2023-08-08
Fabio Ferrari: «Una serie tv mi ha reso famoso. E questo non piaceva a mia mamma»
Fabio Ferrari (Getty Images)
Il figlio dei due grandi attori Paolo Ferrari e Marina Bonfigli: «Lei era una dura e pura del teatro, il successo che ho raggiunto con “I ragazzi della 3 C” non le garbava. I fratelli Vanzina sapevano fotografare il mondo».Fabio Ferrari è un’icona degli anni Ottanta grazie a due personaggi indimenticabili: Furio, detto Pappola, in Vacanze in America e Chicco Lazzaretti ne I ragazzi della 3ᵃ C. Il tempo non ne ha scalpito la travolgente simpatia e, in attesa di una commedia che lo valorizzi pienamente, sarà presente alle Giornate degli autori al Festival di Venezia con Nina dei lupi, diretto da Antonio Pisu, dove ha un bel ruolo accanto a Sergio Rubini e Sandra Ceccarelli.La recitazione ce l’ha nel sangue, grazie ai suoi genitori, Paolo Ferrari e Marina Bonfigli. «Da ragazzino mettevo in scena delle commedie mie o di altri, prevalentemente come regista. Spesso non c’erano attori disponibili, quindi recitavo anche io, però avevo un po’ escluso di fare l’attore. Era il lavoro di mamma e papà, quindi ne conoscevo tutte le magagne. La parte un po’ magica dell’attore non l’ho mai avvertita».Quando ha capito che suo padre era un attore famoso? «Molto presto, perché mio padre faceva all’epoca molta televisione. Quando veniva a scuola una volta all’anno si scatenava l’inferno, con la polizia fuori. Io ero terrorizzato: mi infilavo nella macchina e mi nascondevo perché mi vergognavo. Era una giornata terribile».L’hanno mai incoraggiato a fare l’attore? «Per niente. È stato per caso. Avevo un colloquio di lavoro all’Alitalia - volevo fare il pilota - e invece mi sono trovato a sostituire un attore che andava via dalla compagnia dell’Allegra Brigata, una compagnia semigoliardica in cui però c’erano Massimo Popolizio, Pino Insegno, Roberto Ciufoli, tutta gente che poi ha fatto carriera. Io ero molto amico, fin da bambino, di Fabio Camilli, con cui ho condiviso queste esperienze».Una volta entrato nella compagnia, si è convinto a fare l’attore? «Mi sono subito divertito in scena. È un divertimento che solo il teatro ti dà, un’adrenalina che è un po’ paragonabile a una prestazione sportiva. Non è che io pensassi di continuare, però tempo un anno ho ricevuto un’offerta dietro l’altra e, quindi, mi sono trovato a ventiquattro anni a lavorare e a guadagnare bene. II lavoro mi piaceva e alla fine ho pensato: “Evidentemente era destino”».Quando lo ha comunicato ai suoi? «Non sono stati contenti, assolutamente. Io ero uno studente piuttosto brillante, studiavo pianoforte, avevo una grande passione per la musica. Mia madre diceva che era un po’ uno spreco per una persona intelligente fare l’attore… non aveva tutti i torti».Il paradosso è che diventato famoso come studente pluriripetente ne I ragazzi della 3ᵃ C. «Esatto. A quel punto è successa una cosa strana: ha dato un po’ fastidio ai miei che, improvvisamente, fossi diventato una specie di star… C’è stato un momento che mi fermavano per strada. Mia madre era una dura e pura del teatro. Il fatto che fosse una serie televisiva non le garbava».Poi hanno cambiato idea? «Sì, poi vagamente hanno cambiato idea».Le hanno dato qualche consiglio? «Abbastanza. Erano sempre molto critici, soprattutto mia madre che, quando veniva a teatro, era temutissima. Arrivava improvvisamente, con questa aria un po’ così, sembrava un’attrice degli anni