Esercito in campo e divieti stringenti. Trump «picchia duro» sui clandestini
Donald Trump tira dritto sui rimpatri di massa dei clandestini. Ha, in particolare, confermato di volerli attuare, decretando un’emergenza nazionale e utilizzando delle «risorse militari». Non è d’altronde un mistero che la squadra del presidente in pectore stia già lavorando al testo di alcuni ordini esecutivi, che dovrebbero essere pronti da firmare il giorno stesso dell’insediamento. Le stime ufficiali parlano di almeno undici milioni di immigrati irregolari presenti sul territorio statunitense. Non è chiaro, al momento, se Trump punti a espellerli tutti. In particolare, il suo team non ha ancora deciso come comportarsi con i cosiddetti «dreamers», gli irregolari entrati negli Stati Uniti quando erano minorenni. Il presidente in pectore ha comunque già lasciato chiaramente intendere di volersi occupare subito dei clandestini con condanne penali (sarebbero circa 430.000): i primi procedimenti di espulsione saranno infatti diretti contro di loro.
Trump ha due leggi a cui può fare riferimento: il National emergencies act del 1976 (che consente al presidente di proclamare un’emergenza nazionale, attribuendogli i poteri per affrontarla) e l’Alien enemies act del 1798 (che potrebbe essere invocato specificamente per le espulsioni). Politico ha anche riportato che il presidente in pectore sarebbe intenzionato ad abrogare i programmi di libertà vigilata che erano stati concessi agli immigrati provenienti da Cuba, Venezuela e Nicaragua. Non è neanche escluso che possano essere ripristinate le restrizioni di ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di determinati Paesi considerati problematici: restrizioni che, durante la prima amministrazione Trump, avevano visto coinvolti, tra gli altri, Iran, Libia, Corea del Nord, Venezuela, Iraq, Siria, Ciad e Somalia. Resta da chiarire che ruolo avranno le «risorse militari», anche se probabilmente saranno messe a disposizione come supporto agli agenti di frontiera. Del resto, che il tycoon sia intenzionato ad adottare la linea dura è emerso anche dalla nomina di Tom Homan a responsabile del confine meridionale e di Kristi Noem a capo del Dipartimento della Sicurezza interna: si tratta infatti di due falchi in materia di contrasto all’immigrazione irregolare.
Ovviamente i decreti da soli non basteranno per i rimpatri di massa. Il presidente in pectore può contare anche sulla maggioranza repubblicana in entrambe le camere del Congresso, oltre che sulla situazione di estrema debolezza in cui, dopo la disfatta elettorale di Kamala Harris, si trova il Partito democratico. Più che dai dem, Trump dovrà guardarsi semmai dai ricorsi legali che stanno approntando varie organizzazioni progressiste. L’American civil liberties union ha, per esempio, già intentato un’azione legale contro l’Immigration and customs enforcement, per ottenere informazioni su come le autorità federali potranno effettuare i rimpatri di massa.
Come che sia, mentre ieri è stata rimandata la sentenza per il caso Stormy Daniels, è forse utile andare alla radice della linea dura di Trump. Una linea che, condivisibile o meno, viene spesso travisata. Innanzitutto, la questione dell’immigrazione clandestina è stata centrale nell’ultima campagna elettorale: l’amministrazione Biden era infatti debolissima su questo fronte (basti pensare che, nell’anno fiscale 2023, si è registrato il record storico di immigrati intercettati alla frontiera meridionale). La Harris non era inoltre stata in grado di portare a termine il compito affidatole da Joe Biden a marzo 2021: lavorare diplomaticamente, cioè, con i Paesi dell’America centrale per disinnescare i flussi migratori diretti verso gli Stati Uniti. Non a caso, i sondaggi registravano come la maggioranza degli americani fosse scontenta delle politiche migratorie dell’amministrazione Biden.
In secondo luogo, l’avversione di Trump per l’immigrazione clandestina non è dovuta soltanto a ragioni di ordine pubblico e lotta alla criminalità. Né si pone solamente una necessità di deterrenza nei confronti dei migranti. Emerge anche un fattore socioeconomico. A ottobre, partecipando al podcast di Joe Rogan, JD Vance dichiarò: «Penso che negli Stati Uniti ci sia stata una massiccia lobby delle grandi aziende a favore della manodopera a basso costo e questa è la cosa principale che sta succedendo». La lotta all’immigrazione clandestina, in altre parole, va letta anche come lotta al ribasso salariale e come tutela di quella working class che rappresenta il cuore pulsante della coalizione elettorale che ha riportato Trump alla Casa Bianca. Non a caso, nonostante la linea dura sull’immigrazione, il tycoon, quest’anno, ha guadagnato significativamente terreno tra gli elettori ispanici: rispetto al 2020, ha ottenuto 18 punti in più tra gli uomini e sette tra le donne. Infine, ma non meno importante, è possibile che il presidente in pectore voglia puntare molto sulla questione migratoria per accontentare la parte più motivata della sua base e avere poi le mani libere su altri dossier, che potrebbero richiedere scelte meno popolari tra i sostenitori duri e puri (soprattutto in politica estera).





