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2021-10-31
L’«ex» dittatore Erdogan determinante su tutti i tavoli. È lui il vincitore del G20
Mario Draghi e Recep Tayyip Erdogan (Ansa)
Se c'è un «vincitore» di questo G20, molto probabilmente si tratta di Recep Tayyip Erdogan. Una valutazione esagerata? Probabilmente no. Al summit romano, il presidente turco ha beneficiato di tre fattori. In primo luogo, della debolezza politica di Joe Biden sia sul piano internazionale (la crisi afghana pesa sulla sua immagine) sia su quello interno (la sua agenda è di fatto impantanata al Congresso). Si pensi poi al caso della global minimum tax al 15% per le multinazionali. La misura è stata fortemente sostenuta da Biden e, dopo essere stata adottata ieri dal G20, rischia adesso di creargli ulteriori grattacapi in patria a causa dell'opposizione del Partito repubblicano. Va da sé che questa situazione ha indebolito il presidente americano. Un secondo fattore che ha favorito il Sultano risiede poi nello scarso coinvolgimento dell'asse sino-russo in questo G20, che ha aperto significativi margini di manovra a Erdogan (che non intrattiene comunque cattive relazioni con Mosca e con Pechino). In terzo luogo, il Sultano ha fatto valere la propria centralità su alcuni dossier fondamentali che sono stati discussi. Erdogan risulta infatti un interlocutore ineludibile per gli Stati Uniti (su Afghanistan e Nato), per l'Unione europea (sui flussi migratori) e per la stessa Italia (su Libia e Balcani).
È quindi in questo contesto che Mario Draghi ha avuto un bilaterale con il Sultano: un vertice che è seguito a un periodo di relazioni italoturche piuttosto burrascoso (soprattutto dopo che, lo scorso aprile, il nostro premier aveva definito Erdogan un «dittatore», mandando il diretto interessato su tutte le furie). Secondo una nota di Palazzo Chigi, i due leader ieri hanno affrontato «le relazioni Ue-Turchia, la crisi afgana e la stabilità nel Mediterraneo, con particolare attenzione per gli sviluppi del processo politico intra libico». Ricordiamo, a tal proposito, che il presidente turco mantiene una salda influenza sia sulla Libia occidentale sia sui Balcani: due aree particolarmente delicate per gli interessi del nostro Paese. Del resto, non sarà un caso che il dossier libico fosse già affiorato durante il colloquio dell'altro ieri tra Draghi e Biden: segno del fatto che, nell'attuale G20, il premier si sta muovendo per garantire un ruolo di primo piano di Roma nelle dinamiche del Paese nordafricano.
Sotto questo aspetto, è particolarmente preoccupante il ruolo della Francia. Biden sta infatti cercando di ricucire i rapporti con Parigi dopo il caso sottomarini. E non è escludibile che possa offrire a Emmanuel Macron una sponda sulla Libia come contropartita per tale distensione. Un'eventualità rischiosa per l'Italia, che Roma dovrebbe scongiurare a tutti i costi. Del resto, la crescente centralità di Erdogan al summit è stata testimoniata anche dall'incontro da lui avuto con il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: i due sono stati ritratti sorridenti mentre si stringevano la mano. Le polemiche del cosiddetto «sofagate» sembrano quindi diventate solo un lontano ricordo. E, del resto, Bruxelles continua ad avere necessità del leader turco per la questione dei flussi migratori. Intanto, il consigliere per la sicurezza nazionale americano, Jake Sullivan, ha già fatto sapere che Biden avrà un incontro bilaterale con Erdogan a margine della Cop26 di Glasgow.
Al di là della Turchia, Draghi ha avuto ieri un faccia a faccia anche con il premier britannico, Boris Johnson. Stando a una nota, i due leader «hanno concordato sul fatto che lo stretto coordinamento tra Regno Unito e Italia nel G7, G20 e Cop26 quest'anno è stato cruciale nel realizzare progressi tanto necessari su temi quali la pandemia da coronavirus e i cambiamenti climatici». Secondo un portavoce di Downing Street, «i leader hanno concordato sull'importanza di eliminare gradualmente l'uso del carbone per mantenere vivo l'obiettivo di 1,5 (gradi Celsius)». La stessa fonte, ha anche riferito che il premier britannico ha «incoraggiato il primo ministro Draghi ad andare oltre nei suoi impegni di finanziamento del clima per aiutare i Paesi in via di sviluppo a crescere in modo pulito e sostenibile».
