2020-12-30
«Fellini e Mastroianni: un papà buono e un antidivo gentile»
Valeria Ciangottini (Mondadori via Getty Images)
Parla la diva de La dolce vita: «Risposi a un appello del regista. Mi scelsero tra 4.000 ragazze. Da allora mi riconobbero ovunque».Ci sono scene cinematografiche che rimangono impresse nell'immaginario collettivo. Il finale de La dolce vita, il capolavoro di Federico Fellini che nel 1960 divise l'Italia, è una di queste. Su una spiaggia, una ragazzina chiama Marcello Rubini, alias Marcello Mastroianni, fa dei segni, lo invita ad andare con lei, ma il rumore delle onde copre la sua voce. Quando la compagnia di amici con cui ha fatto l'alba se ne va, Marcello allarga le mani, la saluta e si allontana. Lei ricambia, sorridendo. Chi è quella ragazzina che simboleggia l'innocenza al termine del viaggio nell'abisso delle notti romane? Per interpretare quel breve ruolo, Fellini fece molte ricerche finché il suo sguardo incrociò quello di Valeria Ciangottini, una quattordicenne di origini umbre destinata a un futuro radioso.Com'è stata scelta da Fellini?«Il grande regista disse sui giornali e in una trasmissione televisiva che cercava una ragazzina dai dodici ai quattordici anni e tutte le persone accanto a me dicevano che assomigliavo alla descrizione che lui aveva fatto. Sono riuscito a convincere mia madre - a mio padre non l'abbiamo neanche detto! - e mi sono presentata da Fellini, il quale mi ha fatto subito fare un provino fotografico. Era entusiasta, poi però è passato un po' di tempo, ho fatto altri due provini e sono stata finalmente scelta tra quattromila ragazze».Che impressione le ha fatto Fellini?«Una bella impressione perché era una persona molto amichevole. Non mi ha mai messo in difficoltà, neanche durante la lavorazione. Era come un papà buono».Qual è stata la reazione di suo padre?«Glielo abbiamo detto quando ormai era fatta. Ha avuto un po' da ridire, ma poi è stato contento».Sua madre l'ha seguita sul set?«Sì, fino a diciott'anni!».Ha ricordi di Mastroianni?«Anche lui era veramente carino. L'ho incontrato varie volte, anche in occasioni mondane, era una persona deliziosa, da tutti i punti di vista: non solo un attore fantastico, ma un uomo semplice che non se la tirava per niente. Un antidivo. Devo dire che, essendo la più piccola, sul set ero molto coccolata: avevano tutti uno sguardo affettuoso nei miei confronti».Si rendeva conto lì per lì dell'importanza che avrebbe avuto quel ruolo?«Assolutamente no, anche perché nella scena finale la macchina da presa non era vicina a me, era un po' lontana, quindi non mi sono nemmeno resa conto che sarei stata ripresa in primo piano. Non avevo la coscienza di quello che stavo facendo, non pensavo neanche di proseguire nel cinema».Era al corrente delle polemiche attorno al film?«Più o meno si sapeva che c'erano state delle difficoltà dal punto di vista produttivo, solo che io ho avuto la fortuna di girare le mie scene per ultime, anche se una è stata inserita alla fine del primo tempo. I componenti della troupe erano tutti rilassati perché a quel punto il film era fatto, l'atmosfera era divertente. Poi il film è stato vietato e si sono scatenate molte polemiche sui giornali. La mia parte riscattava il film in un certo senso: rappresentava la speranza. Avevano quindi puntato su di me in maniera notevole».Ha avuto un'immediata notorietà?«Sì, sono uscite varie copertine sui giornali, si parlava molto di me. Una volta abbiamo fatto un viaggio con i miei genitori in Germania e mi riconoscevano pure lì! Del resto, la scena finale de La dolce vita i miei coetanei se la ricordano quasi tutti».Non ha più avuto opportunità di lavorare con Fellini?«No, però ci siamo incontrati in varie occasioni. L'ultima volta mi ha detto: “Il mio sogno sarebbe di fare un film con tutti i miei interpreti"».Poi ha deciso di proseguire la carriera.«Sì, avevo varie offerte. Ho fatto, uno dietro l'altro, La giornata balorda di Mauro Bolognini, Don Camillo monsignore... ma non troppo di Carmine Gallone e Cronaca familiare di Valerio Zurlini, tutti grandi film».In Cronaca familiare uno dei due protagonisti era ancora Mastroianni.«Ci siamo rincontrati sul set. Mi ricordo che Mastroianni era un po' malinconico, forse perché si era calato nel personaggio: non aveva il carattere così gioioso come al solito. Era una storia struggente. Anche l'altro protagonista, Jacques Perrin, era una persona deliziosa».Ha avuto la fortuna di lavorare con Fernandel e Gino Cervi. Ha legato con loro?«Con Cervi, con Fernandel meno perché aveva tutto un suo giro: il suo truccatore, il suo segretario, era circondato da un pool di persone sempre intorno e si concedeva di meno».Quando ha capito che il divertimento iniziale si stava trasformando in una professione?