Alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo, una mostra «che sa di primavera» celebra il tema floreale dal Novecento ad oggi attraverso le opere dei grandi nomi dell’arte italiana: da Boldini a Segantini, passando per Guttuso, Balla, De Pisis e Paolini, esposti oltre 150 capolavori, provenienti da prestigiose istituzioni pubbliche e collezioni private.
Alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo, una mostra «che sa di primavera» celebra il tema floreale dal Novecento ad oggi attraverso le opere dei grandi nomi dell’arte italiana: da Boldini a Segantini, passando per Guttuso, Balla, De Pisis e Paolini, esposti oltre 150 capolavori, provenienti da prestigiose istituzioni pubbliche e collezioni private.«Non c’è pittrice o pittore del Novecento che non abbia dipinto fiori, seguendo una vocazione intima e una personalissima interpretazione, una sfida rappresentativa. Il fiore è un soggetto semplice, ma è anche un universo di simboli complessi, di forme sofisticate e per questo irresistibile». E’ da questa frase di Daniela Ferrari (insieme a Stefano Roffi curatrice dell’esposizione) che prende il via la bella « mostra corale »in corso alla Villa delle Meravglie, un evento inaugurato non a caso il 14 marzo, Giornata Nazionale del Paesaggio e che terminerà il 29 giugno, all’inizio dell’estate. «Mostra corale» perché ben 150 sono le opere esposte, tantissimi gli artisti, moltissimi i collezionisti privati e le istituzioni (ad iniziare dal MART di Rovereto per arrivare al Museo del ‘900 di Milano) che hanno contribuito, con i loro prestiti eccezionali, alla ricchezza di un percorso espositivo lungo e articolato, dove ogni sezione è definita da un aggettivo che si addice anche ai fiori: fiori silenziosi, simbolici, futuristi, inquieti. E così via. Ad aprirlo, la maestosa, visionaria e coloratissima, Flora Magica – Scenografia de Le Chant du Rossignol di Fortunato Depero, una sorta di «intallazione » futurista che l’artista creò nel 1917 per uno spettacolo che non andò mai in scena, ma che testimonia l’eccezionale versatilità artistica del suo geniale creatore. A seguire, come fosse una «seconda apertura», lo studio per Flora sparge i fiori di Giulio Paolini, un disegno preparatorio datato 1968 in cui Paolini « gioca » con le sovrapposizioni e le duplicazioni di piani e figure, regalando a chi osserva un senso di ciclica continuità, come fosse la vita che si rinnova. E sempre a Giulio Paolini, artista concettuale contemporaneo molto amato dalla curatrice Daniela Ferrari (per sua stesa ammissione…), è affidata la chiusura della mostra, che saluta i visitatori con L’artista ringrazia (2022), rappresentazione di una figura maschile tracciata a matita che regge fra le mani il collage di un delicato bouquet floreale. Ma se Paolini apre e chiude idealmente l’esposizione , sala dopo sala, il «percorso floreale », tra opere singole e quadrerie , si snoda fra le tele dei grandi artisti italiani del Novecento , dalle Ortensie di Segantini e Longoni alle Dalie di Previati e Donghi, dalla Flora magica di Depero ai mazzi ipnotici di fiordalisi, papaveri e margherite di Casorati, dal Gladiolo fulminato di de Pisis, simbolo della caducità della vita, ai Crisantemi metafisici di de Chirico e allo splendido collage Balfiori di Giacomo Balla, fino a una importante sezione contemporanea, che annovera, fra gli altri, capolavori di Fausto Melotti (in mostra con Giardino pensile del 1972) , Mario Schifano (che interpreta il fiore come segno iconico, tra pop art e riflessione sociale) e del noto artista greco Jannis Kounellis, fra i maggiori rappresentanti dell’ arte povera (straordinaria, in mostra , la sua gigantesca Rosa nera, sagoma di un fiore nero che spicca su un fondo bianco). Sempre restando in tema di rose, nella sezione Una rosa è una rosa, a spiccare la delicatezza pastello dei Fiori di Giorgio Morandi, un olio su tela del 1951 che lo schivo artista emiliano (che dipingeva fiori solo per le persone a lui più care …) donò all’amico fraterno Luigi Magnani durante uno dei suoi soggiorni a Travesetolo. Una delicatezza che si ritrova anche ne La baronessa di Gunzburg di Giovanni Boldini, mentre la Signora con la rosa di Renato Guttuso colpisce per la sua intensa e spiccata drammaticità. A colpire il visitatore, anche il tripudio di ori dal sapore «Klintiano» delle due gigantesche tele (da sole occupano un’intera parete…) L'Amore e La Vita - entrambe datate 1919 - di Galileo Chini, artista eclettico e fra i massimi esponenti del Liberty italiano. E che dire poi dell’intenso Ritratto di Gigina (1930) di Luigi Bonazza e dell’ Enfant aux fleurs (1910) del veneziano Federico Zandomeneghi, dove l’elemento floreale si sposa con la chioma fulva della bella giovinetta ritratta d profilo? Flora è davvero una mostra ricca di sorprese, un viaggio nell’arte italiana compiuto attraverso il fascino senza tempo dei fiori, un incanto che ha il suo compimento (e il suo valore aggiunto) nel romantico Parco che circonda la Villa delle Meraviglie, un’estensione di dodici ettari di giardino all’italiana , recentemente restaurato, che custodisce un laghetto, un insolito assortimento botanico ed esemplari imponenti di sequoie, platani e cedri del libano. Oltre a maestosi ed eleganti pavoni, in assoluto i più fotografati dal pubblico. Ovviamente dopo le straordinarie opere d’arte che la Fondazione custodisce.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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