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2021-03-06
Figliuolo vuole cambiare marcia: «Stanno arrivando 7 milioni di dosi»
Francesco Paolo Figliuolo (Ansa)
Nelle prossime due-tre settimane, entro la fine di marzo, dovrebbero arrivare in Italia oltre 7 milioni di dosi di vaccini. Il problema è il trasporto nell'ultimo miglio sul territorio e la gestione dei punti di somministrazione. Lo ha annunciato ieri il commissario all'emergenza, Francesco Paolo Figliuolo, nella riunione con le Regioni. Invitando tutti i governatori a dare una forte accelerazione nella distribuzione delle dosi e a individuare i luoghi dove somministrarle. I punti vaccinali vanno quindi incrementati usando siti produttivi, gli asset della Protezione civile e delle forze armate. Servono soprattutto rinforzi di personale oltreché organizzativi.
Il generale che ha preso il posto di Domenico Arcuri a capo della struttura commissariale lavora in tandem con il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio. Insieme hanno fatto il punto con il presidente del Consiglio, Mario Draghi, sia sui dati aggiornati della campagna vaccinale, sia sulla piattaforma digitale che dovrebbe monitorare in tempo reale le somministrazioni, ma che spesso funziona a singhiozzo rendendo più complicato monitorare l'andamento delle scorte.
In mattinata, il tandem Figliuolo-Curcio aveva partecipato alla riunione con i ministri Mariastella Gelmini (Affari regionali) e Roberto Speranza (Salute), e appunto con i presidenti delle Regioni. L'obiettivo è ottimizzare la campagna, centralizzando e uniformando le scelte sulle categorie da vaccinare. Tanto che all'incontro erano presenti anche il presidente dell'Associazione Comuni (Anci), Antonio Decaro, e quello dell'Unione delle Province (Upi), Michele de Pascale.
C'è poi la questione della distribuzione. Durante il confronto, il ministro Speranza ha proposto l'estensione dell'uso del vaccino Astrazeneca anche agli over 65 (che però deve ricevere il via libera dell'Agenzia nazionale del farmaco, Aifa) e suggerito l'istituzione di un fondo di solidarietà per la campagna vaccinale. «Si potrebbe accantonare l'1-2% da ciascuna consegna», ha spiegato, «per la creazione di riserve da utilizzare con strategia reattiva nelle zone in cui il virus si propaga con maggiore forza e rapidità anche a causa delle varianti». L'ipotesi è ancora da discutere. Prioritario resta, infatti, il coordinamento tra Regioni per procedere tutti compatti verso la stessa direzione. Si dovranno uniformare e chiarire anche le categorie da vaccinare, in relazione alle modalità che caratterizzano la somministrazione dei diversi vaccini, dal range anagrafico per la somministrazione di alcuni ai tempi differenti fra prima e seconda dose per altri. La direzione sarebbe quella di andare comunque verso le liste stilate per classi di età e non per professioni.
La materia prima - cioè i vaccini - non manca, anzi è destinata ad aumentare rapidamente nelle prossime settimane. Ma per far marciare nel verso giusto la campagna vaccinale serviranno anche i vaccinatori, ovvero i rinforzi per inoculare le dosi senza lasciarle ferme nei frigoriferi.
I governatori sono preoccupati «per le estenuanti trattative» per il reclutamento dei medici di base per la somministrazione dei vaccini. Capofila di queste perplessità sono la Toscana e la Liguria, con i governatori Eugenio Giani e Giovanni Toti che chiedono di semplificare le procedure. In particolare il presidente ligure, auspica «moduli standard» che tuttavia «richiederebbero una legge ad hoc». Tante le difficoltà: dagli ambulatori troppi piccoli, al costo degli infermieri da reclutare, fino alle persone a cui somministrare il vaccino, se esclusivamente i propri mutuati o tutti.
Non solo. Come ha rilevato La Verità nei giorni scorsi, i medici di famiglia sono tanti ma poco produttivi, in quanto devono nella maggior parte dei casi fare tutto da soli: gestione del vaccinando, anamnesi, preparazione siringa, registrazione e osservazione. Il problema di questo metodo di vaccinazione è che la sua capacità è limitata dal numero dei medici, che in ultima analisi dipende dalla popolazione. Per incrementare le somministrazioni va cambiato il modo in cui si organizzano i vaccinatori, non basta aumentarne il numero. Se si organizzano delle squadre vaccinali composte da un medico, due infermieri, un amministrativo e un assistente sanitario, la produttività cresce perché c'è una divisione del lavoro. Ma se queste squadre vengono aggregate a 20, 30, 40 per volta, la divisione dei compiti può essere ottimizzata e concentrata sul momento cruciale, la puntura. Un medico potrà fare anamnesi per dieci squadre, idem amministrativi e assistenti. Un solo infermiere preparerà le siringhe per cinque «punturatori». E la produttività salirà. Anche in caso di assenze, la produzione calerà ma di poco.
