2023-04-23
La fissa di Giuseppi: farsi ubbidire
Conte rievoca il tempo della pandemia: «La mia più grande paura era la ribellione popolare ai nostri provvedimenti». E prova a scaricare sulle Regioni il flop sanitario.«Ancora lui, proprio lui», potrebbe a buon diritto gridare un telecronista di calcio. Lui è Giuseppe Conte, che, alla vigilia del varo della Commissione di inchiesta sulla vicenda Covid, intervistato dal direttore dell’Agenzia Vista Alexander Jakhnagiev, si produce in un autentico show: un po’ riscrivendo la storia a proprio uso e consumo, un po’ confessando la sua forma mentis illiberale, un po’ cercando di scaricare su altri eventuali responsabilità, un po’ tradendo alcune preoccupazioni per ciò che potrebbe venire fuori. E - in ultima analisi - preparandosi a chiamarsi fuori, realisticamente votando contro. Ma procediamo con ordine. Dopo un po’ di autoelogio lirico («Tocchiamo dei ricordi drammatici, addirittura tragici…»), l’ex presidente del Consiglio confessa apertamente il suo approccio nei confronti degli italiani: non cittadini-contribuenti ma soldatini chiamati a obbedire. Giudicate voi: «Ricordo sempre che la preoccupazione per ogni misura così importante che veniva presa era anche quella che ci fosse obbedienza civile». E qui ritroviamo - pari pari - il Conte dei dpcm più cervellotici, delle tabelle con le attività permesse o vietate, fino all’indimenticabile conferenza del 26 aprile 2020, quella del «noi consentiamo, noi permettiamo, noi vietiamo». La sensazione è che - allora come ora - il capo dei pentastellati nemmeno si sia reso conto della gravità dell’impostazione che tuttora rivendica: con lo Stato trasformato in titolare (e quindi in concessore o negatore) di libertà che invece dovrebbero pre-esistere rispetto a qualunque intervento pubblico. Ma ridiamo la parola all’ex premier: «Il mio assillo è stato sempre innanzitutto l’impatto psicologico sulla popolazione e poi quello di costruire un percorso da comunicare in modo chiaro, che fosse compreso. Mi chiedevo sempre, anche discutendone con i ministri: “Immaginate se queste misure fossero rifiutate in blocco dalla popolazione, se domani mattina ci fosse una disobbedienza civile diffusa...”». Conclusione: «Quindi era importante comunicarle anche efficacemente». E qui, se non parlassimo di cose serie, ci sarebbe perfino da ridere. Per comunicazione «efficace» Conte intende forse le conferenze serali (dall’orario incerto e in genere mai rispettato) in cui famiglie e imprese apprendevano all’improvviso, dal sovrano di Palazzo Chigi, cos’avrebbero potuto (o non avrebbero potuto) fare il mattino dopo o il giorno ancora successivo? Ma questa è solo la prima parte della performance contiana. Poi si passa alla Commissione d’inchiesta, e Conte prefigura le ragioni (o le giustificazioni, o gli alibi) che quasi certamente porteranno i grillini a schierarsi contro. Ovviamente Conte evita di dire ciò che molti sospettano: che lui, Roberto Speranza e Domenico Arcuri (per citare tre nomi a mero titolo di esempio) possano essere preoccupati da un’inchiesta parlamentare a tutto campo. Ma Conte prova a rovesciare la frittata: «Auspico una commissione di indagine seria che possa valutare complessivamente come il Paese ha reagito, quali strumenti aveva, e come possiamo migliorare la risposta a un’emergenza pandemica del genere». Attenzione alla parte che segue: «Perché sono preoccupatissimo: se dovesse ritornare in futuro, non abbiamo ancora varato meccanismo strutturali per affrontare questa emergenza». Ah sì? Ma allora il Conte che parla oggi dev’essere un omonimo di quello che, il 27 gennaio 2020, si presentava tronfio e rassicurante da Lilli Gruber, per proclamare: «Siamo prontissimi». Ma torniamo al Conte di oggi e a come cerca di giustificare il no alla Commissione: «Così come queste forze di maggioranza stanno affrontando il tema, è vergognoso. Hanno definito un perimetro di competenza che entra nei dettagli di singole partite, di singoli acquisti di mascherine, respiratori vari…Ci sono quesiti articolatissimi, ma guarda caso manca la gestione a livello regionale. Vogliamo prendere in giro gli italiani? […]. Se la sanità è in mano alle Regioni, possiamo tener fuori il ruolo svolto dalle autorità territoriali? Se è così, se la facciano…». Ora, è fin troppo facile ricordare come proprio il governo giallorosso abbia lasciato che le Regioni, talora al di là delle loro competenze, facessero il bello e il cattivo tempo, con governatori-sceriffi che gareggiavano con Conte stesso su chi restringeva, vietava e chiudeva di più. Troppo comodo tentare ora di scaricare tutto su di loro. Senza dire che quell’inciso sugli acquisti di mascherine e respiratori è forse rivelatore di ben altra preoccupazione: forse qualcuno non gradisce che si faccia piena luce su quelle vicende?
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)