2022-04-26
«Fermando la musica abbiamo fregato la nuova generazione di concertisti»
Il pianista canadese Louis Lortie: «La russofobia nell’arte è assurda. I talenti vengono da Est. E sul Lago di Como farò la maratona Scriabin».Dopo più di due anni di letargo pandemico e di false ripartenze, gli organizzatori di festival musicali compulsano le previsioni del tempo e la Gazzetta ufficiale. Dal primo maggio dovrebbero scattare le nuove regole anche per loro, ma sono disillusi e ormai il cavillo che scombina i programmi se lo aspettano. Tra di loro c’è anche Louis Lortie, il pianista franco-canadese che da più di tre decenni stupisce le sale da concerto più prestigiose al mondo per il suo tocco e per l’ampiezza del suo repertorio. A 62 anni non si limita a suonare, ha creato il suo festival sul Lago di Como e continua a dedicarsi ai giovani talenti. L’ultima sua scoperta è un giovanissimo violinista di Bolzano, Julian Kainrath. «Ha un dono particolare, l’ho sentito suonare a 9 anni e mi ha colpito. Oggi ne ha 16». Per ascoltarli insieme, in quella che sarà un’anticipazione di LacMus (dal 7 al 17 luglio nei luoghi più suggestivi di Tremezzina e dintorni), bisogna andare al Festival BAClassica di Busto Arsizio (programma ricco, da oggi al 3 maggio, con Ramin Bahrami, Maurizio Baglini e molti altri).Maestro, se è stata dura per i musicisti affermati, non è che per chi faceva la gavetta questi due anni di limbo sono stati letali?«Sicuramente. Moltissimi hanno abbandonato il sogno di una carriera da concertista. Tanti hanno accettato il primo posto fisso che passava e si son dedicati all’insegnamento».Rischiamo di perdere una generazione di pianisti?«Senza una volontà assoluta la strada è impraticabile. Trovare una data è un miracolo, un sacco di agenzie hanno chiuso e i concerti in cartellone adesso sono quelli del 2019...». Mentre si combatteva il virus, la cultura e la musica sono state abbandonate?«Non c’è dubbio, ma il processo era già iniziato da tempo. Ad ogni modo oggi non si può contare sullo Stato. Bisogna convincere i donatori privati a sostenere la cultura». Una nota di speranza riesce a trovarla?«Mi hanno detto che i finalisti del concorso Chopin, che hanno dovuto aspettare il risultato fino alle 5 di mattina, sono stati svegli per discutere insieme su come cambiare le cose. Questo fa sperare».Consigli per i futuri giganti della tastiera: il momento giusto per incidere un disco? «Il problema non è il quando, ma il cosa. Sembra che tutti i giovani muoiano dalla voglia di registrare i Preludi di Chopin o la Sonata di Liszt… In America si dice: “Everybody and their mother”. Sono pagine che hanno suonato tutti, pure le loro mamme…» (ride). «Non funziona così: il primo disco dev’essere intelligente, ci vuole una chicca, un abbinamento di pezzi originale…».Prima parlavamo di concorsi, vincerne uno è ancora il passaggio obbligato per una grande carriera?«La competizione per pianisti è come il capitalismo. Non è un’idea geniale, ma non ne abbiamo ancora trovata una migliore. È il concetto di gara che mi infastidisce: dare un punteggio all’arte non ha senso. Anche se suonare in condizioni impossibili ti forgia. I musicisti in erba comunque sottovalutano tutto questo».In che senso?«Gli studenti che mi dicono di voler provare un concorso perché non hanno altri impegni mi fanno perdere la testa. È assurdo. Bisogna partecipare solo quando si può vincere».L’opposto di De Coubertin.«Non bisogna sottovalutare l’impatto di una prova del genere: è fisicamente devastante e un eventuale insuccesso lascia sempre una ferita... Ho visto molti dei miei coetanei provare dieci, 15 concorsi e uscirne a pezzi perché non era mai la volta buona».Addirittura?