Nel frattempo, Palazzo Chigi ieri ha comunicato l'agenda sulle prime uscite pubbliche di Draghi, che visiterà nelle prossime settimane alcuni dei luoghi simbolo della pandemia: venerdì 12 marzo il premier andrà in un centro vaccinale a Roma e il 18 marzo sarà a Bergamo per partecipare alle celebrazioni in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
Il Piemonte svolta sulle cure a casa
Curare a casa, ma curare bene, efficacemente, somministrando i farmaci adatti ai malati di Covid: un anno dopo l'esplosione della pandemia, e dopo decine e decine di proclami tutti rigorosamente a vuoto, il ministro della Salute, Roberto Speranza, non è ancora riuscito a mettere a punto uno straccio di strategia che consenta di evitare di ingolfare ambulatori e ospedali.
«Tachipirina e vigile attesa»: questa la geniale disposizione dell'Agenzia italiana del farmaco per curare a domicilio chi ha contratto il Covid, che risale al 9 dicembre 2020. Per la precisione, oltre a obbligare i medici alle prese con i propri pazienti malati di coronavirus ad aspettare, la nota permetteva la somministrazione esclusivamente di fans (farmaci antinfiammatori non steroidei) e paracetamolo o dell'eparina, ma solamente per gli allettati, ponendo indicazioni di non utilizzo di altri farmaci generalmente usati dai medici di medicina generale per la cura del virus. Questa nota non era mai stata modificata, fino a quando, l'altro ieri, il Tar del Lazio ha sconfessato questa linea, accogliendo l'istanza cautelare promossa dai medici del Comitato cura domiciliare Covid-19 nei confronti del ministero della Salute e di Aifa.
I giudici amministrativi del Lazio hanno ritenuto fondata la richiesta dei medici «di far valere il proprio diritto/dovere, avente giuridica rilevanza sia in sede civile che penale, di prescrivere i farmaci che essi ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza». Nell'attesa (infinita) che il governo si dia finalmente una mossa, il Piemonte decide di fare da solo e aggiorna il protocollo delle cure a casa: «Diamo nuovi strumenti ai medici di famiglia», spiega l'assessore regionale alla Sanità del Piemonte, Luigi Genesio Icardi, «e alle Unità speciali di continuità assistenziali (Usca) per combattere il Covid direttamente a casa dei pazienti. Con l'aggiornamento del protocollo delle cure domiciliari, introduciamo l'utilizzo dell'idrossiclorochina nella fase precoce della malattia, insieme a farmaci antinfiammatori non steroidei e vitamina D. In più», aggiunge Icardi, «prevediamo la possibilità di attivare ambulatori Usca per gli accertamenti diagnostici altrimenti non eseguibili o difficilmente eseguibili a domicilio, ottimizzando le risorse professionali e materiali disponibili».
Una svolta importantissima, quella del Piemonte, che farà certamente da apripista anche per altre Regioni italiane: è impensabile infatti continuare a sottovalutare l'importanza delle cure domiciliari, tra l'altro in un momento in cui la curva dei contagi risale e gli ospedali potrebbero trovarsi presto a fare i conti con la carenza di posti disponibili. «Siamo convinti», argomenta Icardi, «perché lo abbiamo riscontrato sul campo fin dalla prima ondata, che in molti casi il virus si possa combattere molto efficacemente curando i pazienti a casa. Non vuol dire limitarsi a prescrivere paracetamolo per telefono e restare in vigile attesa, ma prendere in carico i pazienti Covid a domicilio», sottolinea l'assessore, «da parte delle unità speciali di continuità assistenziale, dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta».
