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2022-10-03
Dati fantasma dietro ai farmaci: così si sprecano 85 miliardi l'anno
La stima, seppur conservativa, fa una certa impressione: ogni anno, nel mondo, 85 miliardi di fondi destinati alla ricerca scientifica svaniscono nel nulla. Sprecati, anche a causa della mancata trasparenza di istituti scientifici, università e fondazioni sanitarie che conducono sperimentazioni cliniche, ma si guardano bene dal pubblicarne i risultati. Un enorme buco nero a cui la gran parte delle autorità nazionali e internazionali di vigilanza non riescono a porre rimedio.
Già nel 2017, l’Organizzazione mondiale della sanità aveva riunito i più importanti finanziatori della ricerca per arrivare a una posizione comune sui risultati dei trial clinici, la cui pubblicazione dovrebbe essere garantita entro i 12 mesi dalla data di completamento degli studi. Dallo scorso maggio, una risoluzione dell’Oms chiede agli attori che sovvenzionano la ricerca di promuovere la rendicontazione di tutti i trial finanziati con denaro pubblico. Peccato che il livello di aderenza alle disposizioni internazionali sia lontanissimo da una soglia ritenuta accettabile: secondo un’indagine elaborata da Transparimed, un gruppo di ricerca inglese che da anni sollecita una maggiore apertura del mondo scientifico, solo in Europa ci sarebbero almeno 5.488 trial clinici di cui non si conoscono i risultati.
Il rapporto evidenzia come le autorità nazionali di regolamentazione dei farmaci non siano in grado di vigilare sulla corretta pubblicazione di informazioni fondamentali che riguardano medicinali o vaccini di cui si studia l’efficacia. Limitando la ricerca alle sperimentazioni approvate fino al 2015, l’Italia è il Paese con il più alto numero di dati mancanti: «A causa dell’inerzia dell’Agenzia italiana del farmaco», scrivono i ricercatori inglesi, «si sono persi per strada i risultati di almeno 1.299 trial clinici. Rispetto all’ultima rilevazione del dicembre 2020, il quadro è addirittura peggiorato». Ad accompagnare l’Italia nella classifica dei Paesi meno trasparenti ci sono Olanda, Spagna e Francia: le rispettive agenzie regolatorie non sono riuscite a garantire la pubblicazione dei risultati di almeno due terzi degli studi clinici condotti in questi anni, di cui sono direttamente responsabili.
Le autorità di regolamentazione di ciascuno Stato membro dell’Ue hanno il compito di supervisionare gli studi condotti all’interno del proprio Paese. La responsabilità normativa include la finalizzazione delle registrazioni dei trial su Eudract (l’elenco gestito dall’Agenzia europea del farmaco, che attualmente contiene 42.500 sperimentazioni), il corretto caricamento dei dati e, soprattutto, l’aggiornamento continuo. Tuttavia, come mostra il rapporto, le agenzie nazionali spesso non adempiono alle proprie responsabilità, lasciando il registro dei processi europei pieno di informazioni errate e lacune.
«È scioccante vedere come Aifa non garantisca che le aziende farmaceutiche e le università italiane rispettino le regole, molti degli studi clinici non riportati sono stati finanziati con i soldi dei contribuenti italiani», spiega Till Bruckner, fondatore di Transparimed. «Risolvere questo problema è di fondamentale importanza: non si può continuare a sprecare denaro pubblico per una scienza sempre più invisibile».
Come risulta dal budget 2022, Aifa destina alla ricerca scientifica più di 10 milioni di euro: 2 milioni per sostenere i programmi di ricerca indipendente, 1,3 per finanziare il programma di farmacovigilanza attiva e più di 7 milioni di euro per ricerca, informazione e formazione. Sotto la diretta vigilanza dell’Aifa ci sono 9 dei 15 promotori europei con le più basse percentuali di trasparenza: il policlinico Gemelli, per esempio, sarebbe riuscito a caricare correttamente i risultati di una sola sperimentazione sulle 13 concluse da più di un anno, per le quali è richiesta la pubblicazione. In altri 109 casi, i dati dei trial sono inconsistenti. Il policlinico di Modena ha una percentuale di rendicontazione che non va oltre il 20%, mentre l’Istituto nazionale dei tumori non supera il 25%. Peggio fanno solo alcuni istituti francesi analizzati dai ricercatori di Transparimed: il centro ospedaliero universitario di Tolosa ha pubblicato appena il 7% dei risultati richiesti, mentre quello di Clermont Ferrand non ha caricato neanche un dato sulle 11 sperimentazioni terminate da oltre 12 mesi. «Siamo delusi dalla mancanza di volontà politica nel garantire la trasparenza dei dati delle sperimentazioni cliniche portate avanti in alcuni Stati membri dell’Ue», ha scritto l’europarlamentare Tilly Metz, responsabile salute del gruppo dei Verdi.
L'Aifa richiamata all'ordine evita di spiegare perché ritarda
Non solo i dati delle sperimentazioni cliniche sfuggono al controllo di Aifa. A volte, più banalmente, negli uffici dell’Agenzia italiana del farmaco passano inosservate anche le email. Lo scorso 26 settembre, Transparimed - con altre organizzazioni internazionali, tra cui Cochrane, Salud por Derecho e il Network europeo dei pazienti affetti da melanoma - ha pubblicato un dettagliato rapporto sulle strategie che varie agenzie regolatorie internazionali hanno adottato per ovviare al problema della scarsa trasparenza dei trial clinici. Tra i Paesi che hanno scelto di rispondere alle 11 domande del gruppo di ricerca, non figura l’Italia: secondo quanto ricostruito da Till Bruckner, fondatore di Transparimed, «Aifa non vuole che si parli di questo argomento, nonostante le sollecitazioni».
