regionali. Ma nessuno dei numerosi destinatari della mail ha inviato le notizie richieste. Nonostante la sensibilità sulla questione del ministro Lollobrigida e dei suoi collaboratori, sembra che non tutti abbiano a cuore il problema allo stesso modo. Ma Vitale è convinto che con il lavoro di squadra sarà più facile individuare le mele marce: «Agea ha sviluppato un’attività di intelligence basato anche sui dati europei del sistema Arachne e, su input del ministro, Agea ha istituito insieme ai Carabinieri forestali un ufficio antifrode che elabora i dati al fine di evitare finanziami illegittimi. Speriamo che tutti remino nella stessa direzione, visto che quello di Singh non è un caso isolato e i nuovi schiavisti meritano pene severissime».
Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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