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Il nuovo commissario chiede ai governatori di accelerare, «usando ogni sito possibile». E punta a uniformare la scelta delle categorie da cui partire. Roberto Speranza pensa a «scorte di solidarietà». Mario Draghi sarà a Bergamo il 18.Il Piemonte svolta sulle cure a casa. Altro che «paracetamolo e vigile attesa», ricetta del ministero già sconfessata dal Tar. La Regione guidata da Alberto Cirio passa a «idrossiclorochina, antinfiammatori e vitamine».Lo speciale contiene due articoli.Nelle prossime due-tre settimane, entro la fine di marzo, dovrebbero arrivare in Italia oltre 7 milioni di dosi di vaccini. Il problema è il trasporto nell'ultimo miglio sul territorio e la gestione dei punti di somministrazione. Lo ha annunciato ieri il commissario all'emergenza, Francesco Paolo Figliuolo, nella riunione con le Regioni. Invitando tutti i governatori a dare una forte accelerazione nella distribuzione delle dosi e a individuare i luoghi dove somministrarle. I punti vaccinali vanno quindi incrementati usando siti produttivi, gli asset della Protezione civile e delle forze armate. Servono soprattutto rinforzi di personale oltreché organizzativi. Il generale che ha preso il posto di Domenico Arcuri a capo della struttura commissariale lavora in tandem con il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio. Insieme hanno fatto il punto con il presidente del Consiglio, Mario Draghi, sia sui dati aggiornati della campagna vaccinale, sia sulla piattaforma digitale che dovrebbe monitorare in tempo reale le somministrazioni, ma che spesso funziona a singhiozzo rendendo più complicato monitorare l'andamento delle scorte. In mattinata, il tandem Figliuolo-Curcio aveva partecipato alla riunione con i ministri Mariastella Gelmini (Affari regionali) e Roberto Speranza (Salute), e appunto con i presidenti delle Regioni. L'obiettivo è ottimizzare la campagna, centralizzando e uniformando le scelte sulle categorie da vaccinare. Tanto che all'incontro erano presenti anche il presidente dell'Associazione Comuni (Anci), Antonio Decaro, e quello dell'Unione delle Province (Upi), Michele de Pascale. C'è poi la questione della distribuzione. Durante il confronto, il ministro Speranza ha proposto l'estensione dell'uso del vaccino Astrazeneca anche agli over 65 (che però deve ricevere il via libera dell'Agenzia nazionale del farmaco, Aifa) e suggerito l'istituzione di un fondo di solidarietà per la campagna vaccinale. «Si potrebbe accantonare l'1-2% da ciascuna consegna», ha spiegato, «per la creazione di riserve da utilizzare con strategia reattiva nelle zone in cui il virus si propaga con maggiore forza e rapidità anche a causa delle varianti». L'ipotesi è ancora da discutere. Prioritario resta, infatti, il coordinamento tra Regioni per procedere tutti compatti verso la stessa direzione. Si dovranno uniformare e chiarire anche le categorie da vaccinare, in relazione alle modalità che caratterizzano la somministrazione dei diversi vaccini, dal range anagrafico per la somministrazione di alcuni ai tempi differenti fra prima e seconda dose per altri. La direzione sarebbe quella di andare comunque verso le liste stilate per classi di età e non per professioni.La materia prima - cioè i vaccini - non manca, anzi è destinata ad aumentare rapidamente nelle prossime settimane. Ma per far marciare nel verso giusto la campagna vaccinale serviranno anche i vaccinatori, ovvero i rinforzi per inoculare le dosi senza lasciarle ferme nei frigoriferi. I governatori sono preoccupati «per le estenuanti trattative» per il reclutamento dei medici di base per la somministrazione dei vaccini. Capofila di queste perplessità sono la Toscana e la Liguria, con i governatori Eugenio Giani e Giovanni Toti che chiedono di semplificare le procedure. In particolare il presidente ligure, auspica «moduli standard» che tuttavia «richiederebbero una legge ad hoc». Tante le difficoltà: dagli ambulatori troppi piccoli, al costo degli infermieri da reclutare, fino alle persone a cui somministrare il vaccino, se esclusivamente i propri mutuati o tutti. Non solo. Come ha rilevato La Verità nei giorni scorsi, i medici di famiglia sono tanti ma poco produttivi, in quanto devono nella maggior parte dei casi fare tutto da soli: gestione del vaccinando, anamnesi, preparazione siringa, registrazione e osservazione. Il problema di questo metodo di vaccinazione è che la sua capacità è limitata dal numero dei medici, che in ultima analisi dipende dalla popolazione. Per incrementare le somministrazioni va cambiato il modo in cui si organizzano i vaccinatori, non