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2018-08-31
Falsario l’ex nunzio? Ma lui non è il primo a fare certi nomi
Ansa
«Giudicate voi». Si potrebbe cominciare dall'unica frase dedicata da papa Francesco alle accuse di Carlo Maria Viganò per andare oltre il «silenzio e preghiera» dietro al quale da tradizione millenaria i preti si nascondono quando non intendono spiegare. Giudicate voi se l'ex nunzio apostolico a Washington ha detto il vero o il falso. E potrete farlo confutando le sue parole, i nomi degli alti prelati chiamati in causa, attraverso ciò che di quelle accuse esiste da anni negli archivi. Perché, mentre gli indignados della sala stampa vaticana (la press gang Bergoglio) si limitano ad alzare i ponti levatoi in imbarazzanti difese d'ufficio, si scopre che certe sollecitazioni e certe pigre assoluzioni erano state segnalate molto prima di Viganò, e nell'indifferenza generale.
L'operazione trasparenza trae spunto da un lavoro certosino effettuato da un affezionato lettore di Stilum Curiae, il sito del vaticanista Marco Tosatti che ha aiutato il monsignore a vergare le 11 pagine contro papa Francesco. Il primo nome chiamato in causa è quello del cardinale Angelo Sodano, già Segretario di Stato. È una novità il suo coinvolgimento nel dossier? Tutt'altro, visto che uno dei vaticanisti più raffinati e informati, Sandro Magister, nel 2006 scriveva sull'Espresso: «Via Sodano, cadrebbe anche un ostacolo a una decisione circa la sorte del potente fondatore dei Legionari di Cristo, padre Marcial Maciel, al quale Sodano è legatissimo. Sulle accuse a Maciel -abusi sessuali su suoi seminaristi e violazione del sacramento della confessione - la Congregazione per la dottrina della fede ha ultimato un'accuratissima preindagine. Lo scorso Venerdì santo, poco prima d'essere eletto papa, Ratzinger aveva indicato nella sporcizia uno dei mali da cui ripulire la Chiesa». Sempre riguardo alle malefatte del pedofilo seriale Maciel (peraltro molto vicino al cardinal Stanislav Dziwisz), a inizio 2017 Il Messaggero raccontò che le denunce del nunzio apostolico in Messico, Justo Mullor Garcia, a Sodano non ebbero molta fortuna. Una sua lettera si rivelò un boomerang; ad essere sollevato dall'incarico e accantonato fu lui. Erano in molti a sapere di lobby gay e pedofilia, pure in tempi non sospetti. Non solo Viganò.
Il secondo nome circondato da un'aura di negatività è quello di Tarcisio Bertone, del quale Viganò sottolinea la facilità nel promuovere tonache omosessuali. Scandalo a orologeria? Peccato che nel libro Lussuria (editore Feltrinelli) Emiliano Fittipaldi abbia scritto: «Le più alte cariche della Santa Sede, tra cui per esempio il cardinal Bertone, hanno bloccato o insabbiato numerosi processi ritenendo più appropriato un salutare ammonimento per i preti pedofili».
Nel best seller si legge che il cardinal Oscar Maradiaga avrebbe «addirittura ospitato un pedofilo latitante». La vicenda, oscura e dai contorni non definiti, tornerà prepotentemente alla ribalta dopo le dimissioni di monsignor Juan José Pineda, numero due di Maradiaga a Tegucigalpa, per «comportamenti inappropriati». Oltretevere si dice così. Ne scrisse anche Vatican Insider, il blog vaticano della Stampa che oggi, pur di difendere le amnesie di Bergoglio, prepara il rogo per Viganò.
Un altro nome che scotta, perché vicino in termini di centimetri alla sacra veste del Papa, è quello del cardinale Francesco Coccopalmerio. Indignazione nei sacri palazzi, ma il 5 luglio 2017 Il Fatto Quotidiano titolava: «Vaticano, festino gay con droga per il segretario del cardinale Coccopalmerio. Nuova grana per papa Francesco». Il segretario era monsignor Luigi Capozzi ed era stato segnalato da Coccopalmerio per la promozione a vescovo; l'accusa era d'aver organizzato orge gay a base di droga e alcool. I gendarmi, chiamati dalle proteste dei vicini, si trovarono davanti a «uno scenario sconvolgente».
