2022-12-13
Gli europarlamentari per i «diritti umani» fecero punire un cronista sgradito
Veronique de Keyser, la capodelegazione del gruppo di europarlamentari che visitò il Marocco nel 2013 (Getty Images)
Nel 2013, Antonio Panzeri andò in Marocco con i socialisti. E pur avendo una Ong per la libertà di stampa, mise nei guai un giornalista.«Impunità e giornalismo: il diritto di sapere». Fight Impunity, la Ong fondata da Pier Antonio Panzeri dopo la sua uscita dal Parlamento europeo, si occupa molto di difendere la libertà di stampa. Almeno stando a quello che dice il sito dell’associazione. C’è un giornalista della televisione pubblica marocchina Rtm che probabilmente non la pensa allo stesso modo.Tra il 20 e il 24 giugno del 2013, una missione di parlamentari del gruppo Socialisti e democratici (S&D) si reca in visita ufficiale in Marocco. La missione fa una tappa anche a Laayoune, il principale centro del Sahara occidentale, amministrato «de facto» dal Marocco ma mai riconosciuto dalla comunità internazionale. Con accuse di violazioni dei diritti umani nei confronti degli abitanti della regione, i saharawi, molti dei quali vivono da profughi in Algeria e Mauritania. Della missione, guidata dall’allora vicepresidente del gruppo Veronique de Keyser, fanno parte oltre a Panzeri anche Francesco Giorgi, allora suo assistente e oggi coinvolto nello scandalo di corruzione del Parlamento europeo come l’ex europarlamentare. L’accusa è corruzione e tra i Paesi coinvolti, oltre al Qatar, c’è anche il Marocco. Lo scrivono gli inquirenti belgi nelle carte inviate in Italia per il fermo della moglie e della figlia di Panzeri. Le stesse che raccontano delle spese folli per i viaggi della famiglia («Non possiamo permetterci di spendere 100.000 euro come lo scorso anno», dice la moglie a Panzeri) e dei regali «trasportati» dalle due donne per conto di un diplomatico marocchino.I rapporti di Panzeri con Rabat, d’altra parte, sono solidi da anni. Al Parlamento europeo, è stato a lungo presidente della Delegazione per il Maghreb, un organismo centrale per i rapporti tra la Ue e la regione. Per la rappresentanza diplomatica del Marocco a Bruxelles è un riferimento centrale, come vedremo più avanti.Ma prima, torniamo alla missione del 2013 e alla libertà di stampa. Nella tappa a Laayoune, c’è un giornalista che fa domande sgradite ai parlamentari socialisti europei in visita nel Sahara occidentale. Li disturba. Addirittura, «chiede un’intervista» e «cerca di avere informazioni» da loro. Emmanuelle Le Texier, consulente politica sul Maghreb della missione e oggi a capo delle risorse umane del gruppo del S&D a Bruxelles, se ne lamenta con il loro accompagnatore, un funzionario del governo marocchino. Si lamenta anche la de Keyser e il funzionario marocchino agisce. Telefona al governatore di Laayoune, che a sua volta chiama il responsabile locale di Rtm, che telefona al funzionario governativo e lo rassicura: prenderà provvedimenti, in effetti su quel giornalista aveva già dei dubbi «per sue idee politiche» e anche per le «dubbie frequentazioni», lasciando intendere interventi drastici, financo un licenziamento. Promette anche di indagare sui «cattivi comportamenti» (o «gli errori») del giornalista. Oggetto delle pressanti domande del giornalista, le ragioni del mancato incontro della delegazione con il rappresentante del Comitato nazionale marocchino per i diritti umani e le eventuali modifiche del programma.A raccontare l’episodio è lo stesso funzionario marocchino, Mounir El Jaffali, «consigliere diplomatico» incaricato di seguire la missione europea. Lo racconta in un dettagliatissimo rapporto dove vengono riferiti incontri, appuntamenti, orari e modalità degli spostamenti. Perfino le auto utilizzate (messe a disposizione dal governo per gli spostamenti in Marocco, noleggiate per la tappa in Sahara occidentale) e l’uscita notturna di un gruppo di europei per un panino da McDonald e un bicchiere in un locale della corniche di Casablanca, con rientro in hotel alle 1.15 del mattino, annota il solerte funzionario.Il documento, classificato «confidenziale», fa parte del cosiddetto Marocco Leak, un database di documenti del governo di Rabat circolati nel 2015, rivelando le manovre del regno nordafricano per orientare le decisioni degli organismi internazionali sulla questione del Sahara occidentale. Nei documenti, Panzeri è citato varie volte. E appare come un riferimento stabile a Bruxelles del Paese del Maghreb. In un cablo dell’ambasciata del Marocco a Bruxelles, viene descritto come «portatore di una linea politica coerente e di lungo termine come si è visto raramente presso altri europarlamentari». In quella occasione, un suo collaboratore si era premurato di avvisare l’ambasciata marocchina sulle finalità di una missione in Algeria, storico avversario regionale del Marocco. L’ambasciatore scrive che Panzeri «ha fatto uno sforzo significativo per giustificarsi» e per presentare la visita in Algeria e ai campi profughi saharawi come la necessità di non apparire troppo filo-Marocco.In un altro cablo, del 5 dicembre 2013, si discute del protocollo di pesca tra Marocco e Ue che sarebbe stato votato dal Parlamento Ue pochi giorni dopo. Alcuni parlamentari italiani del Ppe però fanno storie. Il diplomatico marocchino ne parla con Carmen Fraga, parlamentare spagnola del Ppe e relatrice del rapporto, che «sensibilizzerà» i parlamentari italiani. Ma per sicurezza il diplomatico coinvolge anche Panzeri, «invitandolo a sensibilizzare i parlamentari italiani».Un anno prima, il 4 gennaio 2013, l’ambasciatore invia a Rabat il piano d’azione per sostenere gli interessi del Marocco a Bruxelles. Tra i vari punti - il rafforzamento dei rapporti interparlamentari, gli inviti nel Paese, le missioni a Bruxelles - anche la proposta della creazione di una «agenzia di lobbying» che «potrà agire per sostenere l’azione diplomatico-parlamentare per la promozione e la difesa degli interessi del Marocco». Chissà come è andata a finire.
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