basta aumentarne il numero. Se si organizzano delle squadre vaccinali composte da un medico, due infermieri, un amministrativo e un assistente sanitario, la produttività cresce perché c'è una divisione del lavoro. Ma se queste squadre vengono aggregate a 20, 30, 40 per volta, la divisione dei compiti può essere ottimizzata e concentrata sul momento cruciale, la puntura. Un medico potrà fare anamnesi per dieci squadre, idem amministrativi e assistenti. Un solo infermiere preparerà le siringhe per cinque «punturatori». E la produttività salirà. Anche in caso di assenze, la produzione calerà ma di poco. Nel frattempo, Palazzo Chigi ieri ha comunicato l'agenda sulle prime uscite pubbliche di Draghi, che visiterà nelle prossime settimane alcuni dei luoghi simbolo della pandemia: venerdì 12 marzo il premier andrà in un centro vaccinale a Roma e il 18 marzo sarà a Bergamo per partecipare alle celebrazioni in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/figliuolo-cambiare-7-milioni-dosi-2650938738.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-piemonte-svolta-sulle-cure-a-casa" data-post-id="2650938738" data-published-at="1614990409" data-use-pagination="False"> Il Piemonte svolta sulle cure a casa Curare a casa, ma curare bene, efficacemente, somministrando i farmaci adatti ai malati di Covid: un anno dopo l'esplosione della pandemia, e dopo decine e decine di proclami tutti rigorosamente a vuoto, il ministro della Salute, Roberto Speranza, non è ancora riuscito a mettere a punto uno straccio di strategia che consenta di evitare di ingolfare ambulatori e ospedali. «Tachipirina e vigile attesa»: questa la geniale disposizione dell'Agenzia italiana del farmaco per curare a domicilio chi ha contratto il Covid, che risale al 9 dicembre 2020. Per la precisione, oltre a obbligare i medici alle prese con i propri pazienti malati di coronavirus ad aspettare, la nota permetteva la somministrazione esclusivamente di fans (farmaci antinfiammatori non steroidei) e paracetamolo o dell'eparina, ma solamente per gli allettati, ponendo indicazioni di non utilizzo di altri farmaci generalmente usati dai medici di medicina generale per la cura del virus. Questa nota non era mai stata modificata, fino a quando, l'altro ieri, il Tar del Lazio ha sconfessato questa linea, accogliendo l'istanza cautelare promossa dai medici del Comitato cura domiciliare Covid-19 nei confronti del ministero della Salute e di Aifa. I giudici amministrativi del Lazio hanno ritenuto fondata la richiesta dei medici «di far valere il proprio diritto/dovere, avente giuridica rilevanza sia in sede civile che penale, di prescrivere i farmaci che essi ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza». Nell'attesa (infinita) che il governo si dia finalmente una mossa, il Piemonte decide di fare da solo e aggiorna il protocollo delle cure a casa: «Diamo nuovi strumenti ai medici di famiglia», spiega l'assessore regionale alla Sanità del Piemonte, Luigi Genesio Icardi, «e alle Unità speciali di continuità assistenziali (Usca) per combattere il Covid direttamente a casa dei pazienti. Con l'aggiornamento del protocollo delle cure domiciliari, introduciamo l'utilizzo dell'idrossiclorochina nella fase precoce della malattia, insieme a farmaci antinfiammatori non steroidei e vitamina D. In più», aggiunge Icardi, «prevediamo la possibilità di attivare ambulatori Usca per gli accertamenti diagnostici altrimenti non eseguibili o difficilmente eseguibili a domicilio, ottimizzando le risorse professionali e materiali disponibili». Una svolta importantissima, quella del Piemonte, che farà certamente da apripista anche per altre Regioni italiane: è impensabile infatti continuare a sottovalutare l'importanza delle cure domiciliari, tra l'altro in un momento in cui la curva dei contagi risale e gli ospedali potrebbero trovarsi presto a fare i conti con la carenza di posti disponibili. «Siamo convinti», argomenta Icardi, «perché lo abbiamo riscontrato sul campo fin dalla prima ondata, che in molti casi il virus si possa combattere molto efficacemente curando i pazienti a casa. Non vuol dire limitarsi a prescrivere paracetamolo per telefono e restare in vigile attesa, ma prendere in carico i pazienti Covid a domicilio», sottolinea l'assessore, «da parte delle unità speciali di continuità assistenziale, dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta».
Sergio Mattarella (Ansa)
Si torna quindi all’originale, fedeli al manoscritto autografo del paroliere, che morì durante l’assedio di Roma per una ferita alla gamba. Lo certifica il documento oggi conservato al Museo del Risorgimento di Torino.
