2025-05-06
L’Ungheria smentisce l’accordo Erdö-Parolin
A sinistra il cardinale Peter Erdö. A destra il cardinale Pietro Parolin (Getty Images)
L’ambasciatore magiaro presso la Santa Sede pubblica un post su X dove definisce «speculazioni» le presunte trame con al centro l’ex segretario di Stato e il cardinale conservatore. Che in un’omelia pre-conclave tuona: «Dobbiamo definire la nostra missione».«La Chiesa di oggi deve affrontare prima di tutto la questione della propria missione» e la grande missione data da Cristo è «quella di annunciare il Vangelo e di fare discepoli tutti i popoli, battezzandoli e insegnando loro a osservare tutto ciò che Egli ci ha comandato. Tale missione è il principio organizzativo della Chiesa stessa».Suona come un discorso programmatico da pontefice, che traccia un percorso radicato nella tradizione della Chiesa (la quale «non si esaurisce in un racconto storico» ma «è testimonianza»; «la tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri»), in un «rapporto con Cristo diretto e immediato» realizzato «nella vita sacramentale, nella preghiera e nella spiritualità cristiana», la potente omelia tenuta domenica nella basilica di Santa Maria Nova al Foro romano dal cardinale Péter Erdö, arcivescovo di Esztergon-Budapest, primate d’Ungheria e tra i nomi più quotati a succedere a Francesco.Candidato di punta dell’ala moderato-conservatrice, personalità dialogante ma al contempo salda sulle questioni fondamentali, considerato da molti il più adatto a un ruolo di «ordinatore» che riprenda il meglio che è stato prodotto negli ultimi decenni dalla Chiesa e a rappresentare quella figura di ampio respiro in grado di «restituire la Chiesa ai cattolici, mantenendo però l’apertura a tutti» (per usare le recenti parole del cardinale Camillo Ruini), Erdö è stato, nei giorni scorsi, pesantemente tirato per la giacchetta da chi tenta di manovrare il conclave: in particolare sono state fatte circolare voci di una sua trattativa con il cardinale Pietro Parolin - altro papabile ma ritenuto capofila della sinistra curiale, continuatore dell’agenda ideata dal cardinale Achille Silvestrini e naturale prosecutore di alcune delle politiche di Bergoglio - con cui si sarebbe accordato per far nascere un «pontificato della tregua» che vedrebbe nello stesso Parolin la figura papale di garanzia. Ebbene, tali voci sono state formalmente e nettamente smentite da Erdö in una dichiarazione che è stata ripresa in forma di tweet, sul suo account privato, dall’ambasciatore d’Ungheria presso la Santa Sede, Edoardo d’Asburgo. Nella sua veste di interfaccia con il Vaticano e con la Chiesa ungherese, il diplomatico è ricorso a uno strumento piuttosto irrituale per la comunicazione ecclesiale ma di grande immediatezza e domenica ha pubblicato su X il seguente testo: «Ogni speculazione su un accordo pre-conclave tra il cardinale ungherese Péter Erdö e l’ex Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin è completamente falsa. Il cardinale Erdö non ha partecipato a nessuna siffatta discussione».Parole inequivocabili, necessarie in primis in ossequio alla costituzione apostolica Universi dominici gregis, che vieta ai cardinali elettori di fare accordi o patteggiamenti che li possano costringere a dare o a negare il proprio voto e li impegnino nel caso che uno di loro sia elevato al pontificato; la smentita è servita, però, anche per stoppare sul nascere ipotesi fantasiose e troncare di netto quella che appare come una strumentalizzazione finalizzata a rompere il fronte conservatore per dirottarne i consensi sul numero uno della Segreteria di Stato. Manovre che evidentemente tradiscono come lo schieramento trasversale che lo sostiene sia a caccia di voti, forse perché il cahier de doléance su Parolin si allunga di giorno in giorno: dalla forte problematicità dell’accordo Santa Sede-Cina sulla nomina dei vescovi da lui fortemente voluto e difeso (che finora ha peggiorato la condizione dei cattolici cinesi e dato l’impressione di avere «svenduto» la Chiesa, come spiegato su queste colonne), a una diplomazia vaticana che ha risentito degli scossoni di Francesco (basti pensare, per esempio, alle figure di mediatori sulla crisi ucraina che spesso hanno dato l’impressione di sovrapporsi ai canali tradizionali).Non è piaciuto, inoltre, l’iperattivismo dello stesso Parolin durante la Sede vacante, quando ha ricevuto le delegazioni come fosse ancora Segretario di Stato (laddove, con la morte del Papa, tutte le nomine ai vertici dei dicasteri vaticani sono azzerate), né il suo comportamento nella gestione dell’intricato caso di Angelo Becciu (con lettere di Francesco tirate fuori all’improvviso per liquidare dal conclave il porporato coinvolto nell’affaire del palazzo di Londra), che ha condizionato non a caso i giorni del pre-conclave.Non aiuta neppure il recente, bizzarro endorsement ricevuto dal gran maestro della massoneria, Giuliano Di Bernardo, che, in un’intervista a Il Fatto, ha parlato della sua amicizia con Parolin e ha detto che sarebbe il Papa di cui la Chiesa ha bisogno. Dulcis in fundo, in ambienti vaticani è riaffiorato in queste giornate pre-conclave il ricordo della partecipazione di Parolin, nel 2018, al meeting del famigerato club Bilderberg, che dal 1954 organizza incontri annuali super riservati fra le élite di Europa e Stati Uniti, e che è considerato una sorta di «governo ombra» dei potenti. Prima di allora, la Santa Sede aveva sempre evitato di far parte di club ristretti, proprio per il loro carattere elitario. All’epoca Parolin si giustificò dicendo che voleva portare l’insegnamento della Chiesa a un gruppo che altrimenti non l’avrebbe sentito. Visti i risultati non si è facile dire che ci sia riuscito.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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