«Ma certo, non è normale stare lì in fila come cavalli da corsa. Suonare uno dopo l’altro in batteria. Sembra il mercato degli schiavi. E nemmeno per chi assiste è naturale: si va ad ascoltare un concerto, non un plotone di esecutori...». Ma scusi, lei recentemente non ha fatto il presidente di giuria al Concorso Ferruccio Busoni?«È la famosa eccezione… me lo chiedevano da anni ed è stata durissima. Pensi che non ero nemmeno d’accordo sulla scelta finale…».Vincerlo nel 1984 però le avrà dato qualcosa?«Certo, ma allora era tutto più facile: dopo aver ritirato il premio avevo già una lista infinita di date. Forse non ci ricordiamo cos’era l’Italia fino a metà anni Novanta: le Società dei concerti fiorivano e dal punto di vista musicale questo Paese aveva quasi raggiunto la Germania. Poi è iniziato il declino, inesorabile…». Quali sono oggi le più importanti «corse dei cavalli»?«Quelle di sempre: il concorso Chopin di Varsavia, lo stesso Busoni di Bolzano, per quanto riguarda l’Italia. Stavo per dire il Ciaikovskij di Mosca, ma è appena stato escluso dalla rete internazionale dei concorsi musicali a causa della guerra».Come giudica questa decisione?«Inevitabile, purtroppo: è un concorso di Stato, ai galà veniva sempre Putin… Chiaro però che a essere penalizzati sono ancora una volta i giovani. E per il pianismo è un vero disastro, visto che la metà dei più grandi talenti viene proprio da quelle zone». Esiste ancora una grande scuola russa? «I giovani dell’Est hanno una dedizione che noi non abbiamo più e delle scuole che ci sogniamo. Dalle nostre la musica è sparita e i Conservatori italiani sono dei dinosauri. L’altra superpotenza del pianismo mondiale è la Cina: hanno 30 milioni di giovani interpreti…».Dopo l’invasione dell’Ucraina, prima dei tennisti, molti musicisti russi hanno pagato pegno. Ma anche quelli morti da tempo hanno avuto i loro problemi, visto che ad esempio Il lago dei cigni di Ciaikovskij è finito nella lista nera. «Posto che alcuni artisti si sono messi da soli in situazioni impossibili, firmando manifesti che appoggiavano le operazioni militari, il veto generalizzato sui musicisti e sulla musica russa è semplicemente assurdo. E le dirò di più: quel repertorio in Italia, ancora oggi, è sottovalutato». Nel senso che ci fermiamo alle pagine più famose?«No, no. Dico che anche gli autori più conosciuti, come Rachmaninoff e Ciaikovskij, vengono suonati poco e male. Per questo al mio festival sul Lago di Como celebreremo l’anniversario di Scriabin (150 anni dalla nascita, ndr) con una maratona di tutte le sue sonate, l’8 luglio».A proposito, lei è nato in Canada, ma ha fatto del Lago di Como la sua casa. E poi, con LacMus, un palcoscenico per lei e per gli altri. Com’è successo? «Prima sono venuto qui a vivere per la magia di questi luoghi. Poi hanno iniziato a chiedermi di organizzare concerti. Alla fine ho accettato, ma a una condizione: non mi sarei mai dovuto occupare della burocrazia italiana. Questo Paese bisogna goderselo senza frequentare gli impiegati...».Un’ultima curiosità: per un pianista canadese cosa vuol dire confrontarsi con Glenn Gould?«Essere nato a Montreal influisce poco perché Gould non era della “zona”… era un’extraterrestre. Avrei voluto conoscerlo - ho anche avuto il suo stesso manager - ma già dal 1963 aveva smesso di fare concerti e incontrava le persone solo al telefono. Un giorno denunciò un uomo che gli aveva sfiorato la spalla…».A proposito di extraterrestri, Radu Lupu ci ha appena lasciato.«Lo adoravo. Non avrei mai pensato di ascoltare il Concerto di Schumann a quel livello di perfezione. Ma a Berlino, circa 12 anni fa, accadde. Andai a salutarlo ed era stranamente allegro. “Radu, ma non è che ti sei innamorato?”, gli chiesi. “No”, mi rispose, “ho solo avuto una giornata passabile”».
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco