2019-07-21
        Espulso un bombarolo nigeriano però il giudice lo rimette in libertà
    
 
Immigrato anarchico condannato per il possesso di 50 chili di nitrato d'ammonio e altre sostanze per creare ordigni. Il Viminale dispone il rimpatrio, ma il tribunale lo rilascia. Matteo Salvini: «Schiaffo agli italiani perbene». La lista dei precedenti di polizia fa accapponare la pelle: indagato per l'attentato esplosivo al Comando stazione carabinieri di Bologna Corticella nel 2016 (inchiesta poi archiviata), finito nelle carte dell'indagine sulle buste esplosive fatte recapitare da un gruppo anarchico a due magistrati della Procura di Torino e al capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria nel 2017. Quella dei precedenti penali è anche peggio: condannato per detenzione di materiale esplosivo (50 chili di nitrato d'ammonio, undici barattoli di acetone, sei flaconi di perossido di idrogeno. Ossia gli ingredienti per creare esplosivo artigianale) a una pena da contrabbandiere di raudi, un anno e 10 mesi in primo grado, è uscito di prigione dopo otto mesi (i suoi compagni sostengono che poi sia stato assolto anche da quell'accusa). Divine Umoru, 25 anni, nigeriano di Benin City che ha scelto l'Italia per la sua dimora fissa e la fede anarchica come filosofia di vita, era stato espulso il 12 luglio dal ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ma un intoppo negli ingranaggi della giustizia - per ora - l'ha salvato dal provvedimento e anche dalla detenzione. Ieri mattina è stato proprio il ministro a sfogarsi: «Ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo e la sua espulsione è slittata. Poi il giudice di pace non ha convalidato il fermo nel Cpr (Centro di permanenza per rimpatri, ndr) e ora questo potenziale terrorista è tornato libero. Ovviamente non mollo e monitoriamo la situazione, ma la vicenda è vergognosa. Uno schiaffo agli italiani perbene, alle forze dell'ordine e agli inquirenti». E il ministro chiude il messaggio invocando una «riforma della giustizia subito». La reazione dei difensori non si è fatta attendere: «La Cedu», spiegano gli avvocati Ettore Grenci, Cinzia Brandalise e Alessia Lauri, «ha espresso seri dubbi sulla legittimità dell'espulsione». E quindi, secondo il collegio difensivo, i commenti del ministro dell'Interno rischiano la «delegittimazione, agli occhi della pubblica opinione, di organi giurisdizionali sovranazionali e nazionali».I fatti. Dopo la firma del decreto di espulsione, lunedì 15 la polizia si è presentata a casa del «Divo», così il nigeriano viene soprannominato dai compagni anarchici bolognesi nelle intercettazioni, per accompagnarlo dal giudice. Dopo la convalida della misura, Umoru è stato accompagnato all'aeroporto di Milano Malpensa, dove è stato trattenuto in attesa dell'espulsione, diventata esecutiva dalle 18.53 di lunedì (orario di termine dell'udienza) e da effettuare entro le 48 ore successive. Per sospendere l'ordinanza ministeriale, gli avvocati del nigeriano hanno presentato il ricorso alla Cedu. L'accoglimento ha, quindi, stoppato le procedure. E il Divo è stato spedito a Bari, nel Centro di permanenza per il rimpatrio, in attesa dell'udienza davanti al giudice di pace - che si è svolta venerdì- per ridiscutere l'espulsione. Qui, un secondo colpo di scena: il Divo è stato rimesso in libertà. «Tutti gli elementi rappresentati dalla Questura non possono che concretizzare meri indizi della asserita pericolosità, mai cristallizzata in provvedimenti giurisdizionali», scrive il giudice di pace di Bari, Giuseppina Di Nubila. Probabilmente Divine è già a Bologna, nell'abitazione in cui sono state trovate e sequestrate le formule chimiche per assemblare pericolosi esplosivi e nella quale, a leggere gli atti dell'inchiesta sugli anarchici bolognesi, «si svolgevano le riunioni con i compagni e si studiavano i piani». Del resto, a ogni guaio giudiziario di Divine, i compagni non gli hanno fatto mai mancare supporto e sostegno. All'indomani dell'arresto per gli esplosivi, gli investigatori intercettarono una mail da soccorso rosso che negli atti dell'inchiesta è riassunta così: «Firozpoor (Robert Firozpoor, 23 anni, di origine iraniana e infermiere nel Modenese, secondo gli investigatori attivo nel Laboratorio libertario Ligera di Modena, ndr) si sincera che Umoru abbia nominato un avvocato d'area, si prodiga a recapitargli in carcere soldi e viveri e organizza due manifestazioni di protesta». Proprio come a Malpensa. Mentre Divine era negli uffici della polizia di frontiera, un gruppo di compagni attorno alle 19 si è presentato in aeroporto con tanto di striscioni e megafono. È finito tutto in una relazione della Digos, alla quale è allegato un comunicato stampa firmato «Compagni di Divine» e diffuso quello stesso giorno. Eccone alcuni stralci: «Non è un caso che sia stato mandato proprio presso il Cpr di Bari, uno dei lager peggiori d'Italia se non il peggiore, conosciuto per la violazione dei diritti umani, che lo rendono agli occhi di tutti una struttura duramente punitiva in cui spesso vengono deportati migranti ribelli». Perché quella contro i centri per il rimpatrio è una delle nuove battaglie degli anarchici, tanto da allarmare il Viminale che a gennaio ha inviato a diverse Questure interessate un alert su un possibile collante tra l'area anarchica legata alla Federazione anarchica informale e al Fronte rivoluzionario internazionale e gli immigrati detenuti nei centri. Tra i quali, spesso, riescono a fare proseliti. I compagni da tempo ritengono Umoru uno di loro. E infatti nel comunicato annunciano battaglia: «In questi giorni la solidarietà è stata forte e ha reso chiaro a sbirri e magistrati che Divine non è solo e che le loro sporche manovre almeno in questo caso non passeranno sotto silenzio». Ed ecco l'annuncio che preoccupa la Digos: «Ora è importante che la nostra voce si alzi ancora di più contro le mura di quella fottuta gabbia».
        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
    
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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        Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)