2025-02-23
Il culto moderno della salute è il grimaldello per spingerci ad «adorare» l’eutanasia
Massimo Recalcati (Getty Images)
Massimo Recalcati su «Repubblica» teorizza che la quotidianità sommersa dal dolore debba arrendersi per tutelare la dignità. Ma fragilità e debolezza non sono malattie.Il dibattito italiano, per la verità molto deludente e piuttosto superficiale, sul fine vita si è arricchito ieri di un contributo importante, quella dello psicoanalista Massimo Recalcati. Il quale, su Repubblica, ha toccato quello che probabilmente è il cuore del discorso sulla dolce morte. Lo ha fatto da sostenitore strenuo di una legge su eutanasia e suicidio assistito e, purtroppo, giungendo a conclusioni a nostro avviso discutibili. Ma ha comunque centrato il punto: la rimozione della morte che caratterizza l’Occidente. «Uno dei miti contemporanei è quello di attribuire un valore in sé al prolungamento illimitato della vita», scrive Recalcati. «Garantire la vita più lunga possibile sembra imporsi su qualunque altra valutazione di merito. Di qui l’ossessione per il cosiddetto benessere, ovvero per un salutismo spesso penitenziale che vorrebbe scongiurare non solo la malattia ma la morte stessa. Nessun tempo ha conosciuto in forme così esasperate l’ossessione per il benessere e per il prolungamento a ogni costo della vita. Un corteo variegato di specialisti ci spinge a identificare indebitamente il valore della vita con la sua durata dimenticando che ciò che dà valore alla vita non è affatto il suo essere lunga quanto la possibilità di poter essere larga, ampia, capace davvero di essere una vita viva. È un insegnamento centrale che si trova anche nella predicazione di Gesù: la vita umana non può ridursi materialisticamente alla sola vita biologica, all’essere semplicemente in vita della vita, poiché il compito più radicale che l’attende è quello di essere generativamente viva, di essere capace di fare frutti. L’essere semplicemente in vita della vita non può infatti garantire il suo essere davvero viva».Recalcati ha perfettamente ragione. E in questi passaggi la sua argomentazione è particolarmente suggestiva. «Possiamo fare l’esempio evidente», spiega, «delle depressioni che mostrano implacabilmente quanto la dimensione biologica della vita semplicemente in vita non coincida affatto con la vita capace di vita. La vita del depresso è, infatti, vita biologicamente viva ma è, in realtà, vita morta, vita senza vita, vita senza desiderio di vita». Lo psicoanalista coglie anche l’aspetto più inquietante di questa tendenza: «Nel coltivare l’illusione della vita lunga si manifesta la dimensione securitaria della pulsione che caratterizza la cifra melanconica di fondo del nostro tempo. È l’altra faccia dell’euforia maniacale nella quale siamo immersi. La fuga dal pensiero e dalla presenza della morte avviene nel nome di una vita che, in realtà, ha sempre più paura del carattere ingovernabile della vita».Qui però sorgono anche le prime contraddizioni. È vero che il timore della sofferenza - la algofobia, direbbe Byung-Chul Han - favorisce la tendenza securitaria e il controllo sociale che dovrebbero garantire la sopravvivenza. La dimostrazione più plateale l’abbiamo avuta ai tempi del Covid, quando ci è stato chiesto di rinunciare a vivere per sopravvivere e, in nome della presunta salute elevata a valore supremo, si è compiuta ogni discriminazione. La società del rischio è divenuta una società della sorveglianza, con la complicità dei progressisti che oggi chiedono una legge sul fine vita.Per altro, questa brama di sopravvivenza e l’ossessione per la vita lunga ci hanno portato a idolatrare, in una slancio neopositivista, la scienza e la tecnica a cui abbiamo attribuito potere salvifico ben oltre le loro effettive capacità. È in questo modo che si è creato il feticismo de «Lascienza», sorta di pseudoreligione che promette la salvezza e richiede incondizionata sottomissione. Ci aspettiamo che Recalcati, seguendo il suo stesso ragionamento, giunga prima o poi a riconoscere e a criticare quanto recentemente accaduto.Ma seguiamo ancora il pensiero dello psicoanalista. Egli, ancora giustamente, nota che siamo spaventati da una vita che sfugge al nostro controllo. Ma, partendo da questa affermazione, arriva a una conclusione sorprendente: «Una vita sommersa dal dolore e dall’assenza di speranza dovrebbe avere pieno diritto a dichiarare la propria resa. Non riconoscere questo diritto è l’effetto di un tremendo offuscamento ideologico che fa prevalere un concetto astratto di Vita - di cui la vita lunga è l’illusione più edonistica - sulla vita reale che è tale solo se ha la possibilità di preservare la sua ampiezza».E ancora: «Nessuno può decidere quando una vita sia davvero larga, come nessuno può decidere sull’equilibrio singolare che ciascuno deve sperimentare tra la possibilità della sua resistenza al male e quella della sua resa. Una legge sul fine vita non sospingerebbe in modo irresponsabile la vita ferita mortalmente verso il suicidio, ma tutelerebbe la sua dignità che non può coincidere né con un dolore senza speranza né con l’illusione che il valore della vita consista necessariamente nel suo essere la più lunga possibile».Non vi può essere dubbio sul fatto che ci stiamo muovendo su un terreno friabile e che questionare sul dolore altrui possa risultare arrogante e spietato. Motivo per cui cercheremo soltanto di avanzare qualche dubbio, di fare un po’ di luce sugli angoli oscuri della riflessione di Recalcati. Se è vero che ciascuno di noi affronta il male, la sofferenza e la morte a modo suo, come può e non sempre come vorrebbe, è anche vero che proprio nella ossessione per la «vita lunga» che Recalcati biasima si ritrova uno dei fondamenti ideologici delle battaglie sul fine vita. Che cosa è la dolce morte se non la pretesa di esercitare un controllo sull’esistenza e i suoi confini? Che cosa è se non il tentativo di eliminare gli aspetti più spaventosi e impresentabili della sofferenza e della morte, sterilizzandoli fra le pareti pulite della stanza di una clinica? L’edonismo, non altro, ci spinge in questa direzione: la dolce morte è spesso l’altra faccia della vita sicura, del salutismo puritano e paranoide che lo stesso Recalcati depreca.La questione, allora, non è tanto impedire ai singoli di disporre del proprio corpo in libertà, ma riconoscere che per lo più non è la preoccupazione per i diritti, bensì la difficoltà nella gestione del dolore a spingerci verso l’eutanasia. La brama di una vita lunga è anche brama di una vita levigata, sterilizzata, pura, attiva e piena. E la responsabilità di questa pienezza è affidata esclusivamente al corpo, che deve risultare efficiente. Quando non lo è più, diviene un peso.Ciascuno pensi, allora, ciò che vuole e decida per sé. Ma ci sia concesso di insistere affinché la fragilità e la debolezza non siano equiparati a malattie. E ci sia concesso di dubitare di un culto della salute che pretende sacrifici cruenti.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.