«Quando mi sono resa conto che dovevo assolutamente crescere professionalmente, che dovevo conoscere di più le tecniche, allora mi sono iscritta in una scuola di recitazione, lo Studio di arti sceniche di Alessandro Fersen, dove ho acquisito una maggiore consapevolezza»". A quel punto è cambiato il suo approccio alla recitazione.«Ho capito che avrei dovuto fare teatro perché dà più sicurezza nei tuoi mezzi. Ho avuto la fortuna di essere chiamata al Teatro San Babila di Milano e ho fatto due stagioni con loro. Il primo spettacolo l'ho fatto con Renzo Ricci, Eva Magni e Ernesto Calindri, che con Fantasio Piccoli dirigeva il San Babila».Che impressione le ha fatto salire per la prima volta sul palcoscenico?«La prima volta ero terrorizzata: non avevo più saliva da quanto avevo paura perché mi rendevo conto che, essendo un po' conosciuta, avevo la responsabilità di dover fare bene».A teatro quali sono stati gli attori più bravi con i quali ha lavorato?«Ho lavorato con tantissima gente. Qualche tempo dopo l'esperienza al Teatro San Babila sono entrata nella compagnia degli Attori associati: Giancarlo Sbragia, Ivo Garrani, Luigi Vannucchi, Sergio Fantoni, Valentina Fortunato e Paola Mannoni, il massimo del teatro italiano in quel momento. Con loro ho fatto Inferni, tratto da Porte chiuse di Jean-Paul Sartre, e Il vizio assurdo, in cui Vannucchi interpretava Cesare Pavese, un successo pazzesco: lo abbiamo portato in giro per tre anni!».A quel punto ha privilegiato il teatro rispetto al cinema.«A quel punto sì, perché non avevo neanche il tempo per dedicarmi al cinema. Contemporaneamente al teatro, d'estate facevamo qualche sceneggiato televisivo».Ha avuto la fortuna di lavorare con i più grandi registi televisivi dell'epoca, Edmo Fenoglio, Anton Giulio Majano, Sandro Bolchi...«Ho fatto Anna Karenina di Sandro Bolchi, un grande regista. Ho un ottimo ricordo anche di Majano, con cui ho fatto La pietra di luna. Ne I giacobini di Fenoglio, tratto dall'opera di Federico Zardi, che purtroppo è andato perduto, c'era tutto il teatro italiano. Ho fatto anche un Mastro Don Gesualdo con Enrico Maria Salerno, uno sceneggiato meraviglioso. Il regista Giacomo Vaccari è morto giovane (a trentadue anni, in un incidente stradale, ndr) prima del montaggio. Avrebbe fatto una grande carriera perché aveva un talento straordinario».I registi televisivi erano diversi dai registi cinematografici?«Lavoravano in tutt'altro modo. Lo sceneggiato si preparava a tavolino come a teatro, si faceva il tracciato di scena e poi si andava in studio e si facevano le prove con le telecamere. Solo dopo le prove finalmente si girava. La preparazione era molto lunga».Ha lavorato anche in film francesi e tedeschi.«Mi ricordo di aver girato in Francia Le due orfanelle di Riccardo Freda, un regista con le idee molto chiare, con cui ho fatto anche un film spionistico, Agente 777 missione Summergame, e come mi giravo vedevo ovunque importanti critici francesi che seguivano la lavorazione. Freda era amatissimo in Francia. Ho fatto anche un film diretto da Roger Vadim, Il vizio e la virtù. A quel tempo stava con Catherine Deneuve, con me era piuttosto freddo».Preferendo fare teatro, negli ultimi anni ha fatto piccole parti cinematografiche.«Sì, il film di cui ho il bel ricordo è Appuntamento a Liverpool di Marco Tullio Giordana, in cui interpreto la madre di Isabella Ferrari. Anche l'ultimo film che ho interpretato, Cronaca di una passione di Fabrizio Cattani, mi ha dato ottime soddisfazioni, pur non avendo avuto una distribuzione adeguata, perché ho vinto il premio per la miglior attrice al festival di Teheran».È andato a ritirarlo in Iran?«No, non lo sapevo nemmeno!».Per molti anni ha diretto una scuola di teatro.«Per dieci anni, a Città di Castello. Quando, con mio marito abbiamo deciso di comprare una casa in campagna, abbia scelto la terra dei miei genitori. Mia madre era proprio di Città di Castello, mio padre di Umbertide. È stata una realtà importante a Città di Castello perché c'erano venti-venticinque giovani ogni anno che sapevano a memoria Shakespeare o Molière. Facevamo anche una rassegna riservata a accademie e scuole di teatro. Non vorrei darmi delle arie perché è contrario al mio essere, però si sono formati molti attori».Poi perché ha dovuto chiuderla?«Ci sono sempre delle motivazioni di tipo politico-esistenziale...».È rimasta a vivere lì?«Continuo a vivere tra questa casa di campagna e Roma. Amo molto la natura».
Papa Leone XIV (Getty Images)
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