
Annuncia il taglio di tre lunedì del suo programma ma tace che è per dare spazio ai dibattiti post elettorali. La sinistra si scatena.Il martirio è servito. La chiusura anticipata di Che fuori tempo che fa di Fabio Fazio, tre puntate in meno per far spazio alla campagna elettorale e al commento post europee del 26 maggio, ha scatenato l'ondata di vittimismo. Si parla di cancellazione, di taglio, di censura. A sinistra piangono tutti. Piagnucolano gli editorialisti di Repubblica, il segretario del Pd Nicola Zingaretti, il conduttore stesso con la sua compagnia di giro. «La Rai è nella bufera», è il tam tam dei siti specializzati. L'ad Fabrizio Salini, all'oscuro dei fatti come il presidente Marcello Foa, ha chiesto una relazione scritta su tutta la vicenda alla direttrice di Rai 1, Teresa De Santis, e al direttore del coordinamento palinsesti, Marcello Ciannamea. «Su Fazio chiamatela come volete. Io la chiamo censura contro la libertà di espressione», esagera su Twitter Zingaretti inaugurando lo psicodramma.Domenica, prima di dare il via alla solita parata militante antigovernativa, FF aveva rivolto un avviso a coloro che seguono Che fuori tempo che fa del lunedì, dicendo che quella di ieri notte sarebbe stata l'ultima puntata della stagione perché «ci è stato comunicato che le ultime tre non andranno in onda». In sostituzione, sono previsti due speciali di Bruno Vespa e il 3 giugno, dopo due settimane d'interruzione, considerata l'anomalia e i costi della ripresa per una sola serata, si è previsto il film Triste, solitario y final. Ma dopo i ringraziamenti di rito per l'audience - un modesto 13%, nonostante il traino moltabaniano - pur potendolo fare, il conduttore non ha dato alcuna spiegazione. Il caso doveva deflagrare e così è stato. Lasciato cadere il cerino, ci ha pensato l'aria compressa della campagna elettorale a dare fuoco alla polveriera. L'incendio non sembra essere facilmente domabile. Non conta il fatto che già un anno fa, dopo le politiche del 4 marzo, Che fuori tempo che fa avesse ceduto il palinsesto al Porta a Porta post elezioni. In quell'occasione non ci furono lamentele di sorta, forse perché Matteo Salvini non era ancora potente. Le proteste sono invece salite di tono in tempi recenti, seppure in occasione di appuntamenti minori, quando il talk show di Bruno Vespa ha occupato la seconda serata del lunedì dopo le regionali in Abruzzo, Sardegna e Basilicata, l'11 e il 25 febbraio e il 25 marzo scorsi. Dunque, considerati i numerosi precedenti, la scelta editoriale di Rai 1 era ampiamente prevedibile. Ciò nonostante, a scanso di equivoci, la direzione di rete aveva comunicato con largo anticipo la decisione al vicedirettore per l'infotainment, Rosanna Pastore, che ha la delega sui programmi di FF. Ma non è bastato e si è preferito accendere la miccia.La strategia della provocazione di Fazio era chiara da tempo. Spingersi fino al limite estremo dell'antagonismo e al primo stop gridare al sopruso e alla censura. Se invece non fosse accaduto nulla, si sarebbe continuato a sparare contro Salvini e soci. Domenica sera, per gradire, c'erano l'immancabile Roberto Saviano, don Mattia Ferrari, vicario di Nonantola (Modena) che si è imbarcato sulla nave «Mare Jonio», il sindacalista Aboubakar Soumahoro reduce dal Salone del libro dove, con Michela Murgia, aveva appena presentato il suo Umanità in rivolta. La nostra lotta per il lavoro e il diritto alla felicità e, infine, Carlo Calenda, capogruppo del Pd nel Nordest.Con tutto questo, però, la chiusura anticipata del programma c'entra poco. Quella del lunedì sera, infatti, è la versione light del format che, oltre alla guida di FF e al prologo di Maurizio Crozza, si avvale della co-conduzione di Max Pezzali e della presenza fissa del Mago Forest, attorno ai quali ruotano attori e attrici, cantanti e starlette, meglio se un tantino vintage per soddisfare i gusti del pubblico di Rai 1. Però, per piagnucolare, stracciarsi le vesti e denunciare l'ingiustizia, tutto può servire. La sovrastima e l'ego dei volti tv sono un cavallo di battaglia dei giornaloni e della sinistra élitaria per la quale, in mancanza di argomenti, la politica coincide sempre più con la comunicazione. Non si discute di tasse, scuola, lavoro e servizi, ma di Facebook, fake news e palinsesti tv. Non a caso la campagna vittimista si era ufficialmente aperta qualche giorno fa a Otto e mezzo, quando Lilli Gruber aveva rinfacciato a Salvini di aggredire e insultare Fazio. Al che il ministro dell'Interno aveva replicato di ritenere «immorale uno stipendio da 3 milioni di euro all'anno per fare politica sulla televisione pubblica». Anche ieri, in un'intervista a Radio 24, il vicepremier ha ribadito le critiche al maxistipendio pagato del conduttore. Quanto alla chiusura anticipata del programma, «è una scelta dell'azienda, non entro nel merito. Io non mi occupo di palinsesti televisivi», ha sottolineato Salvini. «Fazio lo vorrei in onda sempre, anche a Natale e Capodanno. Più fa campagna elettorale per la sinistra e più gli italiani aprono gli occhi e votano Lega». Invece, se le cose andranno come deciso dalla direzione di Rai 1, anche lui dovrà farsene una ragione.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






