2021-10-09
Facebook: Agamben causa violenza
Giorgio Agamben (Getty Images)
Il social impedisce di pubblicare l'intervento al Senato del filosofo contro il passaporto. Per il colosso, le critiche espresse sono falsità che «potrebbero causare danni fisici».L'algoritmo di Facebook è come la sfortuna, ci vede benissimo. È un mostriciattolo occhiuto con la stessa funzione della Stasi nella Germania Est senza la scocciatura del pastrano di pelle nera. E interviene con precisione chirurgica a condizionare una società incapace di distinguere la ricetta del pollo alla diavola della nonna dal commento di un filosofo di caratura mondiale. Così l'algoritmo (ovviamente controllato e regolato da censori in carne e ossa) ha deciso di intervenire nel dibattito contro il green pass all'italiana bloccando l'intervento di Giorgio Agamben, non tenuto in un sottoscala popolato di estremisti, ma in Commissione affari costituzionali del Senato, la piazza istituzionale della nostra democrazia. La segnalazione è arrivata da alcuni utenti del social network che hanno tentato invano di condividere i contenuti tutt'altro che esplosivi del video. Invece della spunta di pubblicazione si sono ritrovati sullo schermo un warning dal titolo: «Il tuo post viola i nostri standard della community in materia di disinformazione che potrebbe causare violenza fisica». Disinformazione e violenza fisica, motivazioni fuorvianti, proprie delle dittature d'altri tempi, usate per soffocare le deviazioni dal pensiero unico. Nei sei minuti della prolusione, Agamben non contesta il vaccino ma la prepotenza del passaporto verde che dal 15 ottobre servirà anche per andare al lavoro. Il filosofo non fa che confermare una posizione nota: «Il vaccino è un mezzo per costringere la gente ad avere un green pass, cioè un dispositivo che permette di controllare e tracciare i cittadini». E poi: «I politologi sanno che le nostre società sono passate dal modello di «società di disciplina» al modello «società di controllo». Società fondate sul controllo digitale virtualmente illimitato dei comportamenti individuali, che diventano così quantificabili con un algoritmo». Agamben si domanda: «È possibile che i cittadini di una società che si pretende democratica si trovino in una situazione peggiore dei cittadini dell'Unione Sovietica sotto Stalin?». E ancora: «Com'è possibile accettare che per la prima volta nella storia d'Italia dopo le leggi fasciste del 1938 sui non ariani si creino cittadini di seconda classe che subiscono restrizioni giuridiche identiche a quelle che subivano i non ariani?».Un filosofo fa filosofia, non incita alla violenza. Non il mite Agamben, non mentre parla al Senato chiedendo con assoluto rispetto formale e sostanziale che «i parlamentari si soffermino con urgenza sulla trasformazione politica in corso, destinata a svuotare il parlamento dei suoi poteri e ad approvare decreti emanati da persone e organizzazioni che con il parlamento hanno ben poco a che fare». Un intervento profondo, alto, trasformato in impresentabile provocazione dall'algoritmo a manganello che già in passato aveva dato prova, lui sì, di «disinformazione e violenza».La scappatoia per oscurare Agamben da parte della società privata Facebook (etichetta dietro la quale è possibile ogni discriminazione del pensiero) arriva dalla traballante motivazione: «Non consentiamo la divulgazione di informazioni false che potrebbero provocare danni fisici. Queste informazioni potrebbero fuorviare le persone su come curare o prevenire una malattia o potrebbero spingerle a non cercare cure mediche. Ricevi informazioni affidabili dall'Oms». Una giustificazione peggiore del buco perché il filosofo non mette in dubbio i vaccini e non dà informazioni, ma come un Socrate del terzo millennio prova a ragionare e a far ragionare sulla pervasività del green pass all'italiana, il più feroce del mondo, che sta cambiando surrettiziamente le più elementari norme costituzionali. La vicenda è coperta da un peloso velo di silenzio politico e mediatico; in Italia nessuno osa criticare gli over the top. Eppure il social network di Mark Zuckerberg non è nuovo a queste misure dittatoriali, sempre in linea con il progressismo infantile della West Coast. Senza scomodare il trattamento riservato a Donal Trump, a maggio l'algoritmo occhiuto impediva di condividere l'inchiesta del New York Post che aveva costretto alle dimissioni la zarina del Black Lives Matter, Patrisse Cullors, accusata di essersi appropriata di fondi dell'organizzazione per comprarsi case e fattorie. Anche allora compariva il pistolotto moralistico, come se in difetto fosse chi voleva saperne di più e non chi stava mettendo una pietra digitale sopra lo scandalo.Nel luna park siliconvallico del conformismo globale, la strategia è sempre la stessa. E suona ancora più ambigua nel giorno del conferimento del Nobel per la Pace a due giornalisti, Maria Ressa e Dmitry Muratov, per la «coraggiosa lotta per la libertà di espressione, precondizione per la democrazia». Parole sconosciute alla polizia del karma di Facebook. Che manovra l'algoritmo come un drone al fronte ma ci lascia la libertà suprema: condividere le foto delle vacanze in Grecia.