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2023-10-18
Esplode ospedale a Gaza, centinaia di morti
Getty Images
Nell’attesa di un’ipotetica invasione di terra di Israele, l’esplosione di una bomba su un ospedale a Gaza rischia di mettere in crisi qualunque tentativo di mediazione. Nel tardo pomeriggio di ieri, un raid dell’esercito israeliano aveva colpito una scuola a Gaza gestita dall’Unrwa, l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, provocando sei morti. Un secondo attacco israeliano, ha scritto il Guardian citando le autorità palestinesi della Striscia, avrebbe poi colpito un complesso ospedaliero, l’Al-Ahli Arabi Baptist Hospital al centro di Gaza, provocando almeno 500 morti. Secondo Al Jazeera la maggior parte dei feriti sarebbero donne e bambini. Immediate le reazioni di tutti gli attori in gioco. Mentre la situazione sul campo era ancora da chiarire, il presidente palestinese, Abu Mazen, per questo ha proclamato tre giorni di lutto. Il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, ha risposto indirettamente dicendo i non sapere se l’esplosione sia stata causata da un colpo israeliano. «Ci sono molti raid aerei, molti lanci falliti di missili e tante fake news di Hamas», ha commentato Hagari. In serata l’ipotesi dell’esercito israeliano si è assestata su un possibile lancio fallito di un missile da parte di Hamas, che avrebbe provocato la strage. Ambigua come sempre l’Unione europea. Se da un lato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha dichiarato che il raid «non è in linea con il diritto internazionale», dall’altro Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, ha declinato ogni commento, aspettando «conferme».Nel pomeriggio Gerusalemme sembrava voler abbassare la tensione: «Ci stiamo preparando per le prossime fasi della guerra. Tutti parlano dell’offensiva di terra. Potrebbe essere qualcosa di diverso». Queste le parole del portavoce delle Forze di difesa israeliane (Idf), Richard Hecht, che segnano una svolta: tutto il mondo infatti sta aspettando l’invasione di terra a Gaza da parte di Israele. A questo punto, a meno che le dichiarazioni di Hecht non siano solo tattica, l’ipotesi di una strategia mirata a colpire i sanguinari terroristi di Hamas, senza colpire tutta la popolazione della Striscia, diventa un’opzione militare in campo.
La svolta dell’Idf è probabilmente collegata alla visita di Biden in Israele: dare il via all’invasione mentre il presidente Usa è a Tel Aviv sarebbe uno sgarbo diplomatico eclatante. C’è da capire poi il destino dei profughi palestinesi che, come sempre, nessuno dei Paesi vicini vuole nel proprio territorio: non è da escludere che arrivino in Europa, come accaduto per i siriani. L’ordine di evacuazione dal Nord della Striscia impartito da Israele riguarda più di un milione di persone. «Il combattimento a Gaza sarà condotto nei prossimi giorni con grande forza», ha detto Netanyahu in visita a una base delle forze speciali. Parole che non sciolgono il nodo: ci sarà l’invasione o continueranno i raid?
Va anche detto, a proposito della possibilità di non procedere con l’invasione, che i raid mirati di Israele stanno producendo risultati importanti: ieri è stato eliminato uno dei principali leader di Hamas, Ayman Nofal, e l’esercito ha annunciato anche la morte di Osama Mazini, capo del Consiglio della Shura, la direzione politico religiosa dell’organizzazione terroristica. Stando all’Idf, sono stati oltre 200 gli obiettivi di Hamas e della jihad islamica a Gaza colpiti nelle ultime 24 ore: quartieri generali, depositi di armi e anche una banca usata dalla fazione per finanziare le sue attività.
A quanto riferisce poi Haaretz, un attacco dell’Idf nella Striscia avrebbe eliminato anche tre membri della famiglia del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, tra i quali uno dei figli, Hazem Isma. Secondo la radio di Hamas, sarebbero stati eliminati anche il responsabile per i valichi dell’organizzazione, Fouad Abu Btihan, e alcuni suoi familiari. Decine di razzi sono stati lanciati da Gaza vero Israele.
Sempre caldo anche il confine con il Libano. Ieri mattina un razzo anticarro è esploso nella cittadina di Metulla nella Alta Galilea e due persone sono rimaste ferite. Già gran parte degli abitanti erano sfollati, e il sindaco ha chiesto a quanti sono rimasti di partire. Secondo i media questo attacco è stato rivendicato da Hezbollah, il partito armato filoiraniano di stanza in Libano. L’artiglieria israeliana ha risposto bersagliando le colline del Sud del Libano a ridosso della Linea blu. Nel corso del bombardamento, i caschi blu dell’Onu provenienti dal Ghana, di cui fanno parte un migliaio di italiani, hanno aperto le porte di una delle loro basi per far entrare i civili.