In tutto questo, Draghi ha avuto l'altro ieri anche un incontro con il premier indiano, Narendra Modi, in cui si è parlato di transizione energetica, lotta ai cambiamenti climatici e crisi afghana. Il vertice pare aver dato i suoi frutti, visto che ieri - all'inizio del G20 - i due premier hanno mostrato una profonda sintonia. Del resto, è possibile leggere questa ricerca di una sponda indiana da parte di Draghi anche in chiave geopolitica: specialmente come un segnale di freddezza nei confronti di Pechino (che non intrattiene notoriamente rapporti idilliaci con Nuova Delhi).
Più in generale, un tema centrale nella giornata di ieri è stato quello vaccinale. L'obiettivo infatti è immunizzare il 70% della popolazione mondiale entro il 2022, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha invocato una maggiore condivisione dei vaccini attraverso il meccanismo Covax. Il presidente cinese, Xi Jinping, intervenendo in videoconferenza, ha chiesto una «cooperazione globale» in materia sanitaria, oltre alla sospensione dei brevetti per i vaccini. «Alcuni Paesi», ha detto invece il presidente russo Vladimir Putin intervenendo anche lui in videoconferenza, «adottano un approccio protezionistico nei confronti dei vaccini per il Covid e non sono disposti a riconoscere e registrare i vaccini. L'Oms deve aumentare la velocità con cui analizza e autorizza i vaccini e le terapie contro il Covid».
Solito corteo di studenti e sinistre. Roma blindata ma niente scontri
Can che abbaia non morde. Ieri al corteo organizzato da Cobas, centri sociali, delegazioni dei lavoratori di Gkn, Ilva, Alitalia e Whirlpool e movimenti studenteschi (come Rete degli studenti medi) a Roma contro il vertice del G20 che si stava tenendo a Sud della città in un Eur blindatissimo (con tanto di strade chiuse e no fly zone), gli slogan erano praticamente gli stessi di 20 anni fa a Genova durante il G8. Fatta eccezione per quelli legati all'emergenza Covid. E anche le sigle presenti. Uno striscione con «Capitalismo è morte» sostenuto da due manifestanti mascherati da scheletri, «Insorgiamo», scandito dal Collettivo di fabbrica dei lavoratori della Gkn di Firenze, lo spezzone più agguerrito del corteo insieme a quello dei Carc (Partito dei comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo), con cui condividevano lo slogan. Il Partito marxista leninista chiedeva la cacciata del governo Draghi, mentre uno sparuto gruppo di una decina di anarchici esponeva striscioni contro il green pass e contro la guerra in Libia «attraverso evacuazione immediata».
Per fortuna, l'imponente schieramento di poliziotti in assetto antisommossa che aveva blindato da un lato il lungotevere (con tanto di camion con idrante) e dall'altro via della Greca, obbligando il corteo a proseguire verso piazza della Bocca della verità, non si è rivelato necessario, e l'apparato di sicurezza messo a punto da Viminale, questura, prefettura e intelligence, con un ingente dispiegamento di uomini e mezzi, non è stato messo alla prova dalle proteste. I circa 5.000 manifestanti (secondo fonti della Questura) hanno sfilato ordinatamente lungo il percorso stabilito, partendo da piazzale Ostiense. A chiudere il corteo, quasi a rappresentare il cambio di paradigma rispetto al 2001, una delegazione di romana di Rifondazione comunista. Unico fuori programma, verso le 18 (appena mezz'ora dopo l'arrivo in piazza), un secondo corteo sullo stesso percorso di quello concordato, ma giustificato, secondo le forze dell'ordine, dal fatto che «la fermata metro più vicina è quella di Roma ostiense, considerata la chiusura di Circo massimo».
La giornata non era partita al meglio. Alle prime luci del giorno infatti, nel tentativo di bloccare l'arrivo alla Nuvola dei capi di Stato, un gruppo di attivisti aveva tentato di bloccare la via Cristoforo Colombo, finendo disperso dalla polizia che ha identificato una cinquantina di manifestanti. Contemporaneamente al corteo antagonista, in piazza San Giovanni, si è svolto un sit in con circa 300 persone organizzato dal Partito comunista, dal Comitato 27 febbraio e da Patria socialista. Una manifestazione, alla quale era presente il leader del Partito comunista Marco Rizzo, incentrata sull'antifascismo («Le piazze non si condividono mai con i fascisti! I fascisti si combattono!» scandito da un partecipante sul palco), condita con un pizzico di no al green pass, definito da un anonimo oratore «senza scopo sanitario» «atto a imporre una discriminazione» e a «dividere i lavoratori». Anche in questo caso non sono stati segnalati scontri.