Nel cuore del dossier, Viganò dedica numerose frasi alla vicenda del già cardinale Theodore McCarrick, omosessuale e reo confesso di abusi, costretto a rinunciare a tutto sempre troppo tardi. In molti sapevano, ben prima del j'accuse che mette in imbarazzo il pontefice, e molti scrissero. Negli Stati Uniti c'è un'intera pubblicistica. E il 2 agosto scorso sempre Sandro Magister, nel suo blog Settimo cielo, ha raccontato la miracolosa carriera di un ecclesiastico protetto da McCarrick, Kevin Farrell, nominato cardinale proprio da papa Francesco. Il Santo Padre era stato molto generoso anche con altri tre pupilli dell'orco destituito e mandato in quiescenza fuori tempo massimo: Donald Wuerl, Blase Cupich, Joseph William Tobin, molto probabilmente per essere asceso al soglio di Pietro anche con i voti raccolti dal potente e corrotto arcivescovo di Washington.
Così Viganò è sulla graticola per avere messo insieme un puzzle composto da tasselli antichi. Per avere unito puntini che tutti conoscevano. Ma completando il gioco della Settimana enigmistica è risaltato in tutta la sua chiarezza il volto misterioso, ed è quello di papa Francesco, che pure ritiene di doversi trincerare dietro il passepartout «silenzio e preghiera». Erano tutti suoi figli. Giudicate voi.
Il Vaticano non cambia linea. Parolin: «Giudicate voi»
Il Papa è «sereno», ma di fronte alla testimonianza resa da monsignor Carlo Maria Viganò, in Vaticano ci sono anche «amarezza» e «inquietudine». Lo ha detto ieri il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, in un'intervista concessa al portale Vatican Insider de La Stampa. Il cardinale, anche lui citato nel memoriale dell'ex nunzio negli Stati Uniti, non entra nel merito delle accuse presenti nel testo e, come il Papa, dice «leggetelo voi e fatevi un vostro giudizio. Il testo parla da sé».
Una risposta che sta sollevando un fiume d'inchiostro e anche molta confusione, ovviamente. La strada del dimostrare la falsità o la veridicità delle affermazioni di Viganò è stata abbandonata e queste sono le conseguenze. A parte le fantasiose ricostruzioni messe in circolazione, alcune delle quali teorizzano addirittura presunti complotti internazionali a base di dollari e oscuri figuri, si segnala un dato chiaro che arriva dagli Stati Uniti: i vescovi americani in gran parte chiedono di prendere sul serio quanto affermato da Viganò e di indagare.
Alle voci che abbiamo già segnalato sulla Verità nei giorni scorsi si aggiunge quella dell'arcivescovo di San Francisco, monsignor Salvatore Cordileone, che in un comunicato lascia pochi dubbi sul suo punto di vista. Oltre a ribadire la propria stima e la fiducia nella credibilità dell'ex nunzio apostolico, Cordileone dice che «pur non avendo informazioni privilegiate sulla situazione dell'arcivescovo McCarrick, dalle informazioni che ho su pochissime altre dichiarazioni rilasciate dall'arcivescovo Viganò, posso confermare che sono vere». Insomma, qualcosa di vero tra le affermazioni di Viganò c'è e qualcuno è disposto a testimoniarlo. Sarebbe già sufficiente per uscire dal silenzio e affrontare la situazione per fare pulizia.
Le dichiarazioni dell'ex diplomatico vaticano «devono essere prese sul serio», prosegue Cordileone. «Naturalmente, per convalidare le sue dichiarazioni in dettaglio, dovrà essere condotta un'indagine formale, che sia completa e obiettiva. Sono pertanto grato al cardinale DiNardo (Daniel, presidente della Conferenza episcopale Usa, ndr) per aver riconosciuto il valore della ricerca di risposte “conclusive e basate su prove"». Di là dall'Oceano quindi c'è chi non vuole continuare a far interpretare ai giornalisti un testo che, fosse anche spurio, merita di essere indagato alla luce del sole, per evitare di continuare ad alimentare sospetti e inquietudine.
