2018-10-28
Fare bene, l’anima dello stile italiano che nessuna crisi ci potrà rubare
La ricerca del buono e del bello è da sempre la vocazione del nostro Paese. E genera una creatività unica che fa tremare l'Europa francotedesca. Anche perché crea un modello contrario alla produzione globalizzata.Torna in grande spolvero l'Italia che fa e fa bene, che inventa, conquista mercati e simpatia con le sue intuizioni e con la sua libera creatività. Una vocazione già molto forte in epoca etrusca e romana, e che diventò irresistibile dal Rinascimento, quando ispirò in tutta Europa un'intera filosofia e modo di vita. Leonardo da Vinci, l'artista scienziato rinascimentale convinto che «il Selvadego è colui che si salva» (cui è dedicata questa rubrica), fu innanzitutto un formidabile artigiano, ed è uno dei maggiori ispiratori teorico pratici di questa storia di successi. Fu la lira d'argento a forma di teschio di cavallo da Leonardo stesso progettata, eseguita e consegnata a Ludovico il Moro come dono da parte di Lorenzo il Magnifico a conquistare l'ammirazione del signore di Milano e in seguito delle altre corti italiane e d'Europa. Oggi invece la creatività italiana inquieta l'Europa, o meglio la sua burocrazia, timorosa che la più espansiva politica economica adottata dall'Italia ne rafforzi la posizione di grande esportatrice di manufatti e prodotti alimentari e agricoli, già molto forte sui mercati internazionali. I suoi due grandi concorrenti europei, Francia e Germania, preferirebbero naturalmente comprarsi le aziende italiane più sofisticate a sconto, anche grazie alle pressioni della speculazione finanziaria, piuttosto che trovarsele come concorrenti sui mercati internazionali. Accadde così ad esempio alla Buitoni (e a molte altre), acquistata dalla Nestlé, che si sbarazzò in questo modo del concorrente, e trasferì poi in Ohio il suo centro di ricerca sulla pasta italiana. Di tutto ciò parla Lo stile italiano. Storia, economia e cultura del made in Italy, di Romano Benini (Donzelli), con ampia documentazione tratta da molte e diverse discipline: economia, storia, politica, cultura materiale. Anche il fatto che i giovani leader politici italiani non stiano più al gioco della paura e delle minacce dei grandi poteri accende speranze un po' ovunque (e corrispondenti timori). I giovani cominciano ora a intravedere dall'esempio italiano che forse si può uscire da un modello di sviluppo sbagliato, forse si può puntare non solo su prodotti e materiali scadenti ma su cose belle e buone, che diano piacere e soddisfazione a chi le produce e a chi le consuma, invece di stare tutti male, e alla fine guadagnare solo in pochissimi. Il fatto è che ciò che l'Italia produce non è solo una bizzarria di giovani politici inesperti e intemperanti, come ossessivamente ripetono i Soloni dei giornaloni, o un'antica vocazione all'anarchia. No, si tratta proprio di uno «stile» nel suo senso più elevato, di un altro modo di vita rispetto alla società dei consumi standardizzati di massa. Un modo che dalle nostre parti è di casa da sempre, e coniuga la ricerca del benessere e del piacere di «fare bene» con la conoscenza di sé e del proprio stile, senza la quale non c'è benessere. Un modello di sviluppo già iniziato dagli Etruschi, che inventarono (con realizzazioni bellissime) due oggetti come lo specchio e la maschera. Apparentemente ispirati a una vanità assoluta, e come tali riproposti per millenni. Ma contemporaneamente oggetto di profonde teorizzazioni filosofiche e spirituali: lo specchio in quanto specchio dell'anima (cui si riferisce ad esempio Socrate) e la maschera in quanto strumento da una parte di nascondimento, ma dall'altra di espressione e ricerca di sé. Naturalmente tutto questo, così come l'intero artigianato italiano, dall'orafo Benvenuto Cellini a Marinella, il napoletano re delle cravatte nel mondo, ispira un modello di sviluppo opposto e contrario a quello della produzione di massa e senza qualità della società globalizzata, sulla quale è organizzata la gran parte della società dei consumi. Un modello