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Riduci
Mario Draghi, oltre a Narendra Modi e Boris Johnson, incontra il Sultano per parlare di Libia. E la Turchia ha un ruolo chiave pure su Afghanistan e Balcani. Adottata la tassa minima globale.Roma paralizzata da più manifestazioni. Tentativo di occupare via Cristoforo Colombo.Lo speciale contiene due articoli.Se c'è un «vincitore» di questo G20, molto probabilmente si tratta di Recep Tayyip Erdogan. Una valutazione esagerata? Probabilmente no. Al summit romano, il presidente turco ha beneficiato di tre fattori. In primo luogo, della debolezza politica di Joe Biden sia sul piano internazionale (la crisi afghana pesa sulla sua immagine) sia su quello interno (la sua agenda è di fatto impantanata al Congresso). Si pensi poi al caso della global minimum tax al 15% per le multinazionali. La misura è stata fortemente sostenuta da Biden e, dopo essere stata adottata ieri dal G20, rischia adesso di creargli ulteriori grattacapi in patria a causa dell'opposizione del Partito repubblicano. Va da sé che questa situazione ha indebolito il presidente americano. Un secondo fattore che ha favorito il Sultano risiede poi nello scarso coinvolgimento dell'asse sino-russo in questo G20, che ha aperto significativi margini di manovra a Erdogan (che non intrattiene comunque cattive relazioni con Mosca e con Pechino). In terzo luogo, il Sultano ha fatto valere la propria centralità su alcuni dossier fondamentali che sono stati discussi. Erdogan risulta infatti un interlocutore ineludibile per gli Stati Uniti (su Afghanistan e Nato), per l'Unione europea (sui flussi migratori) e per la stessa Italia (su Libia e Balcani).È quindi in questo contesto che Mario Draghi ha avuto un bilaterale con il Sultano: un vertice che è seguito a un periodo di relazioni italoturche piuttosto burrascoso (soprattutto dopo che, lo scorso aprile, il nostro premier aveva definito Erdogan un «dittatore», mandando il diretto interessato su tutte le furie). Secondo una nota di Palazzo Chigi, i due leader ieri hanno affrontato «le relazioni Ue-Turchia, la crisi afgana e la stabilità nel Mediterraneo, con particolare attenzione per gli sviluppi del processo politico intra libico». Ricordiamo, a tal proposito, che il presidente turco mantiene una salda influenza sia sulla Libia occidentale sia sui Balcani: due aree particolarmente delicate per gli interessi del nostro Paese. Del resto, non sarà un caso che il dossier libico fosse già affiorato durante il colloquio dell'altro ieri tra Draghi e Biden: segno del fatto che, nell'attuale G20, il premier si sta muovendo per garantire un ruolo di primo piano di Roma nelle dinamiche del Paese nordafricano. Sotto questo aspetto, è particolarmente preoccupante il ruolo della Francia. Biden sta infatti cercando di ricucire i rapporti con Parigi dopo il caso sottomarini. E non è escludibile che possa offrire a Emmanuel Macron una sponda sulla Libia come contropartita per tale distensione. Un'eventualità rischiosa per l'Italia, che Roma dovrebbe scongiurare a tutti i costi. Del resto, la crescente centralità di Erdogan al summit è stata testimoniata anche dall'incontro da lui avuto con il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: i due sono stati ritratti sorridenti mentre si stringevano la mano. Le polemiche del cosiddetto «sofagate» sembrano quindi diventate solo un lontano ricordo. E, del resto, Bruxelles continua ad avere necessità del leader turco per la questione dei flussi migratori. Intanto, il consigliere per la sicurezza nazionale americano, Jake Sullivan, ha già fatto sapere che Biden avrà un incontro bilaterale con Erdogan a margine della Cop26 di Glasgow. Al di là della Turchia, Draghi ha avuto ieri un faccia a faccia anche con il premier britannico, Boris Johnson. Stando a una nota, i due leader «hanno concordato sul fatto che lo stretto coordinamento tra Regno Unito e Italia nel G7, G20 e Cop26 quest'anno è stato cruciale nel realizzare progressi tanto necessari su temi quali la pandemia da coronavirus e i cambiamenti climatici». Secondo un portavoce di Downing Street, «i leader hanno concordato sull'importanza di eliminare gradualmente l'uso del carbone per mantenere vivo l'obiettivo di 1,5 (gradi Celsius)». La stessa fonte, ha anche riferito che il premier britannico ha «incoraggiato il primo ministro Draghi ad andare oltre nei suoi impegni di finanziamento del clima per aiutare i Paesi in via di sviluppo a crescere in modo pulito e sostenibile». In tutto questo, Draghi ha avuto l'altro ieri anche un incontro con il premier indiano, Narendra Modi, in cui si è parlato di transizione energetica, lotta ai cambiamenti climatici e crisi afghana. Il vertice pare aver dato i suoi frutti, visto