Anche le agenzie di Francia e Spagna hanno scelto di non commentare. Una strana coincidenza, dal momento che le tre agenzie hanno fin qui conseguito i risultati peggiori in materia di vigilanza sulla trasparenza dei trial clinici e, almeno per il momento, non sembrano aver preso contromisure per provare a invertire la rotta. «Queste agenzie di regolamentazione dovrebbero emulare gli approcci scelti da altre autorità nazionali, per assicurare che le informazioni attualmente mancanti nei registri europei siano rese pubbliche al più presto, e non si perdano per sempre», si legge nel report. Almeno fino al 2018, le richieste dell’Unione Europea su una corretta pubblicazione dei dati sono rimaste lettera morta: molte agenzie non sono riuscite a garantire un aggiornamento costante delle informazioni, così i promotori dei trial clinici sono rimasti a lungo inconsapevoli dei loro crescenti ritardi.
Quattro anni fa, meno del 50% delle sperimentazioni cliniche riportavano correttamente i risultati conseguiti, come richiesto dalle regole internazionali. Da allora, l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha cominciato a contattare direttamente ricercatori, università e ospedali, indicando la strada a molti regolatori nazionali. Le più attive nella ricerca di promotori inadempienti sono le agenzie di Belgio, Austria e Danimarca: «Ci assicuriamo che i promotori siano consapevoli delle regole di riferimento e monitoriamo costantemente il livello della pubblicazione», fanno sapere dall’Agenzia del farmaco danese. «Abbiamo garantito la pubblicazione di almeno il 76% dei trial che dal 2017 non riportavano correttamente i dati».
Entro il febbraio 2023 l’Ufficio federale per la sicurezza della salute austriaco prevede di programmare l’ultimo round di contatto nei confronti degli sponsor in ritardo con la pubblicazione dei risultati, mentre il Comitato centrale per la ricerca olandese ha assunto personale dedicato per interpellare i soggetti inadempienti. Per provare a esercitare una pressione maggiore nei confronti dei promotori, molti Paesi europei hanno mutato il proprio quadro giuridico, introducendo sanzioni economiche nei confronti di chi aggira le regole internazionali. La violazione del Regolamento Ue sui trial clinici rientra tra le sanzioni previste dalla legge austriaca sui medicinali, che prevede una multa tra i 25.000 e i 50.000 euro per le irregolarità reiterate. Per la legge danese, il mancato rispetto dell’obbligo di pubblicazione dei risultati può comportare una sanzione economica, da quantificare in sede giudiziaria, o, addirittura, un periodo di reclusione fino a 4 mesi.
L’Agenzia danese per i medicinali ha la facoltà di presentare una denuncia all’autorità giudiziaria. In Olanda, invece, è l’Ispettorato della salute che può agire se uno dei promotori non si adegua alle disposizioni normative. Come spiega il Comitato centrale per la ricerca di Amsterdam, «per la violazione del regolamento è possibile imporre sanzioni di pagamento periodiche, il cui ammontare deve essere proporzionato alla gravità degli interessi violati». La legge olandese non fissa un massimo prestabilito, ma il ministero può imporre una sanzione amministrativa che può arrivare fino a 33.00 euro.
«Senza chiarezza bisogna bloccare i fondi»
«Il Covid ha drasticamente ridotto il livello di trasparenza del mondo scientifico: la politica ha approfittato della situazione di emergenza per tornare a esercitare una forte influenza sul mondo della scienza. Nascondere le informazioni danneggia la ricerca, le istituzioni e le decine di migliaia di volontari che mettono a disposizione quanto di più prezioso esista: il corpo umano». Risponde dalla Nuova Zelanda Luca Li Bassi, ex direttore generale di Aifa. Interrotta l’esperienza a metà per lo spoils system imposto da Roberto Speranza, Li Bassi è tornato a lavorare per il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo.
Lei è stato l’artefice della risoluzione dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla trasparenza del mercato dei medicinali, vaccini e altri prodotti sanitari. Eppure, secondo Transparimed, in ambito europeo ci sarebbero almeno 5.488 sperimentazioni di cui non si conoscono i risultati. Che ne pensa?
«Non possiamo permetterci di sprecare altre risorse, soprattutto nei Paesi in cui gli investimenti sulla ricerca sono limitati. L’accesso ai risultati clinici deve poter essere garantito».
La mancanza di dati è imputabile ai ritardi e alla dimenticanza o c’è dietro un qualche interesse particolare?
«Il punto è proprio questo. È sufficiente anche un solo trial che non viene messo a disposizione per creare un danno alla ricerca: magari quel trial va a indagare su un sottogruppo di persone che non rispondono a un determinato farmaco, e noi non lo sappiamo».
Anche un trial interrotto a metà può essere utile alla ricerca?
«Assolutamente, sia in positivo sia in negativo. Un trial può essere interrotto perché l’efficacia di un farmaco è piuttosto elevata e quindi non è etico continuare a somministrare il placebo all’altra metà dei pazienti. In negativo, un trial può essere interrotto perché non dà un risultato positivo o, peggio, può risultare dannoso. In un caso o nell’altro, è indispensabile che tutti i ricercatori, i clinici e pazienti siano informati».