Gli attacchi contro i civili e il personale delle Nazioni Unite, ha dichiarato ieri il portavoce della missione di interposizione di Unifil, Andrea Tenenti, a quanto riporta Nova, «costituiscono violazioni del diritto internazionale che possono essere considerate crimini di guerra. Negli ultimi giorni più volte abbiamo aperto le nostre porte ai civili esposti a minacce imminenti», ha aggiunto Tenenti, «è stato fornito un rifugio ai civili in una delle postazioni del contingente ghanese, nei pressi di Dhaira, Tuttavia, se non sussiste una minaccia imminente, le persone potrebbero non essere autorizzate ad accedere alle postazioni dell’Onu. Ricordiamo a tutte le parti in causa che gli attacchi contro i civili o contro il personale delle Nazioni Unite», ha sottolineato Tenenti, «costituiscono violazioni del diritto internazionale». A quanto riferiscono diverse fonti internazionali, l’arrivo in zona delle portaerei americane avrebbe l’obiettivo di scoraggiare Hezbollah.
«Un razzo della Jihad Islamica puntato contro Israele ha colpito l’ospedale di Gaza». Il comunicato dell'Idf
«Israele non bombarda gli ospedali». Ferma e decisa la difesa del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Le sue parole sono arrivate appena dopo la strage dell'ospedale di Gaza. Strage per cui Hamas si è affrettata a puntare il dito subito contro i raid dell'esercito israeliano. Fin dal principio però la versione data per certa da parte dei terroristi, mostrava qualche punto oscuro. Poi, intorno alle 22 e 40 di ieri sera, il comunicato: «L’analisi dei sistemi operativi delle Forze di Difesa israeliane indica che una salva di razzi è stata sparata da terroristi a Gaza ed è passata vicino all’ospedale Al Ahli di Gaza quando è stato colpito. Fonti d’intelligence multiple in nostro possesso indicano che la Jihad islamica è responsabile per il lancio fallito di un razzo che ha colpito l’ospedale a Gaza». In seguito l'Idf ha diffuso un video sui social che mostra un vettore che esplode nel cielo, seguito da un'esplosione a terra. Nel post si legge «Un razzo della Jihad Islamica puntato contro Israele ha colpito l’ospedale di Gaza». E ancora: «I media di tutto il mondo si sono affrettati a dare la notizia di Hamas, senza verificare i fatti. Ora sappiamo che un razzo della Jihad Islamica puntato contro Israele ha colpito l’ospedale di Gaza». La Jihad islamica replica alle accuse: «Stanno cercando di sottrarsi alla responsabilità del brutale massacro commesso».
Ma questo video non è la sola prova a supporto della versione israeliana. Infatti non è la prima volta che un razzo lanciato verso le città israeliane cade corto sui tetti di Gaza. A maggio, su 507 razzi lanciati dalla Jihad islamica 110 sono caduti dentro alla Striscia uccidendo quattro civili. In un altro video, preso da una camera di sorveglianza nella fattoria di Netiv Haasara appena fuori dalla Striscia, mostra una salva di razzi e un’esplosione in contemporanea a terra come se uno dei razzi fosse caduto.
Biden vola da Bibi per evitare il peggio ma sulla coscienza ha la topica iraniana
È un viaggio particolarmente delicato quello che attende oggi Joe Biden in Medio Oriente. L’inquilino della Casa Bianca si recherà innanzitutto in Israele, dove avrà un faccia a faccia con Benjamin Netanyahu. A seguire, si sposterà in Giordania, per incontrare ad Amman re Abd Allah II, il presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sisi, e il presidente dell’Anp, Mahmud Abbas (che ha avuto ieri un meeting con il segretario di Stato Usa, Tony Blinken). «Sarà un viaggio veloce nel corso di un solo giorno, ma arriva in un momento molto critico e c’è moltissimo all’ordine del giorno», ha detto il portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale americano, John Kirby. In riferimento alla situazione nella Striscia di Gaza, lo stesso Kirby ha anche aggiunto che Biden «chiarirà che vogliamo continuare a lavorare con tutti i nostri partner nella regione, compreso Israele, per ottenere assistenza umanitaria e per fornire un passaggio sicuro affinché i civili possano uscire». Secondo Sky News, anche il premier britannico Rishi Sunak visiterà Israele a breve.
Gli obiettivi a cui il presidente americano tende sono molteplici. Innanzitutto punta a ribadire il sostegno di Washington allo Stato ebraico a seguito del brutale attacco di Hamas. In secondo luogo, Biden sta cercando di convincere Netanyahu ad adottare una reazione proporzionata. Di recente ha, non a caso, definito un «grande errore» l’eventuale occupazione militare della Striscia di Gaza: secondo la Casa Bianca, Israele dovrebbe concentrarsi pressoché esclusivamente sul contrasto ad Hamas. È d’altronde in quest’ottica che, con ogni probabilità, Biden cercherà di salvaguardare i rapporti tra Israele e alcuni Paesi arabi: l’obiettivo è, cioè, quello di scongiurare il rischio di isolamento dello Stato ebraico nello scacchiere mediorientale. Le Forze di difesa israeliane hanno comunque fatto sapere che la visita del presidente Usa non ritarderà l’offensiva via terra contro Gaza. «Non stiamo dettando termini o indicazioni operative agli israeliani», aveva detto poco prima Kirby, riferendosi alla preparazione dell’offensiva di terra.
