Leonardo assieme a Tim e Cdp. La cordata Bono-Amazon s'arricchisce del fondo pubblico.Il capo di Leonardo l'altro giorno ha tenuto una lunga audizione in Aula. Ha affrontato una serie di temi inerenti l'azienda ma ha tenuto a soffermarsi sul progetto più delicato: quello del cloud o della nuvola di Stato. «Siamo intensamente coinvolti, stiamo dialogando su più fronti sia con l'operatore nazionale delle telecomunicazioni che con Cdp per valutare la possibilità di cooperare sul fronte della cybersecurity», ha spiegato Alessandro Profumo alla commissione Attività produttive della Camera. Il contesto è il progetto del cloud nazionale per la pubblica amministrazione. «Siamo assolutamente certi che come Leonardo possiamo dare un significativo valore aggiunto nella componente di servizio, non lavorare quindi solo sul tema dell'hosting o dell'housing, ma anche lavorare proprio sul miglioramento dell'insieme dei servizi che il trasferimento dei dati da data center tradizionali al cloud può consentire alle pubbliche amministrazioni, per migliorare il livello dei servizi ai cittadini in condizioni di sicurezza», ha concluso Profumo. Il fatto in sé non è una notizia esclusiva. Già si sapeva della cordata tra Tim e Leonardo e del coinvolgimento di Cdp. Fino ad ora erano indiscrezioni di stampa, magari apprezzate. Ma mai una uscita così diretta che ha pure finto con il creare una piccola irritazione tra le fila del ministro Vittorio Colao, il quale da subito avrebbe preferito tenere in pallino tutto nel suo campo. Adesso la questione si allarga. Cdp, ora guidata da Dario Scannapieco, dovrà dire la sua anche sulla struttura e forse sulla scelta del ministero di quale strumento adottare. Ci sarà una gara subito? Oppure si procederà secondo lo schema del Ppp, permesso in caso di player privati in coppia con partner pubblici? E solo dopo ci sarà una gara? Il ministero di Colao aveva dato come mese di scadenza luglio. Siamo al giorno nove, eppure ancora nulla è stato formalizzato. E i tempi rischiano di allungarsi. Perché, anche se in questi giorni sono stati pubblicati articoli molto ottimisti e quasi definitivi, in realtà la partita non è così semplice. Al momento Fincantieri, guidata da Giuseppe Bono, non sta semplicemente a guardare. Anzi dove aver chiuso un accordo con Almaviva ne ha siglato un altro con Amazon web service lo scorso 13 maggio. La notizia ha preso alla sprovvista non solo Profumo che è arrivato dopo con il nuovo partner Microsoft e lasciando per strada quello precedente Aruba. Ma anche Colao. Insomma, Bono buttandosi nell'agone della cyber security e del cloud ha rotto gli schemi. E ora si appresta a fare il bis. A quanto risulta a La Verità, il colosso della Difesa è pronto a chiudere un accordo con Fastweb e con la tricolore Irideos. Il primo è un operatore molto forte in Italia e il secondo è un'azienda nata nel 2018 dall'insieme delle attività di Infracom, Mc-Link, Kpnqwest Italia e Bigtlc. Ma soprattutto Irideos è partecipata all'80% da F2i, il fondo nazionale partecipato da Intesa, Ardian, le fondazioni e soprattutto dalla stessa Cdp. La mossa mira chiaramente a due obiettivi. Il primo a rispondere a quelle critiche relative ai data center. Chiaramente Fincantieri non possiede le infrastrutture a differenza di Tim. Con l'aggregazione dei due nuovi partner il problema sarebbe risolto. E poi c'è un tema politico. Come sarà possibile avere da un lato Cassa depositi e prestiti con Tim e Leonardo e dall'altra Fincantieri con una controllata della stessa Cdp? La domanda è quasi retorica e le risposte sono ardue. È chiaro che sia Cassa che il governo potrebbero decidere di convogliare tutti gli attori in un solo veicolo capitanato da Via Goito. A questo punto si sceglierebbe di applicare uno schema più simile a quello israeliano. In caso contrario si aprirebbe un conflitto commerciale. Le due compagini arriverebbero a gara confrontandosi in sede di ministero dell'Innovazione tecnologica. Si allungherebbero i tempi e nascerebbe qualche conflitto. Ipotesi complessa. Certo, c'è sempre il mercato privato nel quale Amazon è molto forte. Ma c'è anche l'intero capitolo del cloud militare, tutto ancora da esploare. Il tema non è comunque ancora arrivato al tavolo di Francesco Giavazzi. Vedremo che accadrà la prossima settimana.