La svolta riguarderà soprattutto le cerimonie militari ufficiali. Lo Stato Maggiore della Difesa, in un documento datato 2 dicembre, ha infatti inviato l’ordine a tutte le forze armate: durante gli eventi istituzionali e le manifestazioni militari nelle quali verrà eseguito l’inno nella versione cantata - che parte con un «Allegro marziale» -, il grido in questione dovrà essere omesso. E viene raccomandata «la scrupolosa osservanza» a tutti i livelli, fino al più piccolo presidio territoriale, dalla Guardia di Finanza all’Esercito. Ovviamente nessuno farà una piega se allo stadio i tifosi o i calciatori della nazionale azzurra (discorso che vale per tutti gli sport) faranno uno strappo alla regola, anche se la strada ormai è tracciata.
Per confermare la bontà della decisione del Colle basta ricordare le indicazioni che il Maestro Riccardo Muti diede ai 3.000 coristi (professionisti e amatori, dai 4 agli 87 anni) radunati a Ravenna lo scorso giugno per l’evento dal titolo agostiniano «Cantare amantis est» (Cantare è proprio di chi ama). Proprio in quell’occasione, come avevamo raccontato su queste pagine, il grande direttore d’orchestra - che da decenni cerca di spazzare via dall’opera italiana le aggiunte postume, gli abbellimenti non richiesti e gli acuti non scritti dagli autori, ripulendo le partiture dalle «bieche prassi erroneamente chiamate tradizioni» - ordinò a un coro neonato ma allo stesso tempo immenso: «Il “sì” finale non si canta, nel manoscritto non c’è».
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Scott Bessent (Ansa)
Partiamo da Washington, dove il Pil non solo non rallenta, ma accelera. Nel terzo trimestre dell’anno, da luglio a settembre, l’economia americana è cresciuta del 4,3%. Non un decimale in più o in meno: un punto pieno sopra le attese, ferme a un modesto 3,3%. Un dato arrivato in ritardo, complice lo stop federale che ha paralizzato le attività pubbliche, ma che ha avuto l’effetto di una doccia fredda per gli analisti più pessimisti. Altro che frenata da dazi: rispetto al secondo trimestre, l’incremento è stato dell’1,1%. Altro che economia sotto anestesia. Una successo che spinge Scott Bessent, segretario del Tesoro, a fare pressioni sulla Fed perché tagli i tassi e riveda al ribasso dal 2% all’1,5% il tetto all’inflazione. Il motore della crescita? I consumi, tanto per cambiare. Gli americani hanno continuato a spendere come se i dazi fossero un concetto astratto da talk show. Nel terzo trimestre i consumi sono saliti del 3,5%, dopo il più 2,5% dei mesi precedenti. A spingere il Pil hanno contribuito anche le esportazioni e la spesa pubblica, in un mix poco ideologico e molto concreto. La morale è semplice: mentre la politica discute, l’economia va avanti. E spesso prende un’altra direzione.
E l’Europa? Doveva essere la prima vittima collaterale della guerra commerciale. Anche qui, però, i numeri si ostinano a non obbedire alle narrazioni. L’Italia, per esempio, a novembre ha visto rafforzarsi il saldo commerciale con i Paesi extra Ue, arrivato a più 6,9 miliardi di euro, contro i 5,3 miliardi dello stesso mese del 2024. Quanto agli Stati Uniti, l’export italiano registra sì un calo, ma limitato: meno 3%. Una flessione che somiglia più a un raffreddore stagionale che a una polmonite da dazi. Non esattamente lo scenario da catastrofe annunciata.
Anche la Bce, che per statuto non indulge in entusiasmi, ha dovuto prendere atto della resilienza dell’economia europea. Le nuove proiezioni parlano di una crescita dell’eurozona all’1,4% nel 2025, in rialzo rispetto all’1,2% stimato a settembre, e dell’1,2% nel 2026, contro l’1,0 precedente. Non è un boom, certo, ma nemmeno il deserto postbellico evocato dai più allarmisti. Soprattutto, è un segnale: l’Europa cresce nonostante tutto, e nonostante tutti. E poi c’è la Cina, che osserva il dibattito globale con il sorriso di chi incassa. Nei primi undici mesi del 2025 Pechino ha messo a segno un surplus commerciale record di oltre 1.000 miliardi di dollari, con esportazioni superiori ai 3.400 miliardi. Altro che isolamento: la fabbrica del mondo continua a macinare numeri, mentre l’Occidente discute se i dazi siano il male assoluto o solo un peccato veniale.
