Gli Etf sono sempre più popolari anche in Italia perché offrono rendimenti interessanti grazie a spese di gestione e commissioni contenute. Disponibili prodotti indicizzati a materie prime e criptovalute.
Gli Etf sono sempre più popolari anche in Italia perché offrono rendimenti interessanti grazie a spese di gestione e commissioni contenute. Disponibili prodotti indicizzati a materie prime e criptovalute.Gli Etf (acronimo di exchange traded funds) sono fondi di gestione negoziati in Borsa come le normali azioni. A differenza dei fondi d’investimento tradizionali (o Sicav), gestiti da esperti che si occupano degli investimenti sottostanti, questi si limitano a replicare passivamente un indice senza l’apporto di alcun esperto. Ciò fa sì che le commissioni siano molto più basse (anche del 90% e più al confronto), inoltre nulla viene ristornato o retrocesso per il «consiglio» da parte di banche, promotori, private banker o consulenti finanziari, come accade invece con molti altri prodotti del risparmio gestito. Con gli Etf si acquista quindi un paniere di azioni, obbligazioni o un indice, ottenendo investimenti diversificati a commissioni basse. Gli Etf generano quindi molte meno entrate per i loro distributori rispetto a un fondo con commissioni più elevate e questo spiega perché difficilmente vengono proposti ai risparmiatori.Secondo l’osservatorio realizzato dalla società di analisi finanziaria Quantalys e Bnp paribas asset management, gli Etf venduti sul mercato europeo sopportano lo 0,31% di commissioni di gestione, contro l’1,50% dei fondi azionari. Per quanto riguarda gli Etf obbligazionari il loro costo annuo è oltre quattro volte inferiore rispetto ai fondi investiti in obbligazioni.Per intendersi, secondo un recente rapporto dall’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma), l’Italia ha le commissioni di gestione più elevate per i prodotti azionari in Europa, quasi il 2%. Di questo mediamente il 70% viene retrocesso alla rete di distribuzione. Una riforma proposta dal commissario europea alle Finanze, Mairead McGuinness ha proposto di abolire questo meccanismo che non rende allineati gli interessi delle banche e reti con quelli dei loro clienti ma la forte opposizione di banche, reti e anche di alcuni governi ha impedito il divieto di questa pratica. Ciò spiega perché gli Etf in Italia sono approdati da oltre 20 anni, ma solo negli ultimi hanno iniziato ad attirare l’attenzione di molti risparmiatori all’interno di un trend globale mondiale li vede rubare quote di mercato ai fondi d’investimento. «Fra le ragioni del successo degli Etf c’è il fatto che i gestori dei fondi cosiddetti attivi non riescono a tenere il passo come performance nel tempo per effetto principalmente della zavorra dei costi», spiega Salvatore Gaziano, direttore investimenti di Soldiexpert scf. «Questo lo certifica da diversi lustri S&P global che ogni anno redige un report disponibile online (Spiva) che indica come pochissimi fondi (mediamente uno su dieci) riescano nel tempo a generare extrarendimenti rispetto a un approccio passivo come quello rappresentato dalla maggior parte degli Etf», conclude.Nel mondo le attività investite in Etf hanno superato nel primo semestre 2023 il record storico di 10,3 trilioni di dollari grazie alla salita dei mercati azionari e agli afflussi resilienti. In Italia sono quotati oltre 1.800 Etf che coprono tutti i comparti, dall’azionario all’obbligazionario, dalle materie prime alle criptovalute.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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