L’Italia è il Paese meno trasparente: circa 1.299 trial clinici non sarebbero stati correttamente riportati. Aifa non ha gli strumenti sufficienti per vigilare?
«Probabilmente Aifa non ha gli strumenti legali per intervenire. Sarebbe auspicabile una modifica legislativa per dare all’Agenzia tutta l’autorità di cui avrebbe bisogno, anche multare economicamente le istituzioni, le compagnie e gli istituti di ricerca che non rispettano l’obbligo di pubblicazione, se necessario. È un discorso di responsabilità: le istituzioni devono rendere conto ai cittadini delle attività che svolgono. È ciò che ho cercato di fare nei mesi all’Aifa: per esempio, nessuno era mai riuscito a mettere i dati di consumo farmaceutico nelle disponibilità di tutti i cittadini».
Diversi Paesi europei hanno già previsto sanzioni economiche: in Germania la multa massima si aggira sui 25.000 euro, in Austria si arriva addirittura al doppio.
«Avere la facoltà di multare significa esercitare una pressione nei confronti degli istituti, che avranno tutto l’interesse a uniformarsi. Penso ci possano essere anche interventi che non richiedono un cambiamento del quadro legislativo, ma che potrebbero dare un effetto immediato».
Per esempio quali?
«Ogni anno, Aifa gestisce svariati milioni di euro dedicati alla ricerca in ambito farmaceutico. La trasparenza potrebbe essere uno dei criteri necessari per l’accesso ai fondi. Probabilmente non riusciremo a recuperare tutto quello che abbiamo perso, ma è un segnale di cambiamento».
A distanza di due anni, alcuni interrogativi sulla gestione della pandemia da Covid-19 restano ancora aperti, a cominciare dall’approvvigionamento dei vaccini. Come giudica la mancanza di trasparenza della Commissione Ue?
«In tutte le nazioni ci sono esperti che lavorano una vita, dedicano studi, passione e tempo per conoscere i mercati farmaceutici e poter negoziare al meglio. Se è sufficiente prendere il telefono e concordare via sms gli approvvigionamenti, che senso hanno le agenzie regolatorie?».
La Corte dei conti europea ha chiesto conto degli scambi tra Ursula von der Leyen e il ceo di Pfizer, Albert Bourla, ma la Commissione europea resta un muro di gomma. Non crede che ciò pregiudichi la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e aumenti la diffidenza nei confronti della scienza?
«Dobbiamo avere fiducia nelle istituzioni, ma è legittimo chiedere un adeguato livello di trasparenza. Altrimenti, non stupiamoci se i cittadini cominceranno a dubitare».
Gli inglesi faranno tutto in 12 mesi
«Rendi semplice la trasparenza, rendi la trasparenza la norma». L’approccio che il Regno Unito ha scelto per assicurare la corretta pubblicazione dei risultati di tutte le sperimentazioni cliniche è riassunto in questo slogan, creato per lanciare la campagna #MakeitPublic. Nel 2018, la Commissione per la scienza e la tecnologia del Parlamento britannico ha avviato un’indagine sulla trasparenza della sperimentazione clinica, al termine della quale ha richiesto all’Autorità per la ricerca sanitaria (Hra) di sviluppare una nuova strategia nazionale. Il Comitato di esperti voluto dall’Hra, che includeva funzionari pubblici, accademici e rappresentanti dei pazienti, ha elaborato un sistema che non prevede alcuna forma di punizione, ma solo supporto nei confronti di ricercatori e promotori dei trial, coinvolti in un flusso di lavoro più snello e meno burocratico.
«Le informazioni devono essere pubbliche e a disposizione di tutti coloro che sono coinvolti nella ricerca sulla salute e sull’assistenza sociale», ha spiegato il professore Andrew George, a capo del gruppo di ricerca che ha elaborato la nuova strategia da seguire. Nel 2023, il Regno Unito dovrebbe adottare una nuova legge nazionale che imporrà la pubblicazione di ogni sperimentazione clinica interventistica entro i 12 mesi dalla conclusione degli studi, come raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità. I promotori di ogni trial saranno legalmente responsabili del caricamento dei dati, mentre il compito di vigilanza spetterà all’Autorità per la ricerca sanitaria che, avendo accesso ai dati dell’audit di prova, può identificare facilmente eventuali violazioni.
I due principali finanziatori della ricerca pubblica britannica, l’Istituto nazionale per la ricerca medica e il Consiglio per la ricerca medica, avranno la facoltà di monitorare la registrazione e il resoconto di tutti i trial finanziati. Al Registro internazionale degli studi randomizzati spetterà il compito di richiamare periodicamente i promotori attraverso comunicazioni mirate. «Un numero record di persone sta prendendo parte alla ricerca sanitaria nel Regno Unito», ha scritto il professor Chris Whitty, chief medical officer per l’Inghilterra. «Se i risultati delle ricerche non vengono resi pubblici in modo significativo e tempestivo, rendiamo loro un disservizio. Pertanto, la trasparenza e l’apertura sono valori essenziali per valorizzare l’impegno dei pazienti».
A oggi, non sono ancora chiari i costi di sviluppo e attuazione della nuova strategia britannica. Transparimed stima che l’impegno economico per ciascuno degli attori coinvolti non dovrebbe superare il milione di euro, una cifra marginale rispetto a quanto ogni anno viene disperso a causa degli sprechi nella ricerca.