Alla fine, la lezione è sempre la stessa. I dazi fanno rumore, le previsioni pure. Ma l’economia parla a bassa voce e con i numeri. E spesso, come in questo caso, si diverte a smentire chi aveva già scritto il copione del disastro. Le cassandre restano senza applausi. Le statistiche, ancora una volta, si prendono la scena.
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Paolo Barletta, Ceo Arsenale S.p.a. (Ansa)
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
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Matteo Hallissey (Ansa)
Il video è accompagnato da un post: «Abbiamo messo in atto», scrive l’ex perfetto sconosciuto Hallisey, «un flash mob pacifico pro Ucraina all’interno di un convegno filorusso organizzato dall’Anpi all’università Federico II di Napoli. Dopo aver atteso il termine dell’evento con Alessandro Di Battista e il professor D’Orsi e al momento delle domande, decine di studenti e attivisti pro Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno mostrato maglie e bandiere ucraine. È vergognoso che non ci sia stata data la possibilità di fare domande e che l’attivista che stava interloquendo con i relatori sia stato aggredito e spinto da un rappresentante dell’Anpi fino a rompere il microfono. Anch’io sono stato aggredito violentemente», aggiunge il giovane radicale, «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi sulla sua partecipazione alla sfilata di gala di Russia Today a Mosca due mesi fa. Chi rivendica la storia antifascista e partigiana non può non condannare queste azioni di fronte a una manifestazione pacifica».
Rivedendo più volte il video al Var, di aggressioni non ne abbiamo viste, a parte come detto qualche spinta, ma va detto pure che quando Hallissey scrive «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi», omette di precisare che quella domanda è stata posta al professore, ma in maniera tutt’altro che pacata: le urla del buon Matteo sono scolpite nel video da lui stesso, ripetiamo, pubblicato. Per quel che riguarda la rottura del microfono, le immagini, viste e riviste non chiariscono se il fallo c’è o no: si vede un giovane attivista che contende un microfono a D’Orsi, ma i frame non permettono di accertare se alla fine si sia rotto o sia rimasto intero.
Quello che è certo è che ieri sono piovuti nelle redazioni i soliti comunicati di solidarietà, non solo da parte di Azione, degli stessi Radicali e di Benedetto Della Vedova, ma anche del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che su X ha vergato un severo post: «Solidarietà a Matteo Hallissey, presidente dei Radicali italiani», ha scritto Bignami, «aggredito a un evento Anpi per aver provato a porre domande in un flash mob pacifico. Da chi ogni giorno impartisce lezioni di democrazia ma reagisce con violenza, non accettiamo lezioni». Non si comprende, come abbiamo detto, dove sia la violenza, perché per una volta bisogna pur mettere da parte il politically correct e l’ipocrisia dilagante e dire le cose come stanno: dal video emerge in maniera cristallina la natura provocatoria del flash mob pro Ucraina, e da quelle urla e da quegli atteggiamenti, per noi che abbiamo purtroppo l’abitudine a pensar male, anche se si fa peccato, fa capolino pure che magari l’obiettivo era proprio quello di scatenare una reazione violenta da parte dei partecipanti al convegno.
Non lo sapremo mai: quello che sappiamo è che i Radicali, sigla che nella politica italiana ha avuto un ruolo di primissimo piano per tante battaglie condotte in primis dal compianto Marco Pannella, sono ormai ridotti a praticare forme di puro macchiettismo politico, pur di ottenere un po’ di visibilità: ricorderete lo show di Riccardo Magi, deputato di +Europa, che vaga nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. A proposito di Magi: il congresso che lo scorso febbraio ha rieletto segretario di +Europa il deputato fantasma è stato caratterizzato da innumerevoli polemiche e altrettante ombre. Poche ore prima della chiusura del tesseramento, il 31 dicembre, dalla provincia di Napoli, in particolare da Giugliano e Afragola, arrivano la bellezza di 1.900 nuovi iscritti, praticamente un terzo dell’intera platea di tesserati, iscritti che poi si traducono in delegati che eleggono i vertici del partito. Una conversione di massa alla causa radicale degli abitanti di questi due popolosi comuni del Napoletano in sostanza stravolge gli equilibri congressuali. Tra accuse e controaccuse, un giovanissimo militante, alla fine dello stesso congresso, sconfigge nella corsa alla presidenza di +Europa uno storico esponente del partito come Benedetto Della Vedova. Si tratta proprio di Matteo Hallissey.
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