2022-10-27
Dopo 60 anni Enrico Mattei resta un modello
Enrico Mattei (Getty Images)
Il presidente dell’Eni ucciso a Bascapè il 27 ottobre 1962 verrà ricordato oggi a Matelica, nelle Marche, dove visse. Nelle sue carte c’è il piano energetico perfetto. Ci saranno il governo algerino, Paese per il quale è