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Ogni anno nel mondo 85 miliardi di fondi, pubblici e privati, destinati alla ricerca finiscono sprecati, anche a causa della mancata trasparenza di istituti e fondazioni che conducono sperimentazioni cliniche, ma si guardano bene dal pubblicarne i risultati. L’associazione Transparimed denuncia: circa 5.500 trial e studi poco trasparenti. Di questi più di 1.200 in Italia. E l’Aifa?Lo speciale contiene quattro articoli.La stima, seppur conservativa, fa una certa impressione: ogni anno, nel mondo, 85 miliardi di fondi destinati alla ricerca scientifica svaniscono nel nulla. Sprecati, anche a causa della mancata trasparenza di istituti scientifici, università e fondazioni sanitarie che conducono sperimentazioni cliniche, ma si guardano bene dal pubblicarne i risultati. Un enorme buco nero a cui la gran parte delle autorità nazionali e internazionali di vigilanza non riescono a porre rimedio. Già nel 2017, l’Organizzazione mondiale della sanità aveva riunito i più importanti finanziatori della ricerca per arrivare a una posizione comune sui risultati dei trial clinici, la cui pubblicazione dovrebbe essere garantita entro i 12 mesi dalla data di completamento degli studi. Dallo scorso maggio, una risoluzione dell’Oms chiede agli attori che sovvenzionano la ricerca di promuovere la rendicontazione di tutti i trial finanziati con denaro pubblico. Peccato che il livello di aderenza alle disposizioni internazionali sia lontanissimo da una soglia ritenuta accettabile: secondo un’indagine elaborata da Transparimed, un gruppo di ricerca inglese che da anni sollecita una maggiore apertura del mondo scientifico, solo in Europa ci sarebbero almeno 5.488 trial clinici di cui non si conoscono i risultati.Il rapporto evidenzia come le autorità nazionali di regolamentazione dei farmaci non siano in grado di vigilare sulla corretta pubblicazione di informazioni fondamentali che riguardano medicinali o vaccini di cui si studia l’efficacia. Limitando la ricerca alle sperimentazioni approvate fino al 2015, l’Italia è il Paese con il più alto numero di dati mancanti: «A causa dell’inerzia dell’Agenzia italiana del farmaco», scrivono i ricercatori inglesi, «si sono persi per strada i risultati di almeno 1.299 trial clinici. Rispetto all’ultima rilevazione del dicembre 2020, il quadro è addirittura peggiorato». Ad accompagnare l’Italia nella classifica dei Paesi meno trasparenti ci sono Olanda, Spagna e Francia: le rispettive agenzie regolatorie non sono riuscite a garantire la pubblicazione dei risultati di almeno due terzi degli studi clinici condotti in questi anni, di cui sono direttamente responsabili. Le autorità di regolamentazione di ciascuno Stato membro dell’Ue hanno il compito di supervisionare gli studi condotti all’interno del proprio Paese. La responsabilità normativa include la finalizzazione delle registrazioni dei trial su Eudract (l’elenco gestito dall’Agenzia europea del farmaco, che attualmente contiene 42.500 sperimentazioni), il corretto caricamento dei dati e, soprattutto, l’aggiornamento continuo. Tuttavia, come mostra il rapporto, le agenzie nazionali spesso non adempiono alle proprie responsabilità, lasciando il registro dei processi europei pieno di informazioni errate e lacune.«È scioccante vedere come Aifa non garantisca che le aziende farmaceutiche e le università italiane rispettino le regole, molti degli studi clinici non riportati sono stati finanziati con i soldi dei contribuenti italiani», spiega Till Bruckner, fondatore di Transparimed. «Risolvere questo problema è di fondamentale importanza: non si può continuare a sprecare denaro pubblico per una scienza sempre più invisibile». Come risulta dal budget 2022, Aifa destina alla ricerca scientifica più di 10 milioni di euro: 2 milioni per sostenere i programmi di ricerca indipendente, 1,3 per finanziare il programma di farmacovigilanza attiva e più di 7 milioni di euro per ricerca, informazione e formazione. Sotto la diretta vigilanza dell’Aifa ci sono 9 dei 15 promotori europei con le più basse percentuali di trasparenza: il policlinico Gemelli, per esempio, sarebbe riuscito a caricare correttamente i risultati di una sola sperimentazione sulle 13 concluse da più di un anno, per le quali è richiesta la pubblicazione. In altri 109 casi, i dati dei trial sono inconsistenti. Il policlinico di Modena ha una percentuale di rendicontazione che non va oltre il 20%, mentre l’Istituto nazionale dei tumori non supera il 25%. Peggio fanno solo alcuni istituti francesi analizzati dai ricercatori di Transparimed: il centro ospedaliero universitario di Tolosa ha pubblicato appena il 7% dei risultati richiesti, mentre quello di Clermont Ferrand non ha caricato neanche un dato sulle 11 sperimentazioni terminate da oltre 12 mesi. «Siamo delusi dalla mancanza di volontà politica nel garantire la trasparenza dei dati delle sperimentazioni cliniche portate avanti in alcuni Stati membri dell’Ue», ha scritto l’europarlamentare Tilly Metz, responsabile salute del gruppo dei Verdi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/farmaci-fuori-controllo-2658372032.