diverso, che proprio per questo paga anche dal punto di vista economico, e quindi sociale. È proprio la ricerca del bello e buono infatti, e la determinazione a eseguirlo bene, ad aver consentito all'Italia non solo di sopravvivere alla pesante e lunghissima crisi durata dal 2007 all'altro ieri, ma anche di crescervi dentro, guadagnandovi importanti posizioni sia in termini economici che di qualità della vita, e compensando almeno in parte le perdite della gestione politica, che proseguiva testardamente sulle produzioni di massa, a creatività zero, utili bassi e inquinamenti elevati. Il fatto è che, come scriveva il filosofo francese Gaston Bachelard, l'uomo è fatto per il desiderio, non per il consumo.La tradizione del «fare bene» caratteristica dello stile italiano, ha potuto adottare con nuova creatività il modello dei «distretti» produttivi di piccole e medie industrie, dando un nuovo senso alle antiche vocazioni territoriali e alle loro straordinarie potenzialità. La loro produzione ha così recuperato abbondantemente i livelli pre crisi, scavalcano brillantemente i rischi inevitabili nelle «economie della quantità» in cui l'Italia era stata gettata dalle politiche arcaiche, ispirate dai grandi partiti di massa al potere fino a pochi mesi fa. L'autore documenta attentamente quanto abbia danneggiato l'Italia chi aveva puntato sulla quantità senza qualità. «Questa Italia perdente», nota ancora Benini, «è però ancora in campo: prova in tutti i modi a continuare a creare problemi agli italiani appellandosi all'assistenza della politica e alla ricerca del privilegio delle rendite, degli incentivi e dei favori».Altro grande disastro era certo stata la svalutazione e perdita di identità delle scuole professionali e la politica fiscale ostile alla fortissima tradizione delle botteghe artigiane, osteggiate per ragioni di potere dai sindacati e dai partiti di massa di cui erano espressione. Ciò ha infatti prodotto una grande disoccupazione fra i giovani privi di formazione professionale di qualità e d'altra parte non interessati a percorsi universitari. I né-né, giovani che non studiano nè lavorano, un quarto circa dei giovani fra i 15 e i 35 anni, sono stati prodotti da questo disprezzo verso il lavoro manuale, da sempre privo di senso, ma tuttora alimentato dalle burocrazie della vecchia politica. Il danno provocato va oltre l'economia e ha messo a rischio saperi profondi, e l'equilibrio, anche territoriale, delle generazioni che vi sono state coinvolte. «Artigianalità», spiega infatti Benini, «è la connessione tra il cuore e la mente di un luogo, il metodo con cui si esprime il sapere e il sapore di un territorio, quella unicità che va sostenuta e promossa perché non è trasferibile altrove, ed è un patrimonio per tutti». A valutazioni simili arriva d'altra parte anche tutto l'attualissimo campo di ricerca esposto da Luca Ciabarri nella recente raccolta di saggi Cultura materiale (Raffaello Cortina editore).Un rischio ancora attuale, provocato proprio dal successo dello stile italiano, è quello della sua falsificazione. Per ogni prodotto italiano venduto nel mondo come italiano ce n'è un altro che finge di esserlo, ma non lo è, come il Parmesan che non è né italiano e tanto meno parmigiano; e negli Usa si scoprì che veniva addizionato con trucioli di legno ricchi di cellulosa e pessimi per la salute. Più aumenta il successo del made in Italy, più aumentano anche i falsi. Ma è solo la conferma del successo. Il valore dello stile italiano è la scoperta che si può vivere in un altro modo. Non in «non luoghi» completamente artificiali, privi di vita e storia propria, ma in territori carichi di energie creative consolidate nei secoli, con uno stile di vita attento al piacere (il gaudium, godimento, così importante anche nel racconto dei Vangeli, come ricorda Benini), alla bellezza e alla convivialità, lontano dalla brutta cupezza delle ossessioni consumistiche. In un'attenzione al bello e al buono che impregna gli oggetti e chi li fa e li acquista, ma spinge anche tutti a guardare e a salire molto più in alto.