Quaranta, con la voce molto impostata. Era l’unica persona romana che mi chiamava Fabio, con una “b”. A Roma non credo che nessuno pronunci Fabio con una “b”, solo mia madre. Quando arrivava in teatro, si sentiva da lontano: “Fa-bio” e io pensavo: “Mo’, ne avrà per tutti”. Era molto simpatica, però era un personaggio».Com’è capitata l’occasione di Vacanze in America? «Per mia madre. C’è di mezzo Castiglioncello: è il luogo della vita, dove passavo le vacanze estive. Mia moglie l’ho conosciuta lì. Pure Carlo ed Enrico Vanzina venivano a Castiglioncello per cui mia madre, a un certo punto, ha chiamato Carlo e gli ha detto che, ahimè, io avevo intrapreso la carriera di attore. Lui mi ha subito incontrato, mi ha fatto un provino per Amarsi un po’, ma mi ha detto: “Ho un ruolo, ma questa parte l’ho già data, però intanto ti vedo, magari servirà dopo”. L’attore prescelto per quel ruolo era Giacomo Rosselli, che poi avrei ritrovato in Vacanze in America e ne I ragazzi della 3ᵃ C».Quel provino è servito. «Carlo mi ha detto: “Poi facciamo Vacanze in America, c’è un ruolo perfetto per te e ti chiamo per quello”. Durante le riprese di Vacanze in America ci anticipò che poi avrebbero fatto una serie sulla scuola e avrebbero chiamato me e Giacomo. Dissero che avrebbero chiamato anche Fabio Camilli, poi gli offrirono un ruolo più piccolo e lui si dispiacque molto».Camilli e Riccardo Rossi erano i rivali della 3ᵃ F. «Sì, è un ruolo che si palleggiarono, il primo anno c’era Pino Insegno, poi Fabio, infine Riccardo Rossi prese la parte principale del rivale antipatico. Riccardo già lo conoscevo tramite amici comuni. Io gli dicevo: “Tu devi raccontare le cose che racconti a noi la sera, non devi fare solo l’attore che interpreta i ruoli, devi fare te stesso”. Era incontenibile: immagina quello che fa ora a teatro davanti a centinaia di spettatori dentro una stanza con un gruppo di amici».Vacanze in America è diventato un film di culto. «Io me ne sono accorto negli anni. Incontro gente che lo sa a memoria. In questo devo dire che Carlo ed Enrico erano due geni».A captare gli umori di quegli anni? «Beccavano delle cose con anticipo, fotografavano veramente un mondo. Io, all’epoca, non mi rendevo conto. Alle volte dicevo: “Ma perché devo dire ‘sta cosa? Mi sembra una stupidaggine”. “Non ti preoccupare”. Vent’anni dopo mi hanno fermato: “Mi ridici quella battuta?”. Avevano ragione loro due».La serie I ragazzi della 3ᵃ C l’ha poi diretta Claudio Risi. «Sì. Carlo ed Enrico hanno pensato al soggetto e ai vari personaggi. Con Claudio, gli altri attori e la troupe abbiamo lavorato insieme tre anni di fila, per venticinque settimane a stagione. Ci siamo divertiti pazzamente».La serie è cambiata nel tempo. Funzionava bene all’inizio, meno dopo che avete finito il liceo. «Qualsiasi serie ambientata in una scuola funziona perché è un collante che tiene tutti uniti. L’ultima stagione era diversa, pure quella è andata bene sull’onda del successo, però non aveva quella freschezza, quella verve, anche quello spirito che dentro una classe nasce per forza. Ieri sera sono stato a una cena per festeggiare i quarantacinque anni della mia maturità. Con cinque-sei miei compagni abbiamo fatto insieme dalla prima elementare al terzo liceo. La cosa fantastica è che la mia classe al liceo era la 3ᵃ F».Dove ha fatto la maturità? «La maturità l’ho fatta al liceo Gaetano De Sanctis. La sede storica, a via dell’Acqua Traversa, era