Un ulteriore dossier sul tavolo è poi quello degli ostaggi americani in mano ad Hamas. Anche se si tratta di numeri contenuti, bisogna tener presente che Biden è un presidente in campagna elettorale per la riconferma l’anno prossimo: la storia americana insegna che queste problematiche possono azzoppare le chance di vittoria degli inquilini della Casa Bianca in cerca di rielezione (basti pensare alla sconfitta di Jimmy Carter nel 1980, in parte dovuta alla crisi degli ostaggi in Iran).
Un altro nodo che Biden dovrà affrontare oggi è quello dei rifugiati palestinesi. Ieri, Abd Allah II ha chiaramente affermato che né la Giordania né l’Egitto accetteranno. «Non ci saranno rifugiati in Giordania, né in Egitto», ha detto durante una conferenza stampa congiunta con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Hamas, dal canto suo, ha criticato la Casa Bianca, accusandola di «essersi innamorata della narrazione israeliana». Nel frattempo, l’amministrazione statunitense ha annunciato che circa 2.000 soldati americani potrebbero essere presto schierati in Medio Oriente come «segnale di deterrenza».
Ora, è senza dubbio comprensibile che Biden stia cercando di coniugare il sostegno a Israele con l’obiettivo di impedire un allargamento del conflitto. Il presidente però dovrà sciogliere alcuni nodi significativi. Innanzitutto va tenuto presente che, nel corso degli ultimi due anni e mezzo, è assai cresciuta l’influenza di Russia e Cina sul Medio Oriente a discapito di Washington. In secondo luogo, Biden dovrebbe prendere di petto il dossier iraniano. È ormai chiaro che il suo appeasement verso Teheran ha portato a un rafforzamento del regime degli ayatollah, che, secondo il Wall Street Journal e il New York Times, è coinvolto nell’attacco del 7 ottobre. Inoltre Teheran continua nella sua retorica minacciosa. «Se i crimini del regime sionista continuano, i musulmani e le forze della resistenza diventeranno insofferenti e nessunoli fermerà», ha tuonato ieri l’ayatollah Ali Khamenei. «I bombardamenti dovrebbero essere immediatamente fermati, le nazioni musulmane sono arrabbiate», ha aggiunto, chiedendo anche che i funzionari israeliani vengano messi sotto processo.
Ecco: se vuole avere successo con il suo viaggio mediorientale, Biden dovrebbe urgentemente rispolverare la politica trumpista di «massima pressione» nei confronti di Teheran: una mossa che assesterebbe un colpo al regime khomeinista e, di conseguenza, ai gruppi paramilitari che esso sostiene (non solo Hamas ma anche Hezbollah). Solo in questo modo, la Casa Bianca potrebbe aiutare Israele a ripristinare la deterrenza, allontanando contemporaneamente lo scenario di una reazione sproporzionata da parte di Netanyahu. Inoltre, solo in questo modo gli Usa potrebbero forse riuscire a garantire a vari Paesi arabi un senso di protezione rispetto all’iperattivismo regionale di Teheran. Purtroppo ieri la Casa Bianca è tornata a minimizzare il ruolo iraniano nella crisi in corso, negando che il suo coinvolgimento stia aumentando, «fatta eccezione per la retorica». Eppure la questione iraniana sta avendo un impatto significativo anche nella politica interna americana. Un gruppo bipartisan di 113 deputati statunitensi ha inviato una lettera al presidente, chiedendo che «l’Iran sia ritenuto pienamente responsabile per il suo ruolo nel finanziare Hamas e il terrorismo islamico». Biden capirà finalmente che è l’Iran a essere l’origine del problema?
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Hamas accusa Israele, ma l'Idf mostra un video: «Un razzo della Jihad Islamica puntato contro Israele ha colpito l’ospedale di Gaza». Joe Biden «frena» l’invasione. Missione lampo del presidente Usa, atteso anche dal mondo arabo. Pressing sul Cairo: l’esodo palestinese dev’essere gestito.Lo speciale contiene tre articoli.Nell’attesa di un’ipotetica invasione di terra di Israele, l’esplosione di una bomba su un ospedale a Gaza rischia di mettere in crisi qualunque tentativo di mediazione. Nel tardo pomeriggio di ieri, un raid dell’esercito israeliano aveva colpito una scuola a Gaza gestita dall’Unrwa, l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, provocando sei morti. Un secondo attacco israeliano, ha scritto il Guardian citando le autorità palestinesi della Striscia, avrebbe poi colpito un complesso ospedaliero, l’Al-Ahli Arabi Baptist Hospital al centro di Gaza, provocando almeno 500 morti. Secondo Al Jazeera la maggior parte dei feriti sarebbero donne e bambini. Immediate le reazioni di tutti gli attori in gioco. Mentre la situazione sul campo era ancora da chiarire, il presidente palestinese, Abu Mazen, per questo ha proclamato tre giorni di lutto. Il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, ha risposto indirettamente dicendo i non sapere se l’esplosione sia stata causata da un colpo israeliano. «Ci sono molti raid aerei, molti lanci falliti di missili e tante fake news di Hamas», ha commentato Hagari. In serata l’ipotesi dell’esercito israeliano si è assestata su un possibile lancio fallito di un missile da parte di Hamas, che avrebbe provocato la strage. Ambigua come sempre l’Unione europea. Se da un lato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha dichiarato che il raid «non è in linea con il diritto internazionale», dall’altro Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, ha declinato ogni commento, aspettando «conferme».Nel pomeriggio Gerusalemme sembrava voler abbassare la tensione: «Ci stiamo preparando per le prossime fasi della guerra. Tutti parlano dell’offensiva di terra. Potrebbe essere qualcosa di diverso». Queste le parole del portavoce delle Forze di difesa israeliane (Idf), Richard Hecht, che segnano una svolta: tutto il mondo infatti sta aspettando l’invasione di terra a Gaza da parte di Israele. A questo punto, a meno che le dichiarazioni di Hecht non siano solo tattica, l’ipotesi di una strategia mirata a colpire i sanguinari terroristi di Hamas, senza colpire tutta la popolazione della Striscia, diventa un’opzione militare in campo. La svolta dell’Idf è probabilmente collegata alla visita di Biden in Israele: dare il via all’invasione mentre il presidente Usa è a Tel Aviv sarebbe uno sgarbo diplomatico eclatante. C’è da capire poi il destino dei profughi palestinesi che, come sempre, nessuno dei Paesi vicini vuole nel proprio territorio: non è da escludere che arrivino in Europa, come accaduto per i siriani. L’ordine di evacuazione dal Nord della Striscia impartito da Israele riguarda più di un milione di persone. «Il combattimento a Gaza sarà condotto nei prossimi giorni con grande forza», ha detto Netanyahu in visita a una base delle forze speciali. Parole che non sciolgono il nodo: ci sarà l’invasione o continueranno i raid? Va anche detto, a proposito della possibilità di non procedere con l’invasione, che i raid mirati di Israele stanno producendo risultati importanti: ieri è stato eliminato uno dei principali leader di Hamas, Ayman Nofal, e l’esercito ha annunciato anche la morte di Osama Mazini, capo del Consiglio della Shura, la direzione politico religiosa dell’organizzazione terroristica. Stando all’Idf, sono stati oltre 200 gli obiettivi di Hamas e della jihad islamica a Gaza colpiti nelle ultime 24 ore: quartieri generali, depositi di armi e anche una banca usata dalla fazione per finanziare le sue attività. A quanto riferisce poi Haaretz, un attacco dell’Idf nella Striscia avrebbe eliminato anche tre membri della famiglia del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, tra i quali uno dei figli, Hazem Isma. Secondo la radio di Hamas, sarebbero stati eliminati anche il responsabile per i valichi dell’organizzazione, Fouad Abu Btihan, e alcuni suoi familiari. Decine di razzi sono stati lanciati da Gaza vero Israele.Sempre caldo anche il confine con il Libano. Ieri mattina un razzo anticarro è esploso nella cittadina di Metulla nella Alta Galilea e due persone sono rimaste ferite. Già gran parte degli abitanti erano sfollati, e il sindaco ha chiesto a quanti sono rimasti di partire. Secondo i media questo attacco è stato rivendicato da Hezbollah, il partito armato filoiraniano di stanza in Libano. L’artiglieria israeliana ha risposto bersagliando le colline del Sud del Libano a ridosso della Linea blu. Nel corso del bombardamento, i caschi blu dell’Onu provenienti dal Ghana, di cui fanno parte un migliaio di italiani, hanno aperto le porte di una delle loro basi per far