2024-08-01
        Le femministe non ci stanno: «Vomitevole»
    
 
Le (poche) attiviste che non hanno paura di esporsi parlano di un episodio «aberrante» e «criminale», che trasforma anni di lotta per ribadire le differenze di genere in un carosello della falsa inclusione. E poi denunciano l’omertà da parte del mondo sportivo.Daniela Danna, accademica, saggista e militante femminista, non si nasconde dietro le parole: «Non esistono atleti “transgender”: si tratta di un uomo che vuole competere con le donne, questa è la realtà fisica della questione», ci dice. «Ci sono purtroppo precedenti di uomini che hanno ferito gravemente le atlete in incontri di pugilato, lotta, rugby negli Stati Uniti, dove questo sadico spettacolo è stato messo in scena per la prima volta. Le donne erano escluse dallo sport, abbiamo rivendicato la nostra partecipazione alle gare organizzate e abbiamo voluto la separazione dei sessi perché è evidente che in situazioni miste le atlete donne nemmeno esisterebbero, sia perché il fisico femminile è più debole, sia perché le prestazioni richieste sono state codificate dagli uomini, che hanno deciso quali sono gli sport».Già, anni di lotte per rivendicare spazi che sono sacrosanti e per ribadire la differenza ora vengono cancellati in nome della correttezza politica e della falsa inclusione. Cioè i due virus che infettano le istruzioni olimpiche convinte che il pugile transgender algerino Imane Khelif possa boxare con l’italiana Angela Carini senza che l’incontro risulti squilibrato. Secondo Fausta Quilleri, avvocato e centometrista campione del mondo nella categoria Master W65, si tratta di una situazione «aberrante». A suo dire, «la responsabilità è del comitato francese di verifica del genere degli atleti. Un uomo, anche se ha fatto la transizione di genere, ha una superiorità muscolare e scheletrica che non può essere diminuita dall’assunzione di ormoni femminili. Il Comitato olimpico, accettando che un uomo possa combattere, va contro lo spirito olimpico che stabilisce che ogni competizione debba essere leale. Qui», continua Quilleri, «la competizione è completamente sleale, perché c’è una superiorità fisica insuperabile. Questa cosa è semplicemente criminale. E sono le autorità a dover risolvere la questione. Non si può chiedere a una nostra atleta di non competere: lei sta realizzando il suo sogno olimpico, perché dovremmo chiederle di non combattere per protesta? La protesta va rivolta contro gli organismi che permettono tutto questo, e le donne devono assolutamente partecipare». Non ha dubbi neppure Marina Terragni, la portabandiera di questa fondamentale battaglia contro le nuove discriminazioni contro le donne causate dalla ideologia del gender. «È una storia da vomito», dice sdegnata. «È tutto così evidente... Un conto è se parliamo di tiro al piattello, ma se parliamo di uno sport in cui c’è un contatto anche brutale è chiaro che siamo di fronte a una competizione sleale. Il punto, qui, non è tanto il livello di testosterone, ma il fatto di avere avuto una pubertà maschile che conferisce una struttura ossea e muscolare, una capacità respiratoria cardiocircolatoria molto diversa tra chi nasce uomo e una donna. Chi ha avuto una pubertà maschile, anche se poi prende dei soppressori del testosterone, ha una forza nei pugni superiore del 100% o addirittura 170% a quella di una donna. Se si tratta di un atleta intersex cambia poco: se hanno i cromosomi XY la questione è la stessa». Terragni rigira il dito nella piaga: «La cosa sconcertante è l’omertà di tutto il mondo dello sport. Ogni tanto ci sono state delle prese di posizione, ma avvenute quando ormai i buoi erano scappati dalla stalla. Di fronte allo scandalo i giornalisti sportivi stanno tutti zitti, quelli che seguono le Olimpiadi stanno tutti zitti... Lo sono rimasti fino a che il caso non è esploso. È tutto veramente sconcertante, perché è un fatto di una tale autoevidenza...».Che sia tutto chiarissimo non c’è alcun dubbio. Ma purtroppo non ci sono dubbi nemmeno sulla sudditanza dei più all’eroticamente corretto. Mai che qualcuno alzi la voce, mai che qualcuno abbia il fegato di opporsi esplicitamente all’ingiustizia. Si lascia che siano sempre i soliti a prendere posizione, e si aspetta che siano le atlete a prendere l’iniziativa: dopo aver sacrificato tutto allo sport, si chiede loro di buttarsi in politica rischiando la carriera faticosamente costruita. Paola Mastrocola, scrittrice che non teme di dire la sua, è diretta: «Si stanno creando nuove discriminazioni contro le donne», dice. «La cultura dei diritti di genere distrugge i diritti conquistati dalle donne, infatti mi pare che molte femministe siano in rivolta. È una follia». Ovvio, è folle. Ma il problema è appunto che Mastrocola, Terragni, Danna, Quilleri e poche altre e altri hanno il fegato (e non da oggi) di commentare e opporsi. La gran parte degli intellettuali, comprese le attiviste femministe, o si nasconde o è compiacente. La verità è che a discutere di questo incontro di boxe non ci si sarebbe nemmeno dovuti arrivare: il delirio trans avrebbe dovuto essere fermato anni fa, non appena si è affacciato sulla scena. Invece, tra un inchino e un autodafé, siamo giunti a sostenere l’assurdo. E cioè che, per un individuo nato maschio, prendere a pugni una donna su un ring sia un diritto e non un abuso.
         Cristian Murianni-Davide Croatto-Andrea Carulli