2024-08-05
Flavio Caroli: «La cancel culture è insulsa. E la destra rispolveri Pound»
Flavio Caroli (Getty Images)
Il divulgatore d’arte: «Un autore resta di valore anche se fa sbagli. In pochi lo capiscono. Non sento mai i nostri politici parlare del patrimonio artistico in campagna elettorale».Quasi 80 anni, ancora da compiere nel 2025, e il ricordo nitido della commozione di quando era bambino («non più di 5 o 6 anni, davvero, ma rammento tutto»). Fuori nevicava e arrivò in volo una gazza nera. «Accanto a me una scatola di pastelli colorati regalo di mia zia, e sul muro un calendario con il quadro di Monet, la neve e la gazza nera. La corrispondenza. Piansi di emozione. Pensai di poter fermare il tempo». La vita di Flavio Caroli, storico e critico d’arte, è un susseguirsi di innamoramenti: li ha raccontati in Storia sentimentale dell’arte, un’educazione alla bellezza (Solferino), il suo libro più recente. Per Mondadori ha già consegnato le bozze di L’altra storia dell’arte. I vinti vincitori, uscirà in autunno. Ravennate di nascita, milanese d’adozione, Caroli ha iniziato l’attività accademica a Bologna e - transitando dagli atenei di Salerno e Firenze - dal 1995 è stato ordinario di Storia dell’arte al Politecnico di Milano. Responsabile scientifico delle attività espositive di Palazzo Reale del capoluogo lombardo fino al 2004, ha scritto più di 40 libri in altrettanti anni di carriera.Una vita tra studi, incontri, lezioni e volumi. Mestiere elitario, quello del divulgatore d’arte?«Una vita a raccontare l’esatto contrario: l’arte è per tutti. Serve a tutti. Che sia musica leggera - le potrei raccontare per filo e per segno anche l’istante in cui mi imbattei nell’ascolto del primo disco dei Beatles da ragazzo, She loves you - o pittura, cinema o un buon libro. Non ho mai fatto classifiche tra le arti, mi è sempre interessato solo dire al maggior numero di persone possibile che Fëdor Dostoevskij aveva ragione».Dicendo che la bellezza salverà il mondo?«Lo ha già salvato infinite volte. Pensi a cosa sarebbe il mondo senza la bellezza. Un susseguirsi di sbudellamenti, torture e brutalità. E invece dovrebbe vedere gli occhi dei giovani che vengono ad ascoltarmi. Impazziscono di gioia. Vogliono bellezza. Come la volevo io quando a 10 anni leggevo sotto le coperte Il vecchio e il mare, preso da un fascino totale per quella storia lontana eppure così vicina a me».Gli adulti sono capaci di offrirla, la meraviglia?«Ci vorrebbe una politica culturale, ci vorrebbe che la politica si facesse carico di questo bisogno».Ma…?«Non la fa più nessuno. Non che fuori dai nostri confini in Occidente ci si comporti tanto meglio, intendiamoci, pur se in Francia e in Inghilterra qualcosa in più si muove…».E da noi?«Mai sentiti i politici dire nelle recenti campagne elettorali che vogliano valorizzare questo e quello del nostro patrimonio artistico, o promuovere del nuovo».Da quanto, il disinteresse?«Bella domanda. Direi da quando la mia generazione era giovane». Addirittura.«A confronto con l’intensa politica culturale del Partito comunista, o quella dei socialisti, stiamo a zero».Bravi solo a sinistra?«Macché. Con Sandro Fontana, che fu vicesegretario della Democrazia cristiana e direttore del quotidiano Il Popolo, diventammo pure amici. Fu tra i promotori della mostra Nuova immagine, nel 1980 alla Triennale di Milano. Portammo artisti nuovi in Italia per la prima volta. Capiva l’importanza dell’arte per il Paese».Le censurarono qualche quadro o artista, ai tempi della Dc?«Una volta mi congratulai con Fontana e lui mi disse: “Semplicissimo: la cultura crea opinione”. Riteneva che in termini brutalmente elettorali fosse un valore».E quelli dalla parte opposta?«Alla Biennale di Venezia facevamo le riunioni per decidere il programma e Claudio Martelli era in anticamera ad attendere cosa deliberassimo. Gli importava, e molto. Non penso che avvenga anche oggi o che sia più avvenuto, un ministro in anticamera».Cultura e politica, il problema è…«Il livello. Con tutto il rispetto, non ho mica capito perché con una maggioranza di governo di centrodestra non si parli un giorno sì e l’altro pure dei saggi e dei romanzi di Louis-Ferdinand Céline. Che ha fatto pure un clamoroso errore con il pamphlet contro gli ebrei, è vero, ma resta un genio».Caroli contro la cancel culture.«Insulsa. Un autore è di valore anche se fa sbagli. E a destra dovrebbero guardare di più anche a Ezra Pound. Mi viene il sospetto che non ci sia tanta gente attrezzata per questo genere di cose, però. Non tutti, si intende. Qualcuno lo conosco anche io».Cosa serve per una svolta?«Persone illuminate. L’individuo è sempre fondamentale. Vedi per esempio cosa ha fatto Lucio Amelio per Napoli, facendola diventare un polo di arte contemporanea. A Torino finito l’agnellismo la città si è spenta culturalmente parlando. E si è sciupata pure la Juventus».La città oggi più culturalmente vivace?«Milano. Anche se le manca un museo d’arte contemporanea ed è abbastanza scandaloso».Lei alla fine del liceo decise di dedicarsi all’arte e in particolare alla ricostruzione della linea introspettiva del pensiero occidentale.«Confermo. Ebbi la fortuna di avere in classe a Ravenna teste pensanti che poi si sono distinte nella vita in ruoli di rilievo. Si chiacchierava di Freud e degli artisti del Cinquecento a scuola e fuori».Poche feste e molte riflessioni?«C’era il tempo per tutto. Da ragazzino ci fu un periodo che andavo anche due volte al giorno al cinema, per esempio. Ne ero incantato. Poi da adolescenti al cinema ci si andava in gruppo, con le ragazze».Tornando all’Occidente: avendone studiato la storia artistica, in che stato di salute si trova ora?«Sono decenni che siamo al tramonto eppure siamo ancora qui. Altrove progrediscono, è vero. In Cina c’è una tradizione artistica molto interessante, per esempio. Come pure in Giappone. Non so dirle dove andrà il mondo e nemmeno dove andrà l’arte, ma la storia insegna che i vinti potrebbero diventare vincitori, chissà».È il tema del suo prossimo libro, in libreria a fine ottobre.«Lorenzo Lotto, nella sua vita e in quattro secoli di storiografia, è stato un vinto. Nel manuale del mio esame di maturità era riassunto in breve. Lo accompagnavano solo aggettivi come anomalo, bizzarro, provinciale. Ho dedicato tanti scritti e tanto studio nel porre rimedio a questa ingiustizia. Si figuri che mentre dipingeva le tele della Santa Casa di Loreto, negli ultimi mesi della sua vita, gli facevano scrivere i numeri dei letti dei ricoverati».L’Occidente produce arte o cultura ancora valida?«Io sono felice di essere nato da questa parte del mondo, e pure di essere cresciuto in Italia. Un posto a sé da molti punti di vista. Anarchico, tutto sommato. Ammirato all’estero, fino al complesso di inferiorità di molti. Anche se si chiedono come facciamo noi, così cialtroni, a stare così bene. Non è un momento scintillante, questo bisogna dirlo. Ma negli anni Ottanta abbiamo brillato in tutto il mondo. Che cosa accadrà, non si sa».Perché è così imprevedibile, come dice, la storia dell’arte?«Prenda ad esempio la fine del movimento artistico dell’Informale. Tutti a interrogarsi su cosa sarebbe successo, a cercare di capire come quel linguaggio si sarebbe evoluto. Avevo 19 anni. Aprì la Biennale del 1964. Tutti ammutoliti, qualcuno addirittura disperato: era arrivata la Pop art. Il contrario delle previsioni. Il cambiamento avviene perché è l’artista stesso che non sa dove andrà. Fa arte perché non sa nulla di sé. Non comprende il senso del dolore e della sofferenza, e attraverso il pennello, o le note, o le immagini, è in continua ricerca e si esprime».Una domanda di senso?«Se ho speso la vita a dire che l’arte è per tutti e che occorrerebbe rimetterla al centro anche dell’insegnamento delle scuole è perché tutti hanno un cuore. E tutti quindi vivono nei misteri del cuore umano. Prenda ad esempio il tema del femminile, o della seduzione».Più studio dell’arte, uguale meno violenza sulle donne?«L’arte ha da sempre raccontato la gelosia in tutte le sue forme. Solo che l’ha sublimata. Un ossessionato dalla gelosia era per esempio Tolstoj. O Thomas Mann. Chi commette un delitto contro una donna lo fa per profondissima ignoranza e diseducazione. Esattamente l’assenza di cultura, di bellezza, di senso. Una deriva orribile».Altri misteri del cuore che la affascinano?«Il caos. Jackson Pollock fu il primo a darvi spazio e in un certo senso ad autorizzarlo. Nella stessa epoca in cui Einstein teorizzava la relatività. Non occorre sempre capire tutto, quando si ammira un quadro o quando si ascolta una canzone. Tocca il cuore, se è vera arte. Permette la conoscenza di sé. In forme più o meno sofisticate».