che ieri - all'inizio del G20 - i due premier hanno mostrato una profonda sintonia. Del resto, è possibile leggere questa ricerca di una sponda indiana da parte di Draghi anche in chiave geopolitica: specialmente come un segnale di freddezza nei confronti di Pechino (che non intrattiene notoriamente rapporti idilliaci con Nuova Delhi).Più in generale, un tema centrale nella giornata di ieri è stato quello vaccinale. L'obiettivo infatti è immunizzare il 70% della popolazione mondiale entro il 2022, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha invocato una maggiore condivisione dei vaccini attraverso il meccanismo Covax. Il presidente cinese, Xi Jinping, intervenendo in videoconferenza, ha chiesto una «cooperazione globale» in materia sanitaria, oltre alla sospensione dei brevetti per i vaccini. «Alcuni Paesi», ha detto invece il presidente russo Vladimir Putin intervenendo anche lui in videoconferenza, «adottano un approccio protezionistico nei confronti dei vaccini per il Covid e non sono disposti a riconoscere e registrare i vaccini. L'Oms deve aumentare la velocità con cui analizza e autorizza i vaccini e le terapie contro il Covid».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ex-dittatore-erdogan-vincitore-g20-2655457542.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="solito-corteo-di-studenti-e-sinistre-roma-blindata-ma-niente-scontri" data-post-id="2655457542" data-published-at="1635634918" data-use-pagination="False"> Solito corteo di studenti e sinistre. Roma blindata ma niente scontri Can che abbaia non morde. Ieri al corteo organizzato da Cobas, centri sociali, delegazioni dei lavoratori di Gkn, Ilva, Alitalia e Whirlpool e movimenti studenteschi (come Rete degli studenti medi) a Roma contro il vertice del G20 che si stava tenendo a Sud della città in un Eur blindatissimo (con tanto di strade chiuse e no fly zone), gli slogan erano praticamente gli stessi di 20 anni fa a Genova durante il G8. Fatta eccezione per quelli legati all'emergenza Covid. E anche le sigle presenti. Uno striscione con «Capitalismo è morte» sostenuto da due manifestanti mascherati da scheletri, «Insorgiamo», scandito dal Collettivo di fabbrica dei lavoratori della Gkn di Firenze, lo spezzone più agguerrito del corteo insieme a quello dei Carc (Partito dei comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo), con cui condividevano lo slogan. Il Partito marxista leninista chiedeva la cacciata del governo Draghi, mentre uno sparuto gruppo di una decina di anarchici esponeva striscioni contro il green pass e contro la guerra in Libia «attraverso evacuazione immediata». Per fortuna, l'imponente schieramento di poliziotti in assetto antisommossa che aveva blindato da un lato il lungotevere (con tanto di camion con idrante) e dall'altro via della Greca, obbligando il corteo a proseguire verso piazza della Bocca della verità, non si è rivelato necessario, e l'apparato di sicurezza messo a punto da Viminale, questura, prefettura e intelligence, con un ingente dispiegamento di uomini e mezzi, non è stato messo alla prova dalle proteste. I circa 5.000 manifestanti (secondo fonti della Questura) hanno sfilato ordinatamente lungo il percorso stabilito, partendo da piazzale Ostiense. A chiudere il corteo, quasi a rappresentare il cambio di paradigma rispetto al 2001, una delegazione di romana di Rifondazione comunista. Unico fuori programma, verso le 18 (appena mezz'ora dopo l'arrivo in piazza), un secondo corteo sullo stesso percorso di quello concordato, ma giustificato, secondo le forze dell'ordine, dal fatto che «la fermata metro più vicina è quella di Roma ostiense, considerata la chiusura di Circo massimo». La giornata non era partita al meglio. Alle prime luci del giorno infatti, nel tentativo di bloccare l'arrivo alla Nuvola dei capi di Stato, un gruppo di attivisti aveva tentato di bloccare la via Cristoforo Colombo, finendo disperso dalla polizia che ha identificato una cinquantina di manifestanti. Contemporaneamente al corteo antagonista, in piazza San Giovanni, si è svolto un sit in con circa 300 persone organizzato dal Partito comunista, dal Comitato 27 febbraio e da Patria socialista. Una manifestazione, alla quale era presente il leader del Partito comunista Marco Rizzo, incentrata sull'antifascismo («Le piazze non si condividono mai con i fascisti! I fascisti si combattono!» scandito da un partecipante sul palco), condita con un pizzico di no al green pass, definito da un anonimo oratore «senza scopo sanitario» «atto a imporre una discriminazione» e a «dividere i lavoratori». Anche in questo caso non sono stati segnalati scontri.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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