Il testo forse parla da sé, come ha ribadito Parolin, ma non si capisce perché non sia possibile smentirlo nel dettaglio e in modo formale. Lo stesso Segretario di Stato potrebbe smentire le cose che lo riguardano, oppure potrebbe farlo il prefetto della congregazione per i vescovi, il cardinale Marc Ouellet, il quale dicendo che non esisteva nessun dossier sull'ex cardinale McCarrick risolverebbe buona parte della situazione. Peraltro, monsignor Georg Gänswein, prefetto della Casa pontificia e segretario personale di Benedetto XVI, ha detto al Die Tagespost che il Papa emerito «non ha fatto commenti sul “memorandum" dell'arcivescovo Viganò e non ne farà». Se in Vaticano domina il silenzio, negli Stati Uniti c'è però una richiesta di chiarezza che potrebbe mettere in seria difficoltà anche la Santa Sede, la quale potrebbe essere costretta dagli eventi a compiere un'indagine.
Se nella Chiesa americana voleranno gli stracci, tanto per essere chiari, è ben difficile che il Vaticano possa restare alla finestra dicendo semplicemente «leggetelo voi e fatevi un vostro giudizio». Il testo di Viganò, infatti, per quanto avvincente non è un fanta thriller, anche perché dietro c'è la sofferenza di tante persone e il futuro della Chiesa, la cui missione resta pur sempre quella della salus animarum.
Lorenzo Bertocchi
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Angelo Sodano, Tarcisio Bertone, Oscar Maradiaga… Decine di cronache e inchieste avevano già gettato ombre sulle loro protezioni e disinvolture.Come il Papa, anche il Segretario di Stato rifiuta di rispondere nel merito alle accuse. Ma i vescovi Usa invocano «indagini formali».Lo speciale contiene due articoli«Giudicate voi». Si potrebbe cominciare dall'unica frase dedicata da papa Francesco alle accuse di Carlo Maria Viganò per andare oltre il «silenzio e preghiera» dietro al quale da tradizione millenaria i preti si nascondono quando non intendono spiegare. Giudicate voi se l'ex nunzio apostolico a Washington ha detto il vero o il falso. E potrete farlo confutando le sue parole, i nomi degli alti prelati chiamati in causa, attraverso ciò che di quelle accuse esiste da anni negli archivi. Perché, mentre gli indignados della sala stampa vaticana (la press gang Bergoglio) si limitano ad alzare i ponti levatoi in imbarazzanti difese d'ufficio, si scopre che certe sollecitazioni e certe pigre assoluzioni erano state segnalate molto prima di Viganò, e nell'indifferenza generale.L'operazione trasparenza trae spunto da un lavoro certosino effettuato da un affezionato lettore di Stilum Curiae, il sito del vaticanista Marco Tosatti che ha aiutato il monsignore a vergare le 11 pagine contro papa Francesco. Il primo nome chiamato in causa è quello del cardinale Angelo Sodano, già Segretario di Stato. È una novità il suo coinvolgimento nel dossier? Tutt'altro, visto che uno dei vaticanisti più raffinati e informati, Sandro Magister, nel 2006 scriveva sull'Espresso: «Via Sodano, cadrebbe anche un ostacolo a una decisione circa la sorte del potente fondatore dei Legionari di Cristo, padre Marcial Maciel, al quale Sodano è legatissimo. Sulle accuse a Maciel -abusi sessuali su suoi seminaristi e violazione del sacramento della confessione - la Congregazione per la dottrina della fede ha ultimato un'accuratissima preindagine. Lo scorso Venerdì santo, poco prima d'essere eletto papa, Ratzinger aveva indicato nella sporcizia uno dei mali da cui ripulire la Chiesa». Sempre riguardo alle malefatte del pedofilo seriale Maciel (peraltro molto vicino al cardinal Stanislav Dziwisz), a inizio 2017 Il Messaggero raccontò che le denunce del nunzio apostolico in Messico, Justo Mullor Garcia, a Sodano