
Arriva in Italia il libro del francese Jean Birnbaum. Un atto di accusa verso la gauche che, resa ottusa dai pregiudizi e dal buonismo, si è nei fatti piegata all'avanzata musulmana. Un'analisi coraggiosa e innovativa: dimostra che il conformismo si può sconfiggere.Nessuno, in Europa, ha avuto il fegato di agire come Jean Birnbaum. Questo signore, classe 1974, è un giornalista francese. Ma non uno qualsiasi. Scrive per Le Monde e fino al 2016 ha diretto Le Monde des livres, il supplemento culturale del giornale progressista. Insomma, è un uomo di sinistra, un membro di spicco della gauche intellettuale, un esponente a 24 carati dell'intellighenzia. Eppure, nel 2016 ha pubblicato un libro perfino feroce, intitolato Un silence religieux. La gauche face au djihadisme (Seuil), che ora è stato portato in Italia da Leg con il titolo Musulmani di tutto il mondo unitevi! La sinistra di fronte all'islam. Quando il libro è uscito Oltralpe ha suscitato un putiferio e ha scatenato polemiche il cui eco è giunto in tutto il mondo. Del resto, il testo di Birnbaum è veramente qualcosa di inaudito. Provate a pensare se una firma di spicco di Repubblica pubblicasse un libro per dire: in tutti questi anni ci siamo sbagliati, non abbiamo capito niente del jihadismo, lo abbiamo sottovalutato, i nostri paraocchi ci hanno impedito di vedere la vera natura dell'islam che stava penetrando in Europa. Ovviamente, in Italia non vedremo mai niente del genere. Già è indicativo il fatto che il saggio di Birnbaum sia stato tradotto da un editore piccolo (ma molto coraggioso e ben attrezzato) invece che da uno di quei colossi editoriali che pubblicano ogni genere di amenità, specie se a firmarla è un intellettuale con i galloni. Che cosa dice, in buona sostanza, il libro che vi presentiamo oggi? Spiega, appunto, che la sinistra, nei confronti dell'islam, ha commesso - nel corso dei decenni - errori clamorosi. Per prima cosa, ha cercato di negare la natura religiosa del fenomeno jihadista. Poiché non attribuiva alcune importanza alla religione, ha voluto spiegare l'estremismo con le categorie dell'economia e della politica. Eppure, ha affermato Birnbaum in un'intervista (concessa a Repubblica, curiosamente), «se un terrorista, il cui discorso si rifa di continuo al Corano, uccide in nome di Allah, non possiamo dire che le sue azioni non hanno nulla a che fare con l'islam. Chi siamo noi per negare il suo rapporto con la fede?». Inoltre, il francese accusa i suoi colleghi progressisti di aver sempre cercato di giustificare i terroristi. Non sono, dice, degli emarginati, dai vinti della Storia o degli odiatori rancorosi. Non sono, in nessun modo, delle vittime da giustificare, cosa che la sinistra ha fatto a ripetizione negli ultimi anni. Birnbaum esamina la storia delle sinistre europee per rintracciare le cause di tale clamoroso abbaglio islamico. E le trova eccome. Non staremo a riassumerle, anche perché più volte ci siamo dedicati a questo esercizio. Qui ci interessa, piuttosto, affrontare un altro discorso. Il libro di Birnbaum non è il solito pamphlet del progressista che, con anni di ritardo, si sveglia e scopre l'acqua calda. È, al contrario, un segno. Dimostra che qualcosa può cambiare, che la coltre del politicamente corretto può essere strappata. In Francia, solo da questo punto di vista, sono più avanti di noi. Ma qualcosa comincia a muoversi anche qui. Neri Pozza, per esempio, ha pubblicato La strana morte dell'Europa, un denso tomo firmato da Douglas Murray, intellettuale britannico che firma per lo Spectator. A differenza di Birnbaum, Murray è un conservatore d'acciaio, dunque è più prevedibile che infierisca sui temi dell'immigrazione e del rapporto con l'islam. Libri come il suo, dalle nostre parti, sono sempre stati ignorati. Quest'ultimo non è che abbia goduto di enorme pubblicità, tuttavia è ben distribuito e ben visibile sugli scaffali dei negozi. Proprio come il saggio del francese, anche il testo di Murray merita di essere letto. E non perché «ci dà ragione» o ripete cose che già conosciamo e che quasi ogni giorno raccontiamo su questo giornale. Ma perché dice una cosa importante: il futuro dell'Europa dipende da noi. Non basta fermare l'immigrazione, non basta opporsi all'avanzata islamica. Bisogna anche mettersi d'impegno per infondere nuova vita alla cultura occidentale e alla sua tradizione. Il politicamente corretto e l'ideologia progressista, in questi anni, hanno ottuso le menti e coperto gli occhi di tanti europei. Ora si comincia a invertire la rotta: quali siano i problemi lo abbiamo capito, adesso è il momento di affrontarli e di riappropriarsi dell'orgoglio perduto. Dobbiamo tornare a essere orgogliosi della nostra appartenenza culturale. E il motivo è semplice: sia la cecità di fronte all'islam che denuncia Birnbaum sia l'atteggiamento remissivo davanti all'invasione di cui parla Murray sono prodotti di un'unica malattia: l'odio di sé. Finché non la cureremo, nulla servirà a impedire il declino.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