Antonio Scurati (Ansa)
Eccoli lì, tutti i «veri sapienti» progressisti che si riuniscono per chiedere all’Aie di bandire l’editore «Passaggio al bosco» dalla manifestazione «Più libri più liberi».
Sono tutti lì belli schierati in fila per la battaglia finale. L’ultima grande lotta in difesa del pensiero unico e dell’omologazione culturale: dovessero perderla, per la sinistra culturale sarebbe uno smacco difficilmente recuperabile. E dunque eccoli, uniti per chiedere alla Associazione italiana editori di cacciare il piccolo editore destrorso Passaggio al bosco dalla manifestazione letteraria Più libri più liberi. Motivo? Tale editore sarebbe neofascista, apologeta delle più turpi nefandezze novecentesche e via dicendo. In un appello rivolto all’Aie, 80 autori manifestano sdegno e irritazione. Si chiedono come sia possibile che Passaggio al bosco abbia trovato spazio nella fiera della piccola editoria, impugnano addirittura il regolamento che le case editrici devono accettare per la partecipazione: «Non c’è forse una norma - l’Articolo 24, osservanza di leggi e regolamenti - che impegna chiaramente gli espositori a aderire a tutti i valori espressi nella Costituzione italiana, nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea e nella Dichiarazione universale dei diritti umani e in particolare a quelli relativi alla tutela della libertà di pensiero, di stampa, di rispetto della dignità umana? Poniamo quindi queste domande e preoccupazioni all’attenzione dell’Associazione italiana editori per aprire una riflessione sull’opportunità della presenza di tali contenuti in una fiera che dovrebbe promuovere cultura e valori democratici». Memorabile: invocano la libertà di pensiero per chiedere la censura.
Olivier Marleix (Ansa)
Pubblicato post mortem il saggio dell’esponente di spicco dei Républicains, trovato impiccato il 7 luglio scorso «Il presidente è un servitore del capitalismo illiberale. Ha fatto perdere credibilità alla Francia nel mondo».
Gli ingredienti per la spy story ci sono tutti. Anzi, visto che siamo in Francia, l’ambientazione è più quella di un noir vecchio stile. I fatti sono questi: un politico di lungo corso, che conosce bene i segreti del potere, scrive un libro contro il capo dello Stato. Quando è ormai nella fase dell’ultima revisione di bozze viene tuttavia trovato misteriosamente impiccato. Il volume esce comunque, postumo, e la data di pubblicazione finisce per coincidere con il decimo anniversario del più sanguinario attentato della storia francese, quasi fosse un messaggio in codice per qualcuno.
Roberto Gualtieri (Ansa)
Gualtieri avvia l’«accoglienza diffusa», ma i soldi andranno solo alla Ong.
Aiutiamoli a casa loro. Il problema è che loro, in questo caso, sono i cittadini romani. Ai quali toccherà di pagare vitto e alloggio ai migranti in duplice forma: volontariamente, cioè letteralmente ospitandoli e mantenendoli nella propria abitazione oppure involontariamente per decisione del Comune che ha stanziato 400.000 euro di soldi pubblici per l’accoglienza. Tempo fa La Verità aveva dato notizia del bando comunale con cui è stato istituito un servizio di accoglienza che sarà attivo dal 1° gennaio 2026 fino al 31 dicembre 2028. E ora sono arrivati i risultati. «A conclusione della procedura negoziata di affidamento del servizio di accoglienza in famiglia in favore di persone migranti singole e/o nuclei familiari o monogenitoriali, in possesso di regolare permesso di soggiorno, nonché neomaggiorenni in carico ai servizi sociali», si legge sul sito del Comune, «il dipartimento Politiche sociali e Salute comunica l’aggiudicazione del servizio. L’affidamento, relativo alla procedura è stato aggiudicato all’operatore economico Refugees Welcome Italia Ets».
2025-12-03
Pronto soccorso in affanno: la Simeu avverte il rischio di una crisi strutturale nel 2026
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iStock
Secondo l’indagine della Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza, dal 2026 quasi sette pronto soccorso su dieci avranno organici medici sotto il fabbisogno. Tra contratti in scadenza, scarso turnover e condizioni di lavoro critiche, il sistema di emergenza-urgenza rischia una crisi profonda.
Il sistema di emergenza-urgenza italiano sta per affrontare una delle sue prove più dure: per molti pronto soccorso l’inizio del 2026 potrebbe segnare una crisi strutturale del personale medico. A metterne in evidenza la gravità è Alessandro Riccardi, presidente della Simeu - Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza - al termine di un’indagine che fotografa uno scenario inquietante.