non ebbero molta fortuna. Una sua lettera si rivelò un boomerang; ad essere sollevato dall'incarico e accantonato fu lui. Erano in molti a sapere di lobby gay e pedofilia, pure in tempi non sospetti. Non solo Viganò.Il secondo nome circondato da un'aura di negatività è quello di Tarcisio Bertone, del quale Viganò sottolinea la facilità nel promuovere tonache omosessuali. Scandalo a orologeria? Peccato che nel libro Lussuria (editore Feltrinelli) Emiliano Fittipaldi abbia scritto: «Le più alte cariche della Santa Sede, tra cui per esempio il cardinal Bertone, hanno bloccato o insabbiato numerosi processi ritenendo più appropriato un salutare ammonimento per i preti pedofili». Nel best seller si legge che il cardinal Oscar Maradiaga avrebbe «addirittura ospitato un pedofilo latitante». La vicenda, oscura e dai contorni non definiti, tornerà prepotentemente alla ribalta dopo le dimissioni di monsignor Juan José Pineda, numero due di Maradiaga a Tegucigalpa, per «comportamenti inappropriati». Oltretevere si dice così. Ne scrisse anche Vatican Insider, il blog vaticano della Stampa che oggi, pur di difendere le amnesie di Bergoglio, prepara il rogo per Viganò.Un altro nome che scotta, perché vicino in termini di centimetri alla sacra veste del Papa, è quello del cardinale Francesco Coccopalmerio. Indignazione nei sacri palazzi, ma il 5 luglio 2017 Il Fatto Quotidiano titolava: «Vaticano, festino gay con droga per il segretario del cardinale Coccopalmerio. Nuova grana per papa Francesco». Il segretario era monsignor Luigi Capozzi ed era stato segnalato da Coccopalmerio per la promozione a vescovo; l'accusa era d'aver organizzato orge gay a base di droga e alcool. I gendarmi, chiamati dalle proteste dei vicini, si trovarono davanti a «uno scenario sconvolgente».Nel cuore del dossier, Viganò dedica numerose frasi alla vicenda del già cardinale Theodore McCarrick, omosessuale e reo confesso di abusi, costretto a rinunciare a tutto sempre troppo tardi. In molti sapevano, ben prima del j'accuse che mette in imbarazzo il pontefice, e molti scrissero. Negli Stati Uniti c'è un'intera pubblicistica. E il 2 agosto scorso sempre Sandro Magister, nel suo blog Settimo cielo, ha raccontato la miracolosa carriera di un ecclesiastico protetto da McCarrick, Kevin Farrell, nominato cardinale proprio da papa Francesco. Il Santo Padre era stato molto generoso anche con altri tre pupilli dell'orco destituito e mandato in quiescenza fuori tempo massimo: Donald Wuerl, Blase Cupich, Joseph William Tobin, molto probabilmente per essere asceso al soglio di Pietro anche con i voti raccolti dal potente e corrotto arcivescovo di Washington. Così Viganò è sulla graticola per avere messo insieme un puzzle composto da tasselli antichi. Per avere unito puntini che tutti conoscevano. Ma completando il gioco della Settimana enigmistica è risaltato in tutta la sua chiarezza il volto misterioso, ed è quello di papa Francesco, che pure ritiene di doversi trincerare dietro il passepartout «silenzio e preghiera». Erano tutti suoi figli. Giudicate voi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/falsario-lex-nunzio-ma-lui-non-e-il-primo-a-fare-certi-nomi-2600497518.