entrare i civili. Gli attacchi contro i civili e il personale delle Nazioni Unite, ha dichiarato ieri il portavoce della missione di interposizione di Unifil, Andrea Tenenti, a quanto riporta Nova, «costituiscono violazioni del diritto internazionale che possono essere considerate crimini di guerra. Negli ultimi giorni più volte abbiamo aperto le nostre porte ai civili esposti a minacce imminenti», ha aggiunto Tenenti, «è stato fornito un rifugio ai civili in una delle postazioni del contingente ghanese, nei pressi di Dhaira, Tuttavia, se non sussiste una minaccia imminente, le persone potrebbero non essere autorizzate ad accedere alle postazioni dell’Onu. Ricordiamo a tutte le parti in causa che gli attacchi contro i civili o contro il personale delle Nazioni Unite», ha sottolineato Tenenti, «costituiscono violazioni del diritto internazionale». A quanto riferiscono diverse fonti internazionali, l’arrivo in zona delle portaerei americane avrebbe l’obiettivo di scoraggiare Hezbollah.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/esplode-ospedale-gaza-centinaia-morti-2666006402.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="un-razzo-della-jihad-islamica-puntato-contro-israele-ha-colpito-lospedale-di-gaza-il-comunicato-dell-idf" data-post-id="2666006402" data-published-at="1697627535" data-use-pagination="False"> «Un razzo della Jihad Islamica puntato contro Israele ha colpito l’ospedale di Gaza». Il comunicato dell'Idf «Israele non bombarda gli ospedali». Ferma e decisa la difesa del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Le sue parole sono arrivate appena dopo la strage dell'ospedale di Gaza. Strage per cui Hamas si è affrettata a puntare il dito subito contro i raid dell'esercito israeliano. Fin dal principio però la versione data per certa da parte dei terroristi, mostrava qualche punto oscuro. Poi, intorno alle 22 e 40 di ieri sera, il comunicato: «L’analisi dei sistemi operativi delle Forze di Difesa israeliane indica che una salva di razzi è stata sparata da terroristi a Gaza ed è passata vicino all’ospedale Al Ahli di Gaza quando è stato colpito. Fonti d’intelligence multiple in nostro possesso indicano che la Jihad islamica è responsabile per il lancio fallito di un razzo che ha colpito l’ospedale a Gaza». In seguito l'Idf ha diffuso un video sui social che mostra un vettore che esplode nel cielo, seguito da un'esplosione a terra. Nel post si legge «Un razzo della Jihad Islamica puntato contro Israele ha colpito l’ospedale di Gaza». E ancora: «I media di tutto il mondo si sono affrettati a dare la notizia di Hamas, senza verificare i fatti. Ora sappiamo che un razzo della Jihad Islamica puntato contro Israele ha colpito l’ospedale di Gaza». La Jihad islamica replica alle accuse: «Stanno cercando di sottrarsi alla responsabilità del brutale massacro commesso».Ma questo video non è la sola prova a supporto della versione israeliana. Infatti non è la prima volta che un razzo lanciato verso le città israeliane cade corto sui tetti di Gaza. A maggio, su 507 razzi lanciati dalla Jihad islamica 110 sono caduti dentro alla Striscia uccidendo quattro civili. 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A seguire, si sposterà in Giordania, per incontrare ad Amman re Abd Allah II, il presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sisi, e il presidente dell’Anp, Mahmud Abbas (che ha avuto ieri un meeting con il segretario di Stato Usa, Tony Blinken). «Sarà un viaggio veloce nel corso di un solo giorno, ma arriva in un momento molto critico e c’è moltissimo all’ordine del giorno», ha detto il portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale americano, John Kirby. In riferimento alla situazione nella Striscia di Gaza, lo stesso Kirby ha anche aggiunto che Biden «chiarirà che vogliamo continuare a lavorare con tutti i nostri partner nella regione, compreso Israele, per ottenere assistenza umanitaria e per fornire un passaggio sicuro affinché i civili possano uscire». Secondo Sky News, anche il premier britannico Rishi Sunak visiterà Israele a breve. Gli obiettivi a cui il presidente americano tende sono molteplici. Innanzitutto punta a ribadire il sostegno di Washington allo Stato ebraico a seguito del brutale attacco di Hamas. In secondo luogo, Biden sta cercando di convincere Netanyahu ad adottare una reazione proporzionata. Di recente ha, non a caso, definito un «grande errore» l’eventuale occupazione militare della Striscia di Gaza: secondo la Casa Bianca, Israele dovrebbe concentrarsi pressoché esclusivamente sul contrasto ad Hamas. È d’altronde in quest’ottica che, con ogni probabilità, Biden cercherà di salvaguardare i rapporti tra Israele e alcuni Paesi arabi: l’obiettivo è, cioè, quello di scongiurare il rischio di isolamento dello Stato ebraico nello scacchiere mediorientale. Le Forze di difesa israeliane hanno comunque fatto sapere che la visita del presidente Usa non ritarderà l’offensiva via terra contro Gaza. «Non stiamo dettando termini o indicazioni operative agli israeliani», aveva detto poco prima Kirby, riferendosi alla preparazione dell’offensiva di terra. Un ulteriore dossier sul tavolo è poi quello degli ostaggi americani in mano ad Hamas. Anche se si tratta di numeri contenuti, bisogna tener presente che Biden è un presidente in campagna elettorale per la riconferma l’anno prossimo: la storia americana insegna che queste problematiche possono azzoppare le chance di vittoria degli inquilini della Casa Bianca in cerca di rielezione (basti pensare alla sconfitta di Jimmy Carter nel 1980, in parte dovuta alla crisi degli ostaggi in Iran). Un altro nodo che Biden dovrà affrontare oggi è quello dei rifugiati palestinesi. Ieri, Abd Allah II ha chiaramente affermato che né la Giordania né l’Egitto accetteranno. «Non ci saranno rifugiati in Giordania, né in Egitto», ha detto durante una conferenza stampa congiunta con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Hamas, dal canto suo, ha criticato la Casa Bianca, accusandola di «essersi innamorata della narrazione israeliana». Nel frattempo, l’amministrazione statunitense ha annunciato che circa 2.000 soldati americani potrebbero essere presto schierati in Medio Oriente come «segnale di deterrenza». Ora, è senza dubbio comprensibile che Biden stia cercando di coniugare il sostegno a Israele con l’obiettivo di impedire un allargamento del conflitto. Il presidente però dovrà sciogliere alcuni nodi significativi. Innanzitutto va tenuto presente che, nel corso degli ultimi due anni e mezzo, è assai cresciuta l’influenza di Russia e Cina sul Medio Oriente a discapito di Washington. In secondo luogo, Biden dovrebbe prendere di petto il dossier iraniano. È ormai chiaro che il suo appeasement verso Teheran ha portato a un rafforzamento del regime degli ayatollah, che, secondo il Wall Street Journal e il New York Times, è coinvolto nell’attacco del 7 ottobre. Inoltre Teheran continua nella sua retorica minacciosa. «Se i crimini del regime sionista continuano, i musulmani e le forze della resistenza diventeranno insofferenti e nessunoli fermerà», ha tuonato ieri l’ayatollah Ali Khamenei. «I bombardamenti dovrebbero essere immediatamente fermati, le nazioni musulmane sono arrabbiate», ha aggiunto, chiedendo anche che i funzionari israeliani vengano messi sotto processo. Ecco: se vuole avere successo con il suo viaggio mediorientale, Biden dovrebbe urgentemente rispolverare la politica trumpista di «massima pressione» nei confronti di Teheran: una mossa che assesterebbe un colpo al regime khomeinista e, di conseguenza, ai gruppi paramilitari che esso sostiene (non solo Hamas ma anche Hezbollah). Solo in questo modo, la Casa Bianca potrebbe aiutare Israele a ripristinare la deterrenza, allontanando contemporaneamente lo scenario di una reazione sproporzionata da parte di Netanyahu. Inoltre, solo in questo modo gli Usa potrebbero forse riuscire a garantire a vari Paesi arabi un senso di protezione rispetto all’iperattivismo regionale di Teheran. Purtroppo ieri la Casa Bianca è tornata a minimizzare il ruolo iraniano nella crisi in corso, negando che il suo coinvolgimento stia aumentando, «fatta eccezione per la retorica». Eppure la questione iraniana sta avendo un impatto significativo anche nella politica interna americana. Un gruppo bipartisan di 113 deputati statunitensi ha inviato una lettera al presidente, chiedendo che «l’Iran sia ritenuto pienamente responsabile per il suo ruolo nel finanziare Hamas e il terrorismo islamico». Biden capirà finalmente che è l’Iran a essere l’origine del problema?
Friedrich Merz (Ansa)
Il dissenso della gioventù aveva provocato forti tensioni all’interno della maggioranza tanto da far rischiare la prima crisi di governo seria per Merz. Il via libera del parlamento tedesco, dunque, segna di fatto una crisi politica enorme e pure lo scollamento della democrazia tra maggioranza effettiva e maggioranza dopata. Come già era accaduto in Francia, la materia pensionistica è l’iceberg contro cui si schiantano i… Titanic: Macron prima, Merz adesso. Il presidente francese sulle pensioni ha visto la rottura dei suoi governi per l’incalzare di rivolte popolari e questo in carica guidato da Lecornu ha dovuto congelare la materia per non lasciarci le penne. Del resto in Europa non è il solo che naviga a vista, non curante della sfiducia nel Paese: in Spagna il governo Sánchez è in piena crisi di consensi per i casi di corruzione scoppiati nel partito e in casa, e pure l’accordo coi i catalani e coi baschi rischia di far deragliare l’esecutivo sulla finanziaria. In Olanda non c’è ancora un governo. In Belgio il primo ministro De Wever ha chiesto altro tempo al re Filippo per superare lo stallo sulla legge di bilancio che si annuncia lacrime e sangue. In Germania - dicevamo - il governo si è salvato per l’appoggio determinante della sinistra radicale, aprendo quindi un tema politico che lascerà strascichi dei quali beneficerà Afd, partito assai attrattivo proprio tra i giovani.