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="l-aifa-richiamata-all-ordine-evita-di-spiegare-perche-ritarda" data-post-id="2658372032" data-published-at="1664742458" data-use-pagination="False"> L'Aifa richiamata all'ordine evita di spiegare perché ritarda Non solo i dati delle sperimentazioni cliniche sfuggono al controllo di Aifa. A volte, più banalmente, negli uffici dell’Agenzia italiana del farmaco passano inosservate anche le email. Lo scorso 26 settembre, Transparimed - con altre organizzazioni internazionali, tra cui Cochrane, Salud por Derecho e il Network europeo dei pazienti affetti da melanoma - ha pubblicato un dettagliato rapporto sulle strategie che varie agenzie regolatorie internazionali hanno adottato per ovviare al problema della scarsa trasparenza dei trial clinici. Tra i Paesi che hanno scelto di rispondere alle 11 domande del gruppo di ricerca, non figura l’Italia: secondo quanto ricostruito da Till Bruckner, fondatore di Transparimed, «Aifa non vuole che si parli di questo argomento, nonostante le sollecitazioni». Anche le agenzie di Francia e Spagna hanno scelto di non commentare. Una strana coincidenza, dal momento che le tre agenzie hanno fin qui conseguito i risultati peggiori in materia di vigilanza sulla trasparenza dei trial clinici e, almeno per il momento, non sembrano aver preso contromisure per provare a invertire la rotta. «Queste agenzie di regolamentazione dovrebbero emulare gli approcci scelti da altre autorità nazionali, per assicurare che le informazioni attualmente mancanti nei registri europei siano rese pubbliche al più presto, e non si perdano per sempre», si legge nel report. Almeno fino al 2018, le richieste dell’Unione Europea su una corretta pubblicazione dei dati sono rimaste lettera morta: molte agenzie non sono riuscite a garantire un aggiornamento costante delle informazioni, così i promotori dei trial clinici sono rimasti a lungo inconsapevoli dei loro crescenti ritardi. Quattro anni fa, meno del 50% delle sperimentazioni cliniche riportavano correttamente i risultati conseguiti, come richiesto dalle regole internazionali. Da allora, l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha cominciato a contattare direttamente ricercatori, università e ospedali, indicando la strada a molti regolatori nazionali. Le più attive nella ricerca di promotori inadempienti sono le agenzie di Belgio, Austria e Danimarca: «Ci assicuriamo che i promotori siano consapevoli delle regole di riferimento e monitoriamo costantemente il livello della pubblicazione», fanno sapere dall’Agenzia del farmaco danese. «Abbiamo garantito la pubblicazione di almeno il 76% dei trial che dal 2017 non riportavano correttamente i dati». Entro il febbraio 2023 l’Ufficio federale per la sicurezza della salute austriaco prevede di programmare l’ultimo round di contatto nei confronti degli sponsor in ritardo con la pubblicazione dei risultati, mentre il Comitato centrale per la ricerca olandese ha assunto personale dedicato per interpellare i soggetti inadempienti. Per provare a esercitare una pressione maggiore nei confronti dei promotori, molti Paesi europei hanno mutato il proprio quadro giuridico, introducendo sanzioni economiche nei confronti di chi aggira le regole internazionali. La violazione del Regolamento Ue sui trial clinici rientra tra le sanzioni previste dalla legge austriaca sui medicinali, che prevede una multa tra i 25.000 e i 50.000 euro per le irregolarità reiterate. Per la legge danese, il mancato rispetto dell’obbligo di pubblicazione dei risultati può comportare una sanzione economica, da quantificare in sede giudiziaria, o, addirittura, un periodo di reclusione fino a 4 mesi. L’Agenzia danese per i medicinali ha la facoltà di presentare una denuncia all’autorità giudiziaria. In Olanda, invece, è l’Ispettorato della salute che può agire se uno dei promotori non si adegua alle disposizioni normative. Come spiega il Comitato centrale per la ricerca di Amsterdam, «per la violazione del regolamento è possibile imporre sanzioni di pagamento periodiche, il cui ammontare deve essere proporzionato alla gravità degli interessi violati». La legge olandese non fissa un massimo prestabilito, ma il ministero può imporre una sanzione amministrativa che può arrivare fino a 33.00 euro. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/farmaci-fuori-controllo-2658372032.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="senza-chiarezza-bisogna-bloccare-i-fondi" data-post-id="2658372032" data-published-at="1664742458" data-use-pagination="False"> «Senza chiarezza bisogna bloccare i fondi» «Il Covid ha drasticamente ridotto il livello di trasparenza del mondo scientifico: la politica ha approfittato della situazione di emergenza per tornare a esercitare una forte influenza sul mondo della scienza. Nascondere le informazioni danneggia la ricerca, le istituzioni e le decine di migliaia di volontari che mettono a disposizione quanto di più prezioso esista: il corpo umano». Risponde dalla Nuova Zelanda Luca Li Bassi, ex direttore generale di Aifa. Interrotta l’esperienza a metà per lo spoils system imposto da Roberto Speranza, Li Bassi è tornato a lavorare per il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. Lei è stato l’artefice della risoluzione dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla trasparenza del mercato dei medicinali, vaccini e altri prodotti sanitari. Eppure, secondo Transparimed, in ambito europeo ci sarebbero almeno 5.488 sperimentazioni di cui non si conoscono i risultati. Che ne pensa? «Non possiamo permetterci di sprecare altre risorse, soprattutto nei Paesi in cui gli investimenti sulla ricerca sono limitati. L’accesso ai risultati clinici deve poter essere garantito». La mancanza di dati è imputabile ai ritardi e alla dimenticanza o c’è dietro un qualche interesse particolare? «Il punto è proprio questo. È sufficiente anche un solo trial che non viene messo a disposizione per creare un danno alla ricerca: magari quel trial va a indagare su un sottogruppo di persone che non rispondono a un determinato farmaco, e noi non lo sappiamo». Anche un trial interrotto a metà può essere utile alla ricerca? «Assolutamente, sia in positivo sia in negativo. Un trial può essere interrotto perché l’efficacia di un farmaco è piuttosto elevata e quindi non è etico continuare a somministrare il placebo all’altra metà dei