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-vaticano-non-cambia-linea-parolin-giudicate-voi" data-post-id="2600497518" data-published-at="1765789207" data-use-pagination="False"> Il Vaticano non cambia linea. Parolin: «Giudicate voi» Il Papa è «sereno», ma di fronte alla testimonianza resa da monsignor Carlo Maria Viganò, in Vaticano ci sono anche «amarezza» e «inquietudine». Lo ha detto ieri il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, in un'intervista concessa al portale Vatican Insider de La Stampa. Il cardinale, anche lui citato nel memoriale dell'ex nunzio negli Stati Uniti, non entra nel merito delle accuse presenti nel testo e, come il Papa, dice «leggetelo voi e fatevi un vostro giudizio. Il testo parla da sé». Una risposta che sta sollevando un fiume d'inchiostro e anche molta confusione, ovviamente. La strada del dimostrare la falsità o la veridicità delle affermazioni di Viganò è stata abbandonata e queste sono le conseguenze. A parte le fantasiose ricostruzioni messe in circolazione, alcune delle quali teorizzano addirittura presunti complotti internazionali a base di dollari e oscuri figuri, si segnala un dato chiaro che arriva dagli Stati Uniti: i vescovi americani in gran parte chiedono di prendere sul serio quanto affermato da Viganò e di indagare. Alle voci che abbiamo già segnalato sulla Verità nei giorni scorsi si aggiunge quella dell'arcivescovo di San Francisco, monsignor Salvatore Cordileone, che in un comunicato lascia pochi dubbi sul suo punto di vista. Oltre a ribadire la propria stima e la fiducia nella credibilità dell'ex nunzio apostolico, Cordileone dice che «pur non avendo informazioni privilegiate sulla situazione dell'arcivescovo McCarrick, dalle informazioni che ho su pochissime altre dichiarazioni rilasciate dall'arcivescovo Viganò, posso confermare che sono vere». Insomma, qualcosa di vero tra le affermazioni di Viganò c'è e qualcuno è disposto a testimoniarlo. Sarebbe già sufficiente per uscire dal silenzio e affrontare la situazione per fare pulizia. Le dichiarazioni dell'ex diplomatico vaticano «devono essere prese sul serio», prosegue Cordileone. «Naturalmente, per convalidare le sue dichiarazioni in dettaglio, dovrà essere condotta un'indagine formale, che sia completa e obiettiva. Sono pertanto grato al cardinale DiNardo (Daniel, presidente della Conferenza episcopale Usa, ndr) per aver riconosciuto il valore della ricerca di risposte “conclusive e basate su prove"». Di là dall'Oceano quindi c'è chi non vuole continuare a far interpretare ai giornalisti un testo che, fosse anche spurio, merita di essere indagato alla luce del sole, per evitare di continuare ad alimentare sospetti e inquietudine. Il testo forse parla da sé, come ha ribadito Parolin, ma non si capisce perché non sia possibile smentirlo nel dettaglio e in modo formale. Lo stesso Segretario di Stato potrebbe smentire le cose che lo riguardano, oppure potrebbe farlo il prefetto della congregazione per i vescovi, il cardinale Marc Ouellet, il quale dicendo che non esisteva nessun dossier sull'ex cardinale McCarrick risolverebbe buona parte della situazione. Peraltro, monsignor Georg Gänswein, prefetto della Casa pontificia e segretario personale di Benedetto XVI, ha detto al Die Tagespost che il Papa emerito «non ha fatto commenti sul “memorandum" dell'arcivescovo Viganò e non ne farà». Se in Vaticano domina il silenzio, negli Stati Uniti c'è però una richiesta di chiarezza che potrebbe mettere in seria difficoltà anche la Santa Sede, la quale potrebbe essere costretta dagli eventi a compiere un'indagine. Se nella Chiesa americana voleranno gli stracci, tanto per essere chiari, è ben difficile che il Vaticano possa restare alla finestra dicendo semplicemente «leggetelo voi e fatevi un vostro giudizio». Il testo di Viganò, infatti, per quanto avvincente non è un fanta thriller, anche perché dietro c'è la sofferenza di tante persone e il futuro della Chiesa, la cui missione resta pur sempre quella della salus animarum. Lorenzo Bertocchi
Elly Schlein e Stefano Bonaccini (Ansa)
L’assemblea dem non incorona Schlein come candidata premier Gori si fa portavoce dei riformisti: «Il Green deal va ripensato».
