
Contagiati 8 ospiti e il direttore della struttura di via Aquila. Il Viminale insiste: «Nei Cara controlli regolari». Ma i rimpatri sono fermi, il rischio contagio aumenta, rispettare le norme di sicurezza è quasi impossibile. E i costi della gestione salgono.Due settimane fa i primi casi: nel centro milanese di via Fantoli e in un'altra struttra in provincia di Monza e Brianza. Ora il nuovo focolaio: otto ospiti del centro di accoglienza di via Aquila, a Milano, sono stati contagiati dal coronavirus assieme al direttore della struttura, che è organizzata dalla multinazionale francese Gepsa (un colosso che si occupa di carceri e gestione dei migranti anche Oltralpe). Come riporta Il Giorno, su otto migranti infettati «quattro sono stati posti in regime di sorveglianza sanitaria, mentre altri quattro sono stati spostati in un'altra struttura per la quarantena». I locali sono stati sanificati, e altre 17 persone sono state spostate in centri diversi, al fine di ridurre la concentrazione all'interno dei locali di via Aquila (che possono ospitare fino a 270 stranieri). Il punto, d'altra parte, è proprio questo: nei centri di accoglienza sparsi per la penisola sono presenti spesso centinaia di persone, far rispettare le distanze e le norme di sicurezza è estremamente difficile, e se i contagi dovessero diffondersi ulteriormente si tratterebbe di un disastro annunciato. Il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, in un'intervista a Sky si è mostrata molto sicura di sé stessa. Giorni fa aveva annunciato, a Repubblica, una sorta di piano nazionale sull'immigrazione, ma a quanto pare ha cambiato idea. Per ora tutto rimane così com'è, nel senso che di iniziative particolari da parte del Viminale non ce ne sono, né sugli sbarchi né sull'organizzazione dell'accoglienza. «Tutti i pochi migranti, circa 240, arrivati a marzo sono stati posti in quarantena per 14 giorni», ha detto la Lamorgese. Il punto è che, per ora, gli approdi sulle coste italiane si sono ridotti, ma non è affatto detto che la situazione rimanga placida, anzi. La stessa Lamorgese, giustamente, nota che «oggi i numeri sono ridottissimi ma dobbiamo preoccuparci per i periodi futuri. L'accordo di Malta, che aveva avuto un grande effetto, in questo momento è ovviamente fermo come sono fermi gli arrivi ma dobbiamo pensare anche al futuro e su quello dobbiamo lavorare in modo da avere sempre davanti il principio di solidarietà europea». È la seconda parte del discorso a preoccupare. L'accordo di Malta (di fatto inesistente) non ha funzionato affatto nei mesi passati, e sulle nostre coste gli sbarchi sono aumentati di circa il 700%. Aspettarsi una «solidarietà europea» nei prossimi mesi è per lo meno ingenuo. Ma non sembra che il governo abbia grandi idee sull'argomento, nonostante gli appelli di Luigi Di Maio per la chiusura dei porti. Ad oggi, però, la principale preoccupazione riguarda la gestione dei migranti che sono già presenti sul nostro territorio. Secondo la Lamorgese «vengono fatti controlli regolari nei Cara in cui c'è la larga parte dei migranti in accoglienza e abbiamo dato istruzioni agli enti gestori di osservare le regole stabilite dal ministero della Salute». Ma, nella realtà, sembra proprio che il quadro sia decisamente più complicato. Qualche giorno fa, nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gradisca d'Isonzo è stato trovato un positivo al Covid-19 (un nigeriano trasferito da Cremona). Il sindaco di Gradisca, Linda Tomasinsig, ha espresso forti preoccupazioni: «I Centri per i rimpatri sono frequentati quotidianamente da persone che vivono all'esterno come personale delle forze di polizia, degli enti gestori, mediatori, giudici e avvocati», ha scritto su Facebook. «Da qui il conseguente pericolo per loro e i loro familiari di diffusione del contagio. Prendo atto delle rassicurazioni del prefetto in merito alle precauzioni adottate, all'isolamento del detenuto fin dal suo arrivo nel Cpr di Gradisca, ma non ho potuto che esprimergli tutta la mia preoccupazione per la situazione che si è venuta a creare, per i pericoli nei confronti dei detenuti e dei lavoratori». Secondo Il Piccolo, le presenze all'interno del Cpr di Gradisca sono aumentate di un terzo nelle ultime settimane e gli operatori del centro sono «in stato di agitazione». Il 26 marzo, il Viminale ha diramato una circolare intitolata «Interventi di prevenzione della diffusione del virus Covid-19 nell'ambito dei centri di permanenza per il rimpatrio». Leggendola si capisce che i migranti ospitati dai centri potranno continuare a incontrare persone provenienti dall'esterno, anche se a distanza di due metri. La circolare, inoltre, fornisce una preziosa informazione: «Ai maggiori oneri dovuti all'incremento dell'erogazione dei servizi di accoglienza si potrà provvedere con la stipula di appositi atti aggiuntivi alle convenzioni attualmente in corso». Tradotto significa che non esiste un piano nazionale per la sicurezza dei centri di accoglienza, se si escludono indicazioni sommarie che è comunque molto difficile (se non impossibile) far rispettare. Il rischio di contagio è alto sia per i migranti sia per gli esterni che frequentano i centri. Infine, i costi dell'accoglienza aumenteranno, anche perché in alcuni casi si dovranno utilizzare nuove strutture al fine di decongestionare i centri troppo pieni. Da tutta Italia gli operatori delle strutture che accolgono gli stranieri continuano a lanciare allarmi: mancano mascherine, è impossibile mantenere le distanze, non ci sono presidi di sicurezza adeguati. Poi, ovviamente, ci sono le situazioni di totale illegalità, come la baraccopoli abusiva di Borgo Mezzanone, sorta accanto al Cara della provincia di Foggia. Nella notte tra sabato e domenica sono andate a fuoco 30 baracche. Insomma, il caos totale è dietro l'angolo. Ma finora il Viminale ha pensato soltanto a rinnovare di un mese la durata dei permessi di soggiorno e a far sapere che i costi aggiuntivi dell'accoglienza saranno coperti da nuovi accordi. Più che alla «solidarietà europea», sembra che tocchi affidarsi alla sorte, e sperare che Dio ce la mandi buona.