pazienti. In negativo, un trial può essere interrotto perché non dà un risultato positivo o, peggio, può risultare dannoso. In un caso o nell’altro, è indispensabile che tutti i ricercatori, i clinici e pazienti siano informati». L’Italia è il Paese meno trasparente: circa 1.299 trial clinici non sarebbero stati correttamente riportati. Aifa non ha gli strumenti sufficienti per vigilare? «Probabilmente Aifa non ha gli strumenti legali per intervenire. Sarebbe auspicabile una modifica legislativa per dare all’Agenzia tutta l’autorità di cui avrebbe bisogno, anche multare economicamente le istituzioni, le compagnie e gli istituti di ricerca che non rispettano l’obbligo di pubblicazione, se necessario. È un discorso di responsabilità: le istituzioni devono rendere conto ai cittadini delle attività che svolgono. È ciò che ho cercato di fare nei mesi all’Aifa: per esempio, nessuno era mai riuscito a mettere i dati di consumo farmaceutico nelle disponibilità di tutti i cittadini». Diversi Paesi europei hanno già previsto sanzioni economiche: in Germania la multa massima si aggira sui 25.000 euro, in Austria si arriva addirittura al doppio. «Avere la facoltà di multare significa esercitare una pressione nei confronti degli istituti, che avranno tutto l’interesse a uniformarsi. Penso ci possano essere anche interventi che non richiedono un cambiamento del quadro legislativo, ma che potrebbero dare un effetto immediato». Per esempio quali? «Ogni anno, Aifa gestisce svariati milioni di euro dedicati alla ricerca in ambito farmaceutico. La trasparenza potrebbe essere uno dei criteri necessari per l’accesso ai fondi. Probabilmente non riusciremo a recuperare tutto quello che abbiamo perso, ma è un segnale di cambiamento». A distanza di due anni, alcuni interrogativi sulla gestione della pandemia da Covid-19 restano ancora aperti, a cominciare dall’approvvigionamento dei vaccini. Come giudica la mancanza di trasparenza della Commissione Ue? «In tutte le nazioni ci sono esperti che lavorano una vita, dedicano studi, passione e tempo per conoscere i mercati farmaceutici e poter negoziare al meglio. Se è sufficiente prendere il telefono e concordare via sms gli approvvigionamenti, che senso hanno le agenzie regolatorie?». La Corte dei conti europea ha chiesto conto degli scambi tra Ursula von der Leyen e il ceo di Pfizer, Albert Bourla, ma la Commissione europea resta un muro di gomma. Non crede che ciò pregiudichi la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e aumenti la diffidenza nei confronti della scienza? «Dobbiamo avere fiducia nelle istituzioni, ma è legittimo chiedere un adeguato livello di trasparenza. Altrimenti, non stupiamoci se i cittadini cominceranno a dubitare». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/farmaci-fuori-controllo-2658372032.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="gli-inglesi-faranno-tutto-in-12-mesi" data-post-id="2658372032" data-published-at="1664742458" data-use-pagination="False"> Gli inglesi faranno tutto in 12 mesi «Rendi semplice la trasparenza, rendi la trasparenza la norma». L’approccio che il Regno Unito ha scelto per assicurare la corretta pubblicazione dei risultati di tutte le sperimentazioni cliniche è riassunto in questo slogan, creato per lanciare la campagna #MakeitPublic. Nel 2018, la Commissione per la scienza e la tecnologia del Parlamento britannico ha avviato un’indagine sulla trasparenza della sperimentazione clinica, al termine della quale ha richiesto all’Autorità per la ricerca sanitaria (Hra) di sviluppare una nuova strategia nazionale. Il Comitato di esperti voluto dall’Hra, che includeva funzionari pubblici, accademici e rappresentanti dei pazienti, ha elaborato un sistema che non prevede alcuna forma di punizione, ma solo supporto nei confronti di ricercatori e promotori dei trial, coinvolti in un flusso di lavoro più snello e meno burocratico. «Le informazioni devono essere pubbliche e a disposizione di tutti coloro che sono coinvolti nella ricerca sulla salute e sull’assistenza sociale», ha spiegato il professore Andrew George, a capo del gruppo di ricerca che ha elaborato la nuova strategia da seguire. Nel 2023, il Regno Unito dovrebbe adottare una nuova legge nazionale che imporrà la pubblicazione di ogni sperimentazione clinica interventistica entro i 12 mesi dalla conclusione degli studi, come raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità. I promotori di ogni trial saranno legalmente responsabili del caricamento dei dati, mentre il compito di vigilanza spetterà all’Autorità per la ricerca sanitaria che, avendo accesso ai dati dell’audit di prova, può identificare facilmente eventuali violazioni. I due principali finanziatori della ricerca pubblica britannica, l’Istituto nazionale per la ricerca medica e il Consiglio per la ricerca medica, avranno la facoltà di monitorare la registrazione e il resoconto di tutti i trial finanziati. Al Registro internazionale degli studi randomizzati spetterà il compito di richiamare periodicamente i promotori attraverso comunicazioni mirate. «Un numero record di persone sta prendendo parte alla ricerca sanitaria nel Regno Unito», ha scritto il professor Chris Whitty, chief medical officer per l’Inghilterra. «Se i risultati delle ricerche non vengono resi pubblici in modo significativo e tempestivo, rendiamo loro un disservizio. Pertanto, la trasparenza e l’apertura sono valori essenziali per valorizzare l’impegno dei pazienti». A oggi, non sono ancora chiari i costi di sviluppo e attuazione della nuova strategia britannica. Transparimed stima che l’impegno economico per ciascuno degli attori coinvolti non dovrebbe superare il milione di euro, una cifra marginale rispetto a quanto ogni anno viene disperso a causa degli sprechi nella ricerca.