una palazzina adibita a scuola con le stanze a “L”, dove mezza classe non vedeva quell’altra».Dopo ha partecipato alla serie College, che è andata bene. «Sì, pure quella è andato forte. Quella doveva essere l’inizio di una collaborazione triennale con il produttore Gianni Di Clemente, per me e Fabrizio Bracconeri, il famoso Bruno Sacchi. Lui ci aveva chiamato dopo la 3ᵃ C proponendoci tre serie. Poi, invece, la cosa non è andata in porto e abbiamo fatto solo College. Questo contrattempo mi ha un po’ bloccato».Poi ha continuato a fare cinema con grandi registi. «Ho lavorato con Ettore Scola, con cui ho fatto due film. Uno è Concorrenza sleale dove, però, non mi se vede perché ha dovuto tagliare quaranta minuti di film perché era lunghissimo e, purtroppo, lì dentro c’erano i miei quindici minuti. Poi, molto carinamente, Scola mi ha chiamato di nuovo per fare Gente di Roma, dove in uno degli episodi sono il figlio di Arnoldo Foà. Una bellissima esperienza».Ha lavorato anche con Pupi Avati. «Con Avati ho fatto tre film. Gli voglio bene. Ti racconto un aneddoto carino su Pupi: noi siamo amici “de parrocchia”, nel senso che andiamo tutti e due a messa a San Giacomo, in via del Corso. Quando mi ha offerto il film La cena per farli conoscere, mi ha fermato fuori dalla messa, non ci conoscevamo, cioè io sapevo chi era lui, lui sapeva chi ero io, però non ci eravamo mai salutati. Mi ha detto: “Senti, ti volevo chiedere se sei libero perché ho un ruolo per il prossimo film in cui mi serve uno proprio come te”. Gli dico: “Grazie, molto volentieri, ma non mi fai un provino?”. “No, no, ti conosco, mi piaci, vai bene. Vieni domani in ufficio e prendi il copione”. Ho letto il copione e ho visto che si trattava praticamente di un maniaco sessuale. Avendo visto Pupi solo a messa, dove spesso leggevo le Scritture, mi sono detto: “Che vuol dire mi servirebbe uno come te?”. Poi mi ha spiegato: “Mi serve uno con un’aria assolutamente normale che, all’improvviso, dice delle cose e si capisce che c’è qualcosa che non va in lui”».Nella sua poliedricità ha condotto pure una trasmissione di calcio. «Sì, su una tv privata, Retesole, ma in realtà non era una trasmissione di calcio ma di cocktail, perché io faccio il barman e ho una grande passione per i drink. Il direttore di di Retesole mi ha proposto: “Perché non vieni a fare qualcosa da noi?”. E gli ho risposto: “Io un’idea ce l’avrei: possiamo fare mezz’ora in cui io preparo un cocktail, lo bevo insieme a un ospite e poi parliamo anche di calcio”. Si chiamava I fumi del calcio e abbiamo fatto due stagioni, invitando molti personaggi famosi».Il barman dove lo fa? «In un ristorante sulla via Tiberina, ovviamente quando non sono in tournée o sul set».Le piace? «Mi piace pazzamente. L’ho fatto per anni a casa per gli amici e poi è diventato un secondo lavoro».Anche il bar è un palcoscenico! «Assolutamente, sei in scena. Nel ristorante c’è qualcosa di simile al teatro: c’è il dietro le quinte e c’è la scena e quindi mi trovo abbastanza a mio agio. La gente mi riconosce, quindi scattano tante cose piacevoli. È un lavoro tosto, ma bello. Per sostituirmi quando riprenderò a lavorare a teatro, dal 3 ottobre, siccome i clienti ci rimangono male quando non ci sono, sto cercando una bar-lady, non troppo carina, sennò mi fa le scarpe e non mi fanno più lavorare».
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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