Suggerimento, gratis, per i talk televisivi: si sottopongano Elly Schlein e i dirigenti del Pd, tipo l’economista Francesco Boccia, al test della michetta. Ieri la segretaria che sperava di cambiare lo statuto – tentativo fallito – per farsi incoronare candidata unica alla presidenza del Consiglio e che sta tentando di rinviare il congresso (cade a marzo 2027 e se per caso lo perdesse non riuscirebbe neppure ad avvicinarsi a Palazzo Chigi), se n’è uscita con una battuta alimentare: «Meloni festeggia l’Unesco, ma il frigo degli italiani è sempre più vuoto, la sua calcolatrice è rotta: vada nei supermercati e guardi quanto sono aumentati i prezzi». Chissà se Elly Schlein sa quanto costa il pane al chilo e un etto di mandorle. Lei è vegetariana e chiederle del prosciutto sarebbe indelicato.
L’assemblea del Pd, convocata ieri a Roma in concomitanza con Atreju per non lasciare troppo spazio a Giorgia Meloni, ha ricordato, se ancora ce ne fosse bisogno, che per i dem vale tutto. Ma soprattutto ha lasciato in sospeso le polemiche interne: congelate perché si doveva tentare di offuscare la comunicazione Fdi. La Schlein ha evitato qualsiasi voto e qualsiasi argomento divisivo. Ha fatto un po’ di propaganda e nulla più. Così vale che Stefano Bonaccini, dopo averne dette di ogni contro la segretaria annunci che la sua corrente Energia popolare rientra in maggioranza e porti solidarietà ai giornalisti del gruppo Gedi così come l’hanno data alle vittime ebree di Bondi Beach. A Repubblica e alla Stampa al massimo cambiano padrone, in Australia gli amici di Hamas, non così distanti dai pro Pal e da Francesca Albanese a cui i sindaci Pd consegnano le chiavi delle città, hanno ammazzato. Ma è brutto dirlo nel giorno in cui Elly Schlein s’ingegna a sfidare Giorgia Meloni su tutto. «Anche tanti di coloro che hanno votato per questa destra capiscono che non ha fatto nulla per la crescita; Arianna Meloni ci ha detto che loro priorità sono il premierato e la legge elettorale perché hanno paura di perdere». La Schlein si sente già al governo e annuncia: «Metteremo 3 miliardi in più sulla sanità, faremo il salario minimo a 9 euro, abbatteremo il prezzo dell’energia scollegandolo da quello del gas». Il fatto è che per battere «queste destre che delegittimano l’Onu, il diritto internazionale e facendo i vassalli non difendono l’interesse nazionale» ci vogliono i voti. Elly Schlein azzarda: «I voti assoluti della nostra coalizione e di quella del governo sono sostanzialmente pari ma siamo il primo partito con i voti reali, non nei sondaggi, nei voti veri». A essersi rotta deve essere la sua calcolatrice, non quella della Meloni.
Comunque la prospettiva – anche se Giuseppe Conte proprio da Atreju le ha fatto sapere che i 5 stelle non sono alleati col Pd – è «confrontiamoci anche aspramente, ma costruiamo l’alternativa: è tempo che l’Italia ricominci a sognare e a sperare». Così da gennaio lei parte per un tour programmatico. Doveva andare in giro a parlare del Pd, ma meglio dare addosso alla Meoni che fare i conti con i suoi. Che ieri hanno disertato la direzione nazionale che ha solo votato la relazione della segretaria (225 voti a favore e 36 astenuti) per evitare di palesare le fratture che invece ci sono. L’ala dura dei riformisti ha scelto di rinviare il confronto salvo Giorgio Gori, eurodeputato ex sindaco di Bergamo che all’assemblea ha scandito: «Il Pd ha perso la fiducia, sia della maggioranza degli operai, ma anche degli imprenditori. La sinistra è considerata lontana dal mondo dell’impresa. Serve il riformismo concreto e coraggioso di cui parla Prodi. Il Green deal fatica a tenere insieme obiettivi ambientali e tutele sociali, dobbiamo avere il coraggio di dirlo e promuovere un nuovo e diverso Green deal», ha concluso Gori, «proporre un patto fra istituzioni, imprese e lavoro. La destra porta il Paese al declino, il Pd può presentarsi e vincere le elezioni come partito della crescita e della redistribuzione». La Schlein per ora si occupa dei supermercati, la grande distribuzione.
