2020-09-26
Farsa del governo contro il 5g cinese: finge di frenare per rabbonire Trump
Giovedì notte riunione con Giuseppe Conte, i ministri e i servizi segreti Il 28 visita di Mike Pompeo per chiederci di chiudere con Pechino.Inutile far finta che non ci sia il proverbiale elefante nella stanza: cioè l'elemento che incombe su una discussione, nonostante che tutti facciano finta di non vederlo. L'«elefante» è la visita a Roma del segretario di Stato Usa Mike Pompeo, che martedì, sia in Vaticano sia davanti alle autorità italiane, chiederà conto alla Santa sede e al governo Conte delle rispettive scelte rispetto alla Cina. In particolare, per il governo italiano, il punto rovente è il 5G: Washington non vuole un'apertura al gigante cinese Huawei, perché teme conseguenze molto gravi. Il problema, tra l'altro, è rappresentato dalle norme di Pechino che ormai obbligano le imprese cinesi operanti all'estero a girare al governo centrale le informazioni di cui vengono in possesso: la cosiddetta esfiltrazione di dati è dunque un obbligo giuridico, con le conseguenze che ciascuno può immaginare - nel cuore dell'Occidente - rispetto alle informazioni più sensibili (economiche, bancarie, sanitarie, politiche, militari). Una penetrazione nel «sistema nervoso» di un Paese alleato che gli Usa e la Nato non possono tollerare, per evidenti ragioni. Il guaio è che il governo Conte, come rivelato da uno scoop della Verità (non smentito, perché non smentibile dagli interessati), il 7 agosto scorso ha adottato un Dpcm con cui ha di fatto aperto la strada all'uso di tecnologia Huawei sul 5G. E sempre ad agosto si è svolta la visita a Roma di Wang Yi, il ministro degli Esteri cinese, a cui Luigi Di Maio ha srotolato un lussuoso tappeto rosso, perfino trasformando una conferenza stampa in un surreale «punto stampa»: speech dei due ministri, domandine morbide (se non concordate), e comizietto anti Usa del cinese, senza alcuna possibilità di «grigliare» i conferenzieri sul 5G, sulle responsabilità del regime cinese sulla diffusione del coronavirus, sul rischio di scarrellamento geopolitico dell'Italia. Da allora, il governo non ha modificato gli atti normativi (il famigerato Dpcm del 7 agosto resta), ma ha dovuto fare i conti con una sostanziale dissociazione politica di due ministri, il titolare della Difesa Lorenzo Guerini e il responsabile degli Affari europei Enzo Amendola, oltre che di un altro esponente autorevole del Pd, il membro del Copasir Enrico Borghi.Così, a un fazzoletto di giorni dall'arrivo di Pompeo in Italia, è scattata l'operazione di parata, per non dire il proverbiale «facite ammuina»: un tentativo - non troppo convincente - di mostrare all'ospite americano che l'Italia è allineatissima a Washington. Va interpretata in questo modo la firma di un accordo di cooperazione Italia-Usa in materia di attività spaziali da parte del sottosegretario Riccardo Fraccaro. E soprattutto va letta nello stesso senso la riunione convocata in fretta e furia l'altra sera da Giuseppe Conte con una dozzina di ministri (tra i quali i già citati Amendola e Guerini da un lato, e i grillini Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli dall'altro) più i capidelegazione della maggioranza. A riunione conclusa, il governo ha tentato di veicolare sulla stampa amica un indurimento della linea e una sostanziale chiusura a Huawei: ma si tratta in larga misura di fumo da gettare negli occhi di Pompeo. In realtà, l'esecutivo si è limitato ad assumere un vago posizionamento di ancoraggio alle scelte che farà l'Europa su golden power e cybersecurity. Fonti governative hanno anche ripetuto le consuete formule sugli standard elevati di sicurezza rispetto alla protezione degli interessi nazionali fissati dalle norme esistenti. Tutto qui. Ma c'è un retrogusto di recita: il Pd ha ottenuto il richiamo all'Ue, e però i grillini possono dire che il quadro normativo non è stato modificato. E che tutto sia rimasto in alto mare è testimoniato da una circostanza che La Verità è in grado di rivelare: la convocazione d'urgenza, a riunione in corso, di altissimi rappresentanti dei servizi. Prova ulteriore di preoccupazioni forti e di una riunione non risolutiva. La sensazione è che non tutti abbiano capito che il nostro Paese si gioca l'osso del collo con un'operazione di questo tipo, alla quale, per capirci, si è prontamente sottratta la Gran Bretagna di Boris Johnson che nei mesi scorsi, dopo qualche incertezza iniziale, ha messo da parte soluzioni compromissorie e ha chiuso la porta ai cinesi sul 5G. E invece in Italia, dopo le prime crepe sui porti, ci si sta offrendo come cavallo di Troia della penetrazione di Pechino pure nelle infrastrutture digitali. Non siamo davanti a una questione meramente tecnologica o commerciale, ma a una partita di capitale importanza geostrategica, in cui non si può sbagliare campo di appartenenza. Certo, colpisce il fatto che, eccettuata La Verità e pochissime altre voci, l'affaire 5G e la questione del posizionamento geopolitico dell'Italia siano state finora tenute mediaticamente bassissime: gran silenzio o - peggio - spericolato giustificazionismo, perfino in ambienti che amano definirsi filoatlantici. Ma la partita è delicatissima e di gravità assoluta, e, davanti alle ficcanti domande di Mike Pompeo, uno che non è abituato a farsi prendere in giro, non basteranno furbizie e ambiguità. Non è davvero il caso di scherzare.