MR. BRAINWASH, Banksy thrower, opera unica su carta, 2022
Contrariamente a quanto si possa pensare, la street art, così straordinariamente attuale e rivoluzionaria, affonda le sue radici negli albori della storia: si può dire che parta dalle incisioni rupestri (i graffiti primitivi sono temi ricorrenti in molti street artist contemporanei) e millenni dopo, passando per le pitture murali medievali, i murales politici del dopoguerra e il « muralismo » messicano di Diego Rivera, José Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros, approdi nella New York ( o meglio, nel suo sottosuolo…) di fine anni ’60, dove tag, firme e strani simboli si moltiplicano sui treni e sui muri delle metropolitane, espressione di quella nuova forma d’arte che prende il nome di writing, quell’arte urbana che è la «parente più prossima » della street art, meno simbolica e più figurativa.
E quando si parla di street art, il primo nome che viene in mente è in assoluto quello di Banksy, la figura più enigmatica della scena artistica contemporanea, che ha fatto del mistero la sua cifra espressiva. Banksy è «l‘ artista che non c’è » ma che lascia ovunque il segno del suo passaggio, con una comunicazione che si muove con intelligenza tra arte e media: i suoi profili social sono il primo canale di diffusione e le sue opere, spesso realizzate con stencil (una maschera normografica su cui viene applicata una vernice, così da ottenere un'immagine sullo spazio retrostante), sono interventi rapidi nello spazio urbano, capaci di coniugare arte e messaggio politico. Quella di Bansky è un’arte clandestina, quasi abusiva, fulminea, che compare dal nulla un po’ovunque, in primis sui grandi scenari di guerra, dal muro che divide Israele e Palestina ai palazzi bombardati in Ucraina. Le sue immagini, dall’iconica Balloon Girl (la ragazzina con un palloncino rosso a forma di cuore) ai soldati che disegnano il segno della pace, dai bambini con maschere antigas, alle ragazzine che abbracciano armi da guerra, sono ironiche e dissacranti, a volte disturbanti, ma lanciano sempre messaggi politici e chiare invettive contro i potenti del mondo.
Ed è proprio il misterioso artista (forse) di Bristol il fulcro della mostra a Conegliano, curata da Daniel Buso e organizzata da ARTIKA in collaborazione con Deodato Arte e la suggestiva cittadina veneta.
La Mostra, Keith Haring e Obey
Ricca di 80 opere, con focus sulla figura di Bansky ( particolarmente significativa la sua Kids on Guns, un'opera del 2013 che rappresenta due bambini stilizzati in cima a una montagna di armi, simbolo della lotta contro la violenza), la mostra si articola attorno a quattro grandi temi - ribellione, pacifismo, consumismo e critica al sistema – ed ospita, oltre all’enigmatico artista britannico, altri due guru della street art: Keith Haring e Shepard Fairey, in arte Obey.
Convinto che «l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi: l’arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare» Haring (morto prematuramente nel 1990, a soli 32 anni, stroncato dall’AIDS) ha creato un nuovo linguaggio comunicativo caratterizzato da tematiche legate alla politica e alla società, facendo degli omini stilizzati e del segno grafico nero i suoi tratti distintivi; Fairey, in arte Obey, attualmente uno degli street artist più importanti ( e discussi) al mondo, si è fin da subito reso conto di come la società in cui è nato e cresciuto lo abbia condotto all’obbedienza senza che lui se ne rendesse conto: da qui la scelta di chiamarsi Obey , che significa obbedire.
Bansky, Haring , Obey, praticamente la storia della street art racchiusa in una mostra che non è solo un'esposizione di opere d'arte, ma anche un'occasione per riflettere sulle contraddizioni di questo oramai popolarissimo movimento artistico e sul suo ruolo nella società contemporanea. Alla domanda se un’arte nata per contestare il sistema possa oggi essere esposta nei musei, venduta all’asta e diventare oggetto di mercato, non vengono offerte risposte, ma contributi per stimolare una riflessione personale in ogni visitatore. Perché, in fondo, anche questa è la forza della Street Art: porre questioni più che dare certezze...