I tre voti con i quali Merz si è salvato peseranno tantissimo e manterranno acceso il dibattito proprio su una questione ancestrale: l’aumento del debito pubblico. «Questo disegno di legge va contro le mie convinzioni fondamentali, contro tutto ciò per cui sono entrato in politica», ha dichiarato a nome della Junge Union Gruppe Pascal Reddig durante il dibattito. Lui è uno dei diciotto che avrebbe voluto affossare la stabilizzazione previdenziale anche a costo di mandare sotto il governo: il gruppo dei giovani non aveva mai preso in considerazione l’idea di caricare sulle spalle delle future generazioni 115 miliardi di costi aggiuntivi a partire dal 2031.
E senza quei 18 sì, il governo sarebbe finito al tappeto. Quindi ecco la solita minestrina riscaldata della sopravvivenza politica a qualsiasi costo: l’astensione dai banchi dell’opposizione del partito di estrema sinistra Die Linke, per effetto della quale si è ridotto il numero di voti necessari per l'approvazione. E i giovani? E le loro idee?
Merz ha affermato che le preoccupazioni della Junge Union saranno prese in considerazione in una revisione più ampia del sistema pensionistico prevista per il 2026, che affronterà anche la spinosa questione dell'innalzamento dell'età pensionabile. Un bel modo per cercare di salvare il salvabile. Anche se ora arriva pure la tegola della riforma della leva: il parlamento tedesco ha infatti approvato la modernizzazione del servizio militare nel Paese, introducendo una visita medica obbligatoria per i giovani diciottenni e la possibilità di ripristinare la leva obbligatoria in caso di carenza di volontari. Un altro passo verso la piena militarizzazione, materia su cui l’opinione pubblica tedesca è in profondo disaccordo e che Afd sta cavalcando. Sempre che la democrazia non deciderà di fermare Afd…
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«The Rainmaker» (Sky)
The Rainmaker, versione serie televisiva, sarà disponibile su Sky Exclusive a partire dalla prima serata di venerdì 5 dicembre. E allora l'abisso immenso della legalità, i suoi chiaroscuri, le zone d'ombra soggette a manovre e interpretazioni personali torneranno protagonisti. Non a Memphis, dov'era ambientato il romanzo originale, bensì a Charleston, nella Carolina del Sud.
Il rainmaker di Grisham, il ragazzo che - fresco di laurea - aveva fantasticato sulla possibilità di essere l'uomo della pioggia in uno degli studi legali più prestigiosi di Memphis, è lontano dal suo corrispettivo moderno. E non solo per via di una città diversa. Rudy Baylor, stesso nome, stesso percorso dell'originale, ha l'anima candida del giovane di belle speranze, certo che sia tutto possibile, che le idee valgano più dei fatti. Ma quando, appena dopo la laurea in Giurisprudenza, si trova tirocinante all'interno di uno studio fra i più blasonati, capisce bene di aver peccato: troppo romanticismo, troppo incanto. In una parola, troppa ingenuità.
Rudy Baylor avrebbe voluto essere colui che poteva portare più clienti al suddetto studio. Invece, finisce per scontrarsi con un collega più anziano nel giorno dell'esordio, i suoi sogni impacchettati come fossero cosa di poco conto. Rudy deve trovare altro: un altro impiego, un'altra strada. E finisce per trovarla accanto a Bruiser Stone, qui donna, ben lontana dall'essere una professionista integerrima. Qui, i percorsi divergono.
The Rainmaker, versione serie televisiva, si discosta da The Rainmaker versione carta o versione film. Cambia la trama, non, però, la sostanza. Quel che lo show, in dieci episodi, vuole cercare di raccontare quanto complessa possa essere l'applicazione nel mondo reale di categorie di pensiero apprese in astratto. I confini sono labili, ciascuno disposto ad estenderli così da inglobarvi il proprio interesse personale. Quel che dovrebbe essere scontato e oggettivo, la definizione di giusto o sbagliato, sfuma. E non vi è più certezza. Nemmeno quella basilare del singolo, che credeva di aver capito quanto meno se stesso. Rudy Baylor, all'interno di questa serie, a mezza via tra giallo e legal drama, deve, dunque, fare quel che ha fatto il suo predecessore: smettere ogni sua certezza e camminare al di fuori della propria zona di comfort, alla ricerca perpetua di un compromesso che non gli tolga il sonno.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Mentre l’Europa è strangolata da una crisi industriale senza precedenti, la Commissione europea offre alla casa automobilistica tedesca una tregua dalle misure anti-sovvenzioni. Questo armistizio, richiesto da VW Anhui, che produce il modello Cupra in Cina, rappresenta la chiusura del cerchio della de-industrializzazione europea. Attualmente, la VW paga un dazio anti-sovvenzione del 20,7 per cento sui modelli Cupra fabbricati in Cina, che si aggiunge alla tariffa base del 10 per cento. L’offerta di VW, avanzata attraverso la sua sussidiaria Seat/Cupra, propone, in alternativa al dazio, una quota di importazione annuale e un prezzo minimo di importazione, meccanismi che, se accettati da Bruxelles, esenterebbero il colosso tedesco dal pagare i dazi. Non si tratta di una congiuntura, ma di un disegno premeditato. Pochi giorni fa, la stessa Volkswagen ha annunciato come un trionfo di essere in grado di produrre veicoli elettrici interamente sviluppati e realizzati in Cina per la metà del costo rispetto alla produzione in Europa, grazie alle efficienze della catena di approvvigionamento, all’acquisto di batterie e ai costi del lavoro notevolmente inferiori. Per dare un’idea della voragine competitiva, secondo una analisi Reuters del 2024 un operaio VW tedesco costa in media 59 euro l’ora, contro i soli 3 dollari l’ora in Cina. L’intera base produttiva europea è già in ginocchio. La pressione dei sindacati e dei politici tedeschi per produrre veicoli elettrici in patria, nel tentativo di tutelare i posti di lavoro, si è trasformata in un calice avvelenato, secondo una azzeccata espressione dell’analista Justin Cox.