Diego Fusaro (Imagoeconomica)
Il filosofo Diego Fusaro: «Il cibo nutre la pancia ma anche la testa. È in atto una vera e propria guerra contro la nostra identità culinaria».
La filosofia si nutre di pasta e fagioli, meglio se con le cotiche. La filosofia apprezza molto l’ossobuco alla milanese con il ris giald, il riso allo zafferano giallo come l’oro. E i bucatini all’amatriciana? I saltinbocca alla romana? La finocchiona toscana? La filosofia è ghiotta di questa e di quelli. È ghiotta di ogni piatto che ha un passato, una tradizione, un’identità territoriale, una cultura. Lo spiega bene Diego Fusaro, filosofo, docente di storia della filosofia all’Istituto alti studi strategici e politici di Milano, autore del libro La dittatura del sapore: «La filosofia va a nozze con i piatti che si nutrono di cultura e ci aiutano a combattere il dilagante globalismo guidato dalle multinazionali che ci vorrebbero tutti omologati nei gusti, con le stesse abitudini alimentari, con uno stesso piatto unico. Sedersi a tavola in buona compagnia e mangiare i piatti tradizionali del proprio territorio è un atto filosofico, culturale. La filosofia è pensiero e i migliori pensieri nascono a tavola dove si difende ciò che siamo, la nostra identità dalla dittatura del sapore che dopo averci imposto il politicamente corretto vorrebbe imporci il gastronomicamente corretto: larve, insetti, grilli».
Leonardo
Il fondo è pronto a entrare nella divisione aerostrutture della società della difesa. Possibile accordo già dopo l’incontro di settimana prossima tra Meloni e Bin Salman.
La data da segnare con il circoletto rosso nell’agenda finanziaria è quella del 3 dicembre. Quando il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, parteciperà al quarantaseiesimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), su espressa richiesta del re del Bahrein, Hamad bin Isa Al Khalifa. Una presenza assolutamente non scontata, perché nella Penisola araba sono solitamente parchi con gli inviti. Negli anni hanno fatto qualche eccezione per l’ex premier britannica Theresa May, l’ex presidente francese François Hollande e l’attuale leader cinese Xi Jinping e poco altro.
Emmanuel Macron (Ansa)
Bruxelles apre una procedura sull’Italia per le banche e tace sull’acciaio transalpino.
L’Europa continua a strizzare l’occhio alla Francia, o meglio, a chiuderlo. Questa volta si tratta della nazionalizzazione di ArcelorMittal France, la controllata transalpina del colosso dell’acciaio indiano. La Camera dei deputati francese ha votato la proposta del partito di estrema sinistra La France Insoumise guidato da Jean-Luc Mélenchon. Il provvedimento è stato approvato con il supporto degli altri partiti di sinistra, mentre Rassemblement National ha ritenuto di astenersi. Manca il voto in Senato dove l’approvazione si preannuncia più difficile, visto che destra e centro sono contrari alla nazionalizzazione e possono contare su un numero maggiore di senatori. All’Assemblée Nationale hanno votato a favore 127 deputati contro 41. Il governo è contrario alla proposta di legge, mentre il leader di La France Insoumise, Mélenchon, su X ha commentato: «Una pagina di storia all’Assemblea nazionale».
Maria Rita Parsi (Imagoeconomica)
La celebre psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi: «È mancata la gradualità nell’allontanamento, invece è necessaria Il loro stile di vita non era così contestabile da determinare quanto accaduto. E c’era tanto amore per i figli».
Maria Rita Parsi, celebre psicologa e psicoterapeuta, è stata tra le prime esperte a prendere la parola sulla vicenda della famiglia del bosco.