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Da sx in alto: americani della 92ª Divisione, alpini della Divisione «Monterosa», paracadutisti tedeschi e la frazione di Sommocolonia oggi. Garfagnana, 26 dicembre 1944
La battaglia della Garfagnana, nota come Operazione «Wintergewitter» (tempesta invernale) fu l’ultima controffensiva delle forze dell’Asse sul fronte italiano. Iniziò la notte tra Natale e Santo Stefano del 1944 per terminare tre giorni più tardi. L’obiettivo, pur presentando scarse se non nulle possibilità di raggiungerlo, era quello di arrestare l’avanzata alleata lungo il fronte della linea Gotica allora in stallo per l’inverno rallentando l’avanzata degli angloamericani che puntavano verso Bologna e la Pianura Padana. Il teatro delle operazioni fu la valle del Serchio nella Garfagnana, in provincia di Lucca, dove gli americani del 92° Infantry Regiment, i famosi «Buffalo Soldiers» a maggioranza afroamericana, si erano acquartierati nei giorni precedenti al Natale, ritenendo le ostilità in pausa. L’effetto sorpresa era proprio il punto cardine dell’operazione pianificata dal comando tedesco guidato dal generale Otto Fretter-Pico. Le forze dell’Asse consistevano sostanzialmente di reparti da montagna, i «Gebirgsjaeger» tedeschi e gli alpini italiani della Divisione «Monterosa», uno dei primi reparti addestrati in Germania dopo la nascita della Repubblica Sociale. L’attacco fu fissato per la mezzanotte, tra il 25 e il 26 dicembre e procedette speditamente. I reparti speciali tedeschi e gli alpini iniziarono una manovra di accerchiamento da Montebono per Bobbio, Tiglio e Pian di Coreglia, mentre un reparto leggero prendeva in poche ore Sommocolonia. Contemporaneamente tutti i reparti si muovono, compreso un nucleo del Battaglione «San Marco», che in poco tempo occupava Molazzana. Entro la sera di Santo Stefano la linea dei Buffalo Soldiers era sfondata, mentre i reparti americani arretravano in massa. I prigionieri erano circa 250, mentre numerose armi e munizioni venivano requisite. Anche vettovaglie e generi di conforto cadevano nelle mani degli attaccanti.
Gli americani praticamente non reagirono, ma si spostarono in massa verso la linea difensiva di Bagni di Lucca. Per un breve tempo sembrò (soprattutto agli italiani, mentre i tedeschi sembravano paghi della riuscita sorpresa) che il fronte potesse cedere fino in Versilia e verso Livorno. L’ordine di Fretter-Pico di arrestare l’avanzata fu una doccia fredda. Le ragioni dell'arresto risiedevano principalmente nella difficoltà di mantenere le posizioni, la scarsità ormai cronica di uomini e munizioni (c’era solo l’artiglieria, nessun carro armato e soprattutto nessun supporto dall’Aviazione, praticamente sparita dai cieli del Nord Italia). Gli americani invece avevano il dominio assoluto del cielo, con i cacciabombardieri che potevano decollare dai vicini aeroporti della Toscana occupata, come quelli di Grosseto e Rosignano. Tra il 27 e il 30 dicembre 1944 i P-47 Thunderbolt dell’Usaf bombardarono a tappeto, mietendo vittime soprattutto tra la popolazione civile. La linea difensiva dell’Asse ritornò nei giorni successivi alle posizioni di partenza, mentre il fronte si assestava fino all’inizio del febbraio 1945 quando gli alleati lanciarono l’operazione «Fourth Term», che portò in pochi giorni alla conquista della Garfagnana. Durante l’operazione «Wintergewitter» lo scontro più violento si verificò nell’abitato di Sommocolonia dove la guarnigione americana perse quasi tutti gli uomini, compreso il proprio comandante tenente John R. Fox che, vistosi ormai circondato dai tedeschi, chiese all’artiglieria della 92ª di sparare sull’abitato nel tentativo disperato di rallentare l’attacco a sorpresa. Morì sotto le macerie della sua postazione e solamente nel 1997 fu insignito della medaglia d’onore.
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Lee Raybon avrebbe ambizioni da detective. Non da investigatore tout court. Piuttosto, vorrebbe essere un reporter, di quelli capaci - forti solo delle proprie risorse - di portare a termine indagini e inchieste, di dar forma alle notizie prima ancora che queste vengano diffuse dalle autorità competenti.
L'ambizione, tuttavia, è rimasta tale, nel corso di un'esistenza che ha costretto Raybon a ripiegare su altro per il mero sostentamento. Si è reinventato libraio, Lee Raybon, gestendo di giorno un negozio di libri rari. La notte, però, ha continuato a seguire il cuore, dando spazio alle sue indagini scalcagnate. Qualcuna è riuscito a trasformarla in articolo di giornale, venendola alle pagine di cronaca locale di Tulsa, città che ospita il racconto. E sono i pezzi ritagliati, insieme ai libri ormai giallognoli, ad affollare l'apportamento di Raybon, che la moglie ha mollato su due piedi, quando ben ha realizzato che non ci sarebbe stato spazio per altro nella vita di quell'uomo. Raybon, dunque, è rimasto solo. Non solo come il crime, per lo più, ha raccontato i suoi detective. Non è, cioè, una solitudine disperata, quella di Raybon. Non c'è tristezza né emarginazione. C'è passione, invece: quella per un mestiere cui anche la figlia dell'uomo sembra guardare con grande interesse.
Francis, benché quattordicenne, ha sviluppato per il secondo mestiere del padre una curiosità quasi morbosa, in nome della quale ha cominciato a seguirlo in ogni dove, partecipando lei pure alle indagini. Cosa, questa, che si ostina a fare anche quando la situazione diventa insolitamente complicata. Lee Raybon ha messo nel mirino i Washberg, una tra le famiglie più potenti di Tulsa. Ma uno di loro, Dale, si è tolto la vita, quando l'articolo di Raybon sulle faccende losche della dinastia è stato pubblicato su carta. Perché, però? Quali segreti nascondo i Washberg? Le domande muovono la nuova indagine di Raybon, la sostanziano. E, attorno alla ricerca di risposte, si dipana The Lowdon, riuscendo a bilanciare l'irrequietezza del suo protagonista, il suo cinismo, con il racconto di una dinamica familiare di solito estranea al genere crime.
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