2020-02-15
«Esco dall’esecutivo, anzi no». Tra Conte e Italia viva la crisi più ridicola di sempre
Matteo Renzi alza la voce sulla prescrizione e paventa avvicendamenti a Palazzo Chigi. Ma nel giro di poche ore il terremoto nella maggioranza finisce a tarallucci e vino.Più che una crisi, un balletto su TikTok, il social network che piace alle ragazzine e ai ragazzini: parte la musichetta, ci si agita un po', ma dopo qualche decina di secondi è tutto finito. È questa la sostanza dello spettacolino interpretato da Matteo Renzi e Giuseppe Conte.Riassunto delle puntate precedenti. L'altra sera, chi fosse andato a letto presto, verso le 22, si sarebbe addormentato con l'idea di un governo irrimediabilmente sull'orlo della crisi: parole grosse, minacce reciproche, assenza dal Consiglio dei ministri delle renziane Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, mentre i due fronti (Palazzo Chigi e Italia viva) lanciavano spin aggressivi: Conte, per far sapere che sarebbe stato prontissimo ad andare a caccia dei mitici «responsabili» in Parlamento per sostituire Renzi (addirittura sfilandogli qualcuno dei suoi deputati e senatori); nell'angolo opposto del ring, il Bullo per far sapere che la legislatura sarebbe potuta andare tranquillamente avanti senza Conte, ma con fantomatici governi guidati da Roberto Gualtieri o addirittura Mario Draghi. Ma sarebbe bastato coricarsi un po' più tardi, l'altra notte, per avere verso l'una un quadro tutto diverso: con l'avvenuta applicazione dell'ennesimo cerotto salva governo. Il Cdm ha adottato infatti una soluzione sulla prescrizione gradita a Renzi nella forma (se non nella sostanza), inserendo il «lodo» oggetto di contestazione dentro un fumoso disegno di legge sulla riforma del processo penale. Morale: un veicolo lentissimo, e la garanzia di poter affrontare in Parlamento il tema della prescrizione, senza accelerazioni. Di più: a notte alta, proprio Conte, che qualche ora prima si era sgualcito la pochette apostrofando i renziani come un'«opposizione maleducata», lasciava trapelare di essere dispiaciuto, «disponibile», a patto che i renziani fossero a loro volta pronti ad abbandonare il «prendere o lasciare». Insomma, tarallucci e vino. Anzi, visto che abbiamo evocato l'immagine del ring: non un ring di pugilato, con colpi e sangue veri, ma un ring di wrestling, con urla, sceneggiate, minacce a favore di telecamera, ma senza farsi male. Con queste premesse, la giornata di ieri ha tumulato la crisi. Su Facebook, è stato Renzi a proseguire la recita, senza però poter più nascondere il finale. Già il titolo del suo intervento dice tutto: «Ultimo (speriamo!) post sulla prescrizione». E, in perfetto stile Leopolda, un elenco di rumorose e tonitruanti rivendicazioni, tanto più strillate proprio per nascondere la sostanza del riallineamento politico di Italia viva al resto della maggioranza. Altro che rottura. Vediamo la parte aggressiva: «Pd e 5 stelle hanno la stessa posizione sulla giustizia. Pur di fare un'alleanza strategica i dem rinunciano al garantismo. Noi invece no: noi non accetteremo mai il giustizialismo che è la forma peggiore di populismo». E ancora: «La posizione del lodo Conte è incostituzionale secondo i principali esperti. Cercheremo di cambiarla in Parlamento prima che venga bocciata dalla Corte costituzionale come già avvenuto alla legge Bonafede». E già dal timido e remissivo «cercheremo di cambiarla in Parlamento» si capisce tutto. Renzi ha mollato: ovviamente lo nega («Questa per noi è una battaglia culturale. Non molleremo di un solo centimetro»). Ma è evidente che, se avesse voluto davvero dar seguito alle sue parole, avrebbe dovuto annunciare il voto contrario in Cdm, mandando le sue ministre a Palazzo Chigi, e certificando la spaccatura nel governo. Cosa che si è ben guardato dal fare. E allora ecco la confessione: «Questo è il mio ultimo post sulla prescrizione. Adesso che la posizione è chiara, parliamo di tasse, cantieri, crisi aziendali. L'Italia rischia una crisi economica devastante, il governo deve cambiare passo». Atteggiamento surreale: prima ha per giorni insultato i suoi compagni di viaggio, e poi affida a loro le speranze di ripartenza del paese. Gran finale con fuochi d'artificio puramente retorici per far finta di aver tenuto il punto: «Se il premier vuole cacciarci, faccia pure: è un suo diritto! E Conte è il massimo esperto nel cambiare maggioranze. Se invece vogliono noi, devono prendersi anche le nostre idee. Alleati, non sudditi. Trovo il tono di Conte sbagliato, ma ai falli da dietro del premier rispondiamo senza commettere falli di reazione. Se hanno pronto un Conte ter senza di noi, prego, si accomodino. Qui a Firenze c'è un sole bellissimo, sembra già primavera».Al di là delle ironie fin troppo facili sui «falli da dietro», cala il sipario su una settimana tragicomica. Peccato per chi aveva creduto (pochi, a onor del vero) alla sincerità della battaglia garantista dei renziani, già smentita peraltro dal voto giustizialista contro Matteo Salvini sul caso Gregoretti. Intanto Italia viva voterà regolarmente la fiducia sul Milleproroghe. E resta da notare come sia definitivamente sparita anche l'ipotesi di una mozione di sfiducia nei confronti del Guardasigilli Alfonso Bonafede. Sarà forse andata in prescrizione. Per evitare che in prescrizione vadano le cose che davvero interessano a Renzi: le 400 nomine che il governo si spartirà nelle prossime settimane.