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2022-02-23
L'ultima inchiesta di De Pasquale: un'altra assoluzione su British Telecom
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Fabio De Pasquale (Ansa)
Dopo il fallimento sul processo Opl 245, (la licenza petrolifera in Nigeria dove Eni e Shell insieme con i rispettivi vertici sono stati assolti perché il fatto non sussiste), il pm Fabio De Pasquale registra una nuova sconfitta. E’ quella su Bt Italia, la controllata italiana di British Telecom, su cui nel 2017 proprio il dipartimento per i reati economico-finanziari guidato da De Pasquale aveva aperto un’indagine alquanto articolata. Secondo le ipotesi dei magistrati meneghini - quel team che era stato creato storicamente dall’ex capo della procura Francesco Greco – ci sarebbero state irregolarità contabili il gruppo inglese aveva sospeso l’amministratore delegato della controllata, Gianluca Cimini e il direttore generale, Stefania Truzzoli.
Le accuse iniziali erano di associazione a delinquere, falso in bilancio e fatturazioni fittizie. Poi si aggiunge anche la frode in pubbliche forniture. Gli errori di gestione sarebbero costate al gruppo britannico di telefonia una svalutazione di almeno 530 milioni di sterline, quasi 610 milioni di euro con conseguente taglio delle stime su utili, fatturato e cash flow. La società era stata costretta a emanare un profit warning sia per il 2016 che per il 2017, facendo precipitare il suo titolo in Borsa di quasi il 20%.
Cimini è uscito dal processo perché morto, mentre Truzzoli è stata martedì assolta in seconda grado, con una sentenza di assoluzione nel merito. Era l’unica dei 22 indagati ad aver scelto il rito abbreviato. Lo aveva chiesto nel 2019, beccandosi una condanna a un anno. Per certi versi la vicenda è simile a quella del processo Opl 245, dove i due presunti intermediari della presunta tangente da 1 miliardo di dollari, Gianluca Di Nardo e Emeka Obi, furono condannati in primo grado dopo aver richiesto l’abbreviato. Poi sono stati assolti in appello con formula definitiva: la procura generale ha deciso di non fare appello in Cassazione. Allo stesso modo anche sul caso Bt è stata la procura generale a chiedere l'assoluzione di Truzzoli. Ora si attende la fine del processo, che nel filone principale è solo alle prime battute.
Ad assistere Truzzoli, è stato il consulente tecnico Stefano Martinazzo della società investigativa Axerta, in passato più volte consulente della stessa procura meneghina, in inchieste come quella sui 49 milioni di euro della Lega o nei processi a carico dell’ex premier Silvio Berlusconi. Ebbene l’avvocato di Stefania Truzzoli, Giovanni Paolo Accinni, nella contestazione della sentenza di primo grado, non risparmia alcune critiche alla pubblica accusa, ovvero proprio a De Pasquale e alla pm Silvia Bonardi che ha portato avanti le indagini. E nello specifico sottolinea diverse criticità tra cui anche la carenza di materiale probatorio. Il giudice di primo grado, a detta del legale dell’ex direttore generale di BT, non avrebbe valutato le prove esistenti a carico di Stefania Truzzoli, ma si sarebbe limitato ad esporre il proprio intimo e contestabile convincimento. Le uniche prove portate dalla Procura, sono infatti le dichiarazioni rese dal teste Francesco Abeille il 21 giugno 2018 a cui si aggiunge «un’unica frase estrapolata dall’interrogatorio reso dal coimputato Luca Sebastiani in data 9 maggio 2018». Oltre a questo il nulla. «Non vi è altro in sentenza» sostiene Accinni «e, a ben vedere, non vi è altro nemmeno agli atti, tant’è che anche i Pubblici Ministeri, nella loro memoria conclusiva e durante la discussione del giudizio abbreviato, avevano valorizzato proprio quelle due sole fonti».
Anzi, aggiunge il legale. «Perfino nell’annotazione finale di polizia giudiziaria, Truzzoli viene citata solo in relazione alle dichiarazioni di Abeille. Considerata allora la mole del fascicolo, il numero di testimoni ascoltati e di interrogatori, il numero di memorie difensive depositate e tutta la documentazione acquisita, è proprio il caso di dire che la montagna ha partorito il topolino!». In pratica, come poi confermato dal giudice di secondo grado, i testimoni portati dall’accusa non hanno riferito niente che potesse attribuire responsabilità dei bilanci falsi proprio all’ex direttore generale. Per di più è proprio la relazione tecnica del commercialista Martinazzo, che è stato in passato consulente dello stesso De Pasquale nel caso Berlusconi-Mills, a spiegare come «dall’esame delle attività svolte dall’Ing. Stefania Truzzoli emerge che quest’ultima si occupasse esclusivamente degli aspetti tecnico-operativi nella fornitura dei servizi alla clientela e degli aspetti commerciali con esclusivo riferimento alla clientela delle piccole-medie imprese, senza avere alcuna possibilità di incidere o anche solo, in qualche modo, influenzare le decisioni attinenti alla rilevazione, classificazione e controllo delle singole poste contabili di cui l’accusa assume la falsità».
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Riduci
Dopo 5 anni di indagine martedì è stata assolta in secondo grado l'ex direttore generale Stefania Truzzoli. L'avvocato: «È proprio il caso di dire che la montagna ha partorito il topolino». Dopo il fallimento sul processo Opl 245, (la licenza petrolifera in Nigeria dove Eni e Shell insieme con i rispettivi vertici sono stati assolti perché il fatto non sussiste), il pm Fabio De Pasquale registra una nuova sconfitta. E’ quella su Bt Italia, la controllata italiana di British Telecom, su cui nel 2017 proprio il dipartimento per i reati economico-finanziari guidato da De Pasquale aveva aperto un’indagine alquanto articolata. Secondo le ipotesi dei magistrati meneghini - quel team che era stato creato storicamente dall’ex capo della procura Francesco Greco – ci sarebbero state irregolarità contabili il gruppo inglese aveva sospeso l’amministratore delegato della controllata, Gianluca Cimini e il direttore generale, Stefania Truzzoli. Le accuse iniziali erano di associazione a delinquere, falso in bilancio e fatturazioni fittizie. Poi si aggiunge anche la frode in pubbliche forniture. Gli errori di gestione sarebbero costate al gruppo britannico di telefonia una svalutazione di almeno 530 milioni di sterline, quasi 610 milioni di euro con conseguente taglio delle stime su utili, fatturato e cash flow. La società era stata costretta a emanare un profit warning sia per il 2016 che per il 2017, facendo precipitare il suo titolo in Borsa di quasi il 20%. Cimini è uscito dal processo perché morto, mentre Truzzoli è stata martedì assolta in seconda grado, con una sentenza di assoluzione nel merito. Era l’unica dei 22 indagati ad aver scelto il rito abbreviato. Lo aveva chiesto nel 2019, beccandosi una condanna a un anno. Per certi versi la vicenda è simile a quella del processo Opl 245, dove i due presunti intermediari della presunta tangente da 1 miliardo di dollari, Gianluca Di Nardo e Emeka Obi, furono condannati in primo grado dopo aver richiesto l’abbreviato. Poi sono stati assolti in appello con formula definitiva: la procura generale ha deciso di non fare appello in Cassazione. Allo stesso modo anche sul caso Bt è stata la procura generale a chiedere l'assoluzione di Truzzoli. Ora si attende la fine del processo, che nel filone principale è solo alle prime battute.Ad assistere Truzzoli, è stato il consulente tecnico Stefano Martinazzo della società investigativa Axerta, in passato più volte consulente della stessa procura meneghina, in inchieste come quella sui 49 milioni di euro della Lega o nei processi a carico dell’ex premier Silvio Berlusconi. Ebbene l’avvocato di Stefania Truzzoli, Giovanni Paolo Accinni, nella contestazione della sentenza di primo grado, non risparmia alcune critiche alla pubblica accusa, ovvero proprio a De Pasquale e alla pm Silvia Bonardi che ha portato avanti le indagini. E nello specifico sottolinea diverse criticità tra cui anche la carenza di materiale probatorio. Il giudice di primo grado, a detta del legale dell’ex direttore generale di BT, non avrebbe valutato le prove esistenti a carico di Stefania Truzzoli, ma si sarebbe limitato ad esporre il proprio intimo e contestabile convincimento. Le uniche prove portate dalla Procura, sono infatti le dichiarazioni rese dal teste Francesco Abeille il 21 giugno 2018 a cui si aggiunge «un’unica frase estrapolata dall’interrogatorio reso dal coimputato Luca Sebastiani in data 9 maggio 2018». Oltre a questo il nulla. «Non vi è altro in sentenza» sostiene Accinni «e, a ben vedere, non vi è altro nemmeno agli atti, tant’è che anche i Pubblici Ministeri, nella loro memoria conclusiva e durante la discussione del giudizio abbreviato, avevano valorizzato proprio quelle due sole fonti». Anzi, aggiunge il legale. «Perfino nell’annotazione finale di polizia giudiziaria, Truzzoli viene citata solo in relazione alle dichiarazioni di Abeille. Considerata allora la mole del fascicolo, il numero di testimoni ascoltati e di interrogatori, il numero di memorie difensive depositate e tutta la documentazione acquisita, è proprio il caso di dire che la montagna ha partorito il topolino!». In pratica, come poi confermato dal giudice di secondo grado, i testimoni portati dall’accusa non hanno riferito niente che potesse attribuire responsabilità dei bilanci falsi proprio all’ex direttore generale. Per di più è proprio la relazione tecnica del commercialista Martinazzo, che è stato in passato consulente dello stesso De Pasquale nel caso Berlusconi-Mills, a spiegare come «dall’esame delle attività svolte dall’Ing. Stefania Truzzoli emerge che quest’ultima si occupasse esclusivamente degli aspetti tecnico-operativi nella fornitura dei servizi alla clientela e degli aspetti commerciali con esclusivo riferimento alla clientela delle piccole-medie imprese, senza avere alcuna possibilità di incidere o anche solo, in qualche modo, influenzare le decisioni attinenti alla rilevazione, classificazione e controllo delle singole poste contabili di cui l’accusa assume la falsità».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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