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Meloni ha poi lanciato un altro attacco all’opposizione a proposito di Abu Mazen, presidente della Palestina: «La sua bella presenza qui ad Atreju fa giustizia delle accuse vergognose di complicità in genocidio che una sinistra imbarazzante ci ha rivolto per mesi». E ancora contro la sinistra: «La buona notizia è che ogni volta che loro parlano male di qualcosa va benissimo. Cioè parlano male di Atreju ed è l’edizione migliore di sempre, parlano male del governo, il governo sale nei sondaggi, hanno tentato di boicottare una casa editrice, è diventata famosissima. Cioè si portano da soli una sfiga che manco quando capita la carta della Pagoda al Mercante in fiera, visto che siamo in clima natalizio. E allora grazie a tutti quelli che hanno fatto le macumbe». L’altra stilettata ironica a proposito del premio dell’Unesco che riconosce la cucina italiana come bene immateriale dell’umanità: «A sinistra non è andato bene manco questo. Loro non sono riusciti a gioire per un riconoscimento che non è al governo ma alle nostre mamme e nonne, alle nostre filiere, alla nostra tradizione, alla nostra identità. Hanno rosicato così tanto che è una settimana che mangiano tutti dal kebabbaro. Veramente roba da matti». Ricordando l’unità della coalizione, Meloni ha sottolineato che questa destra «non è un incidente della storia» rivendicando le iniziative adottate in tre anni di esecutivo. Il premier ha poi toccato i temi di attualità e a proposito dell’equità fiscale rivendicata dall’opposizione ha scandito: «Non accettiamo lezioni da chi fa il comunista con il ceto medio e il turbo capitalista a favore dei potenti. Oggi il Pd si indigna perché gli Elkann vogliono vendere il gruppo Gedi e non ci sarebbero garanzie per i lavoratori però quando chiudevano gli stabilimenti di Stellantis ed erano gli operai a perdere il posto di lavoro, tutti muti. Anche Landini sul tema fischiettava». Non sono mancati i riferimenti ai temi caldi del centrodestra: immigrazione, riforma della giustizia, guerra in Ucraina ed Ue con il disimpegno di Trump e il Green Deal.
Sul palco anche i due vicepremier. «La mia non vuole essere solo una presenza formale, ma una presenza per riconfermare un impegno che tutti noi abbiamo preso nel 1994» ha detto il leader di Fi Antonio Tajani. «Ma gli accordi di alleanze fatte soprattutto di lealtà e impegno, devono essere rinnovati ogni giorno. La ragione di esistere di questa coalizione è fare l’interesse di ciascuno dei 60 milioni di cittadini italiani. E lo possiamo fare garantendo, grazie all’unità di questa coalizione, stabilità politica a questo Paese». Per il leader leghista Matteo Salvini “c’è innanzitutto l’orgoglio di esserci dopo tanti anni. Ci provano in tutti i modi a far litigare me e Giorgia. Ma amici giornalisti, mettetevi l’anima in pace: non ci riuscirete mai». Poi il ministro dei Trasporti ha assicurato che farà «di tutto» per avviare i lavori per il Ponte sullo Stretto, ha rilanciato sull’innalzamento del tetto del contante e sull’impegno anti maranza e infine ricordato come il governo stia facendo un buon lavoro nella tassazione delle banche.
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C'è un'invenzione che si deve agli aviatori, anzi, a un minuto personaggio brasiliano stanco di dover cercare l'orologio nel suo taschino mentre pilotava l'aeroplano.