I dati sono impietosi: l’utilizzo medio della capacità produttiva nelle fabbriche di veicoli leggeri in Europa è sceso al 60% nel 2023, ma nei paesi ad alto costo (Germania, Francia, Italia e Regno Unito) è crollato al 54%. Una capacità di utilizzo inferiore al 70% è considerata il minimo per la redditività.
Il risultato? Centinaia di migliaia di posti di lavoro che rischiano di scomparire in breve tempo. Volkswagen, che ha investito miliardi in Cina nel tentativo di rimanere competitiva su quel mercato, sta tagliando drasticamente l’occupazione in patria. L’accordo con i sindacati prevede la soppressione di 35.000 posti di lavoro entro il 2030 in Germania. Il marchio VW sta già riducendo la capacità produttiva in Germania del 40%, chiudendo linee per 734.000 veicoli. Persino stabilimenti storici come quello di Osnabrück rischiano la chiusura entro il 2027.
Anziché imporre una protezione doganale forte contro la concorrenza cinese, l’Ue si siede al tavolo per negoziare esenzioni personalizzate per le sue stesse aziende che delocalizzano in Oriente.
Questa politica di suicidio economico ha molto padri, tra cui le case automobilistiche tedesche. Mercedes e Bmw, insieme a VW, fecero pressioni a suo tempo contro l’imposizione di dazi Ue più elevati, temendo che una guerra commerciale potesse danneggiare le loro vendite in Cina, il mercato più grande del mondo e cruciale per i loro profitti. L’Associazione dell’industria automobilistica tedesca (Vda) ha definito i dazi «un errore» e ha sostenuto una soluzione negoziata con Pechino.
La disastrosa svolta all’elettrico imposta da Bruxelles si avvia a essere attenuata con l’apertura (forse) alle immatricolazioni di motori a combustione e ibridi anche dopo il 2035, ma ha creato l’instabilità perfetta per l’ingresso trionfale della Cina nel settore. I produttori europei, combattendo con veicoli elettrici ad alto costo che non vendono come previsto (l’Ev più economico di VW, l’ID.3, costa oltre 36.000 euro), hanno perso quote di mercato e hanno dovuto ridimensionare obiettivi, profitti e occupazione in Europa. A tal riguardo, ieri il premier Giorgia Meloni, insieme ai leader di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria e Ungheria, in una lettera ai vertici Ue, ha esortato l’Unione ad abbandonare, una volta per tutte, il dogmatismo ideologico che ha messo in ginocchio interi settori produttivi, senza peraltro apportare benefici tangibili in termini di emissioni globali». Nel testo, si chiede di mantenere anche dopo il 2035 le ibride e di riconoscere i biocarburanti come carburanti a emissioni zero.
L’Ue, che sempre pretende un primato morale, ha in realtà creato le condizioni perfette per svuotare il continente di produzione industriale. Accettare esenzioni dai dazi sull’import dalle aziende che hanno traslocato in Cina è la beatificazione della delocalizzazione. L’Europa si avvia a diventare uno showroom per prodotti asiatici, con le sue fabbriche ridotte a ruderi. Paradossalmente, diverse case automobilistiche cinesi stanno delocalizzando in Europa, dove progettano di assemblare i veicoli e venderli localmente, aggirando così i dazi europei. La Great Wall Motors progetta di aprire stabilimenti in Spagna e Ungheria per assemblare i veicoli. Anche considerando i più alti costi del lavoro europei (16 euro in Ungheria, dato Reuters), i cinesi pensano di riuscire ad essere più competitivi dei concorrenti locali. Per convenienza, i marchi europei vanno in Cina e quelli cinesi vengono in Europa, insomma. A perderci sono i lavoratori europei.
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