Foto @Elena Oricelli
Dal 6 dicembre il viaggio della Fiamma Olimpica di Milano Cortina 2026 toccherà 60 città italiane tra concerti, sportivi e iniziative sociali, coinvolgendo le comunità in vista dei Giochi.
Coca-Cola, partner del viaggio della Fiamma Olimpica di Milano Cortina 2026, ha presentato le iniziative che accompagneranno il percorso della torcia attraverso l’Italia, un itinerario di 63 giorni che partirà il 6 dicembre e toccherà 60 città. L’obiettivo dichiarato è trasformare l’attesa dei Giochi in un momento di partecipazione diffusa, con eventi e attività pensati per coinvolgere le comunità locali.
Le celebrazioni si apriranno il 5 dicembre a Roma, allo Stadio dei Marmi, con un concerto gratuito intitolato The Coca-Cola Music Fest – Il viaggio della Fiamma Olimpica. Sul palco si alterneranno Mahmood, Noemi, The Kolors, Tananai e Carl Brave. L’evento, secondo l’azienda, vuole rappresentare un omaggio collettivo all’avvio del percorso che porterà la Fiamma Olimpica in tutta Italia. «Il viaggio della Fiamma unisce storie, territori e persone, trasformando l’attesa dei Giochi in un’esperienza che appartiene a tutti», ha dichiarato Luca Santandrea, general manager olympic and paralympic Winter Games Milano Cortina 2026 di Coca-Cola.
Come in altre edizioni, Coca-Cola affiancherà il percorso selezionando alcuni tedofori. Tra i nomi annunciati compaiono artisti come Noemi, Mahmood e Stash dei The Kolors, volti dell’intrattenimento come Benedetta Parodi e The Jackal, e diversi atleti: Simone Barlaam, Myriam Sylla, Deborah Compagnoni, Ivan Zaytsev, Mara Navarria e Ciro Ferrara. La lista include anche associazioni attive nel sociale – dalla Croce Rossa al Banco Alimentare, passando per l’Unione italiana dei ciechi e ipovedenti – a cui viene attribuito il compito di rappresentare l’impegno civile legato allo spirito olimpico.
Elemento ricorrente di ogni tappa sarà il truck Coca-Cola, un mezzo ispirato alle auto italiane vintage e dotato di schermi led e installazioni luminose. Il convoglio, accompagnato da dj e animatori, aprirà l’arrivo della torcia nelle varie città. Accanto al truck verrà allestito il Coca-Cola Village, spazio dedicato a musica, cibo e attività sportive, compresi percorsi interattivi realizzati sotto il marchio Powerade. L’azienda sottolinea anche l’attenzione alla sostenibilità: durante il tour saranno distribuite mini-lattine in alluminio e, grazie alla collaborazione con CiAl, sarà organizzata la raccolta dei contenitori nelle aree di festa. Nelle City Celebration sarà inoltre possibile sostenere il Banco Alimentare attraverso donazioni.
Secondo un sondaggio SWG citato dall’azienda, due italiani su tre percepiscono il Viaggio della Fiamma Olimpica come un’occasione per rafforzare i legami tra le comunità locali. Coca-Cola richiama inoltre la propria lunga presenza nel Paese, risalente al 1927, quando la prima bottiglia fu imbottigliata a Roma. «Sarà un viaggio che attraverserà territori e tradizioni, un ponte tra sport e comunità», ha affermato Maria Laura Iascone, Ceremonies Director di Milano Cortina 2026.
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Nicola Fratoianni, Elly Schlein e Angelo Bonelli (Ansa)