
In Veneto altolà alla proposta di legge di iniziativa popolare soltanto da Fdi. Fi nicchia, il governatore lascia «libertà di coscienza» alla Lega. Scelta che frantuma il Carroccio.È mai possibile che proprio nel centrodestra non vi sia compattezza su questioni etiche di enorme impatto e rilevanza? Il governatore del Veneto, Luca Zaia, pilatescamente invita i suoi a esprimersi sul fine vita in «libertà di coscienza», con un messaggio devastante nell’ex sacrestia d’Italia. Il prossimo gennaio il Consiglio regionale del Veneto discuterà la proposta di legge di iniziativa popolare «Liberi subito» dell’associazione Luca Coscioni, che a giugno aveva depositato a Venezia oltre 9.000 firme di cittadini a sostegno dell’iniziativa.Tra le procedure invocate anche i tempi strettissimi (non più di venti giorni) per le aziende affinché sanitarie valutino la richiesta di suicidio medicalmente assistito che, se accordato, dovrebbe essere gratuito. Nemmeno fosse una doverosa prestazione Lea (Livello essenziale di assistenza, ndr). Il percorso venne individuato con la sentenza della Corte costituzionale 242/2019, per la verifica delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio e che prevede anche l’intervento di un comitato etico territorialmente competente. La si può chiamare come la si vuole, ma è una proposta di legge che prevede che lo Stato accolga senza riserve ogni richiesta di farla finita, autorizzando la soppressione di persone malate, anziane, sole o depresse.Il no di Fdi è stato subito netto mentre è ancora incerta la posizione di Forza Italia; quasi del tutto a favore, invece, il Partito democratico. La Lega, primo gruppo di maggioranza in Regione Veneto, è spaccata. Non riesce a esprimere una visione unitaria, contraria a lasciar decidere a un’amministrazione locale se è giusto o meno sopprimere chi soffre. «Il rischio è dare il via libera a dei processi automatizzati di morte», si è opposto il vicepresidente del Consiglio regionale, Nicola Finco, che assieme all’altro consigliere leghista, Stefano Valdegamberi, ha presentato una controproposta di legge in cui la vita rimane sempre un valore, anche nelle situazioni più difficili. «Le istituzioni pubbliche hanno il dovere di promuovere la cultura della vita e non quella della morte», sostengono. Il loro compito è potenziare le cure palliative e gli aiuti ai familiari dei malati incurabili.Nella sede della Lega al K3 di Treviso, dove il vertice del partito si era riunito venerdì anche per discutere di fine vita, i due consiglieri non c’erano ma Zaia ha tenuto a dire che non è un problema di conta. Sa benissimo che è una proposta di legge incostituzionale e che, comunque, non rientra nella competenza legislativa regionale, anche se è stata dichiarata ammissibile. Non c’era urgenza di dibattere in Consiglio regionale di suicidio garantito e pagato ma, invece di chiamare i leghisti a esprimere un voto contrario in linea con le posizioni del centrodestra, il presidente li lascia andare in ordine sparso.«Libertà di scelta», la chiama. Di concedere che lo Stato permetta di farti ammazzare, se lo chiedi, quando non riesci a affrontare sofferenze fisiche o psichiche, si dovrebbe aggiungere. Uno Stato distributore di morte quando «la vita diventa per molti sempre più difficile, dolorosa, onerosa, in qualche caso insostenibile», ha scritto Stefano Allievi sul Corriere del Veneto. Un suicidio generalizzato e, magari, ben visto in termini di economici, come il sociologo insinua quando si chiede se «è davvero etico» far spendere soldi alle famiglie per tenere in vita i genitori «costringendole a scegliere tra le spese per i figli» e quelle per anziani malandati.«Sulla sacralità della vita, che va aldilà di qualsiasi legge, non ci possono essere dubbi anche se una persona è non credente», tuona don Massimo Malfer, parroco di Malcesine e di Cassone sul Lago di Garda. «Lo Stato dovrebbe garantire libertà, pace, democrazia, ma non può decidere quando devi vivere e quando morire. Altrimenti inneggiamo allo statalismo estremo». Il sacerdote mette in guardia dall’accettare il comportamento di pseudo cattolici che invitano a pseudo libertà individuali. «La vita è nelle mani di Dio», ricorda, «e il cattolico ha il dovere di non rispettare, anzi di violare una legge dello Stato che va contro Dio».
Stéphane Séjourné (Getty)
La Commissione vuole vincolare i fondi di Pechino all’uso di fornitori e lavoratori europei: «È la stessa agenda di Donald Trump». Obiettivo: evitare che il Dragone investa nascondendo il suo know how, come accade in Spagna.
Mai più un caso Saragozza. Sembra che quanto successo nella città spagnola, capoluogo dell’Aragona, rappresenti una sorta di spartiacque nella strategia masochistica europea verso la Cina. Il suicidio chiamato Green deal che sta sottomettendo Bruxelles a Pechino sia nella filiera di prodotto sia nella catena delle conoscenze tecnologiche si è concretizzato a pieno con il progetto per la realizzazione della nuova fabbrica di batterie per auto elettriche, che Stellantis in collaborazione con la cinese Catl costruirà in Spagna.
La Cop30 di Belém, Brasile (Ansa)
Il vertice ospitato da Luiz Inácio Lula da Silva nel caldo soffocante di Belém si chiude con impegni generici. Respinti i tentativi del commissario Wopke Hoekstra di forzare la mano per imporre più vincoli.
Dopo due settimane di acquazzoni, impianti di aria condizionata assenti e infuocati dibattiti sull’uso della cravatta, ha chiuso i battenti sabato scorso il caravanserraglio della Cop30. Il presidente del Brasile Luiz Inácio da Silva detto Lula ha voluto che l’adunata di 50.000 convenuti si tenesse nella poco ridente località di Belém, alle porte della foresta amazzonica, a un passo dall’Equatore. Si tratta di una città con 18.000 posti letto alberghieri mal contati, dove le piogge torrenziali sono la norma e dove il caldo umido è soffocante. Doveva essere un messaggio ai delegati: il mondo si scalda, provate l’esperienza. Insomma, le premesse non erano buone. E infatti la montagnola ha partorito uno squittìo, più che un topolino.
Ansa
Il ministero dell’Istruzione cassa uno dei rilievi con cui il Tribunale dei minorenni ha allontanato i tre figli dai genitori: «Fanno educazione domiciliare, sono in regola». Nordio, intanto, dà il via agli accertamenti.
Se c’è un colpevole già accertato nella vicenda della «famiglia del bosco», che ha visto i tre figli di Catherine Birmingham e Nathan Trevallion affidati dal Tribunale dei minori dell’Aquila a una struttura, è al massimo l’ingenuità dei genitori, che hanno affrontato le contestazioni da parte dei servizi sociali prima e del tribunale poi. Forse pensando che la loro buona fede bastasse a chiarire i fatti, senza affidarsi al supporto di un professionista che indicasse loro quale documentazione produrre. Del resto, in procedimenti come quello in cui sono stati coinvolti non è obbligatorio avere il sostegno di un legale e risulta che il sindaco del loro Comune, Palmoli in provincia di Chieti, li avesse rassicurati sul fatto che tutto si sarebbe risolto velocemente e senza traumi. Ma i fatti sono andati molto diversamente.






