2019-08-31
Era tutto già scritto: Conte frequentava il giro dei big renziani già sei anni fa
Un libro del giornalista Jacopo Iacoboni ricostruisce l'intimità tra il futuro premier e gli uomini chiave del Giglio magico.L'avvocato del popolo, l'uomo che nel giro di poco più di un anno da sconosciuto professore di diritto si è innalzato a figura cardine dell'inciucio. Sa parlare in pubblico, sa tacere, a differenza di altri colleghi, è stato educato a Villa Nazareth, il collegio simbolo del cattolicesimo democratico, e veste eleganti abiti di sartoria. Si narra, o almeno lo narrano gli agiografi, che Giuseppe Conte, ora autoproclamatosi premier umanista, sia al di sopra delle parti. Che non sia tanto interessato alla maggioranza che lo sostiene, e questo in verità è acclarato dai fatti, quanto al bene dell'Italia e del suo popolo. Lo ha ricordato lui stesso ancora pochi giorni fa, dopo aver ricevuto l'incarico di formare l'esecutivo del ribaltone da Sergio Mattarella.Ebbene le cose non starebbero proprio così, come ci racconta il giornalista e saggista Jacopo Iacoboni nel suo libro L'esecuzione, edito da Laterza lo scorso marzo, che ricostruisce gli aspetti fondamentali della transizione del Movimento 5 stelle a partito di governo. Un capitolo, intitolato L'esecutore, è interamente riservato all'analisi di Conte, che in quel momento era presidente del Consiglio di colore gialloblù anziché giallorosso.Ma il rosso ha sempre macchiato carriera e vita del professore di Volturara Appula, devoto di Padre Pio. In particolare ci riferiamo alla rete di rapporti, interessi e conoscenze che lo hanno legato al Giglio magico di Matteo Renzi. Tutto ciò prima dell'inattesa investitura a capo di governo da parte di Lega e 5 stelle nel giugno del 2018. Il lettore deve sapere che tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014 Guido Alpa, avvocato e prestigioso giurista genovese, desidera ardentemente conoscere un giovane politico fiorentino che ha appena vinto le primarie del Pd e di nome fa Matteo Renzi. «In quel periodo, e già da alcuni anni, Alpa è il dominus di un avvocato di cinquant'anni di origini pugliesi, Giuseppe Conte, talmente lontano dal momento in cui sarà indicato come candidato premier da Luigi Di Maio», scrive Iacoboni, «da adoperarsi per favorire un incontro di conoscenza, di quelli che si usa fare nel mondo a cavallo tra politica, professioni, studi e imprese, tra l'anziano luminare del diritto e Renzi». Infatti il premier, oggi intento a dar vita all'esecutivo Pd-M5s, in quegli anni si è trovato in un contatto diretto e assiduo col mondo dell'attuale senatore di Rignano sull'Arno. «La via maestra è rappresentata da una delle figure chiave nel renzismo», ci informa l'autore, «Maria Elena Boschi, anche lei avvocato, di una generazione più giovane di Conte, la stessa di Alfonso Bonafede, pure lui avvocato a Firenze. La futura ministra delle Riforme, che sarà uno dei bersagli preferiti di una campagna d'odio violentissima della propaganda pro-M5s, è stata assieme a Conte e al futuro vicecapo di gabinetto del ministro Bonafede, Leonardo Pucci, in una commissione d'esame nella scuola delle professioni legali a Firenze».Sarà proprio la Boschi, tramite l'attiva intermediazione di Conte, a favorire il contatto tra Alpa e Renzi. Racconta Iacoboni: «Dopo alcuni tentativi in cui Conte si adopera per questo colloquio, l'incontro avviene. Cordiale, una chiacchierata con contenuti contingenti e legati agli scenari del potere. Alpa si presenta dinanzi al neosegretario del Pd accompagnato proprio da Conte. È un dialogo di conoscenza che fila via senza che lì per lì nessuno nei media se ne interessi particolarmente. I due, Alpa e Conte, appaiono assai ben disposti verso Renzi in quella stagione, in fondo non così lontana».Nel libro si ricorda anche la nomina del professore pugliese nel Consiglio di giustizia amministrativa e viene specificato che il suo nome «era gradito sia a Bonafede» sia «a Boschi, cioè al cerchio più ristretto dei renziani».D'altronde che il cuore del premier giallorosso, prima della svolta pentastellata, battesse per il Pd di fede renziana lo ha confermato lo stesso Renzi in un'intervista rilasciata a Gian Antonio Stella: «Ci ricordiamo i grandi complimenti che Conte ci faceva quando eravamo al governo noi». «Vuol dire che conoscevate già lo sconosciuto?», domanda l'editorialista del Corriere della sera. «Sconosciuto? Conserviamo ancora i messaggini di lode per il nostro governo».Non solo: come già detto, Conte aveva un rapporto amichevole con la collega Maria Elena Boschi, colei che ha organizzato il network renziano e la convention della Leopolda. «Sappiamo che la sua posizione sul referendum costituzionale», si legge nelle pagine del L'esecuzione, «quello che di fatto ha disarcionato Renzi e sancito la fine della sua parabola di governo, non era affatto contraria. Nulla di male, ma non sembrerebbero sulla carta i requisiti di chi diventerà premier del governo Movimento-Lega».La dimostrazione che non fossero i requisiti adatti per guidare un esecutivo sovranista l'abbiamo sotto gli occhi in queste ore. Ma allora Conte era di opinione diversa, almeno apparentemente. Per esempio il 14 ottobre 2018 affermava senza problemi che «populismo e sovranismo sono concetti declinati con accezioni negative, usati come strumenti negativi: io personalmente non ne ho una concezione negativa». Inoltre sostenne, parlando all'Onu, che il sovranismo è sancito dalla Costituzione. Acqua passata, perché oggi da avvocato del popolo si è trasformato in premier dell'establishment europeo con la benedizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron, nonché l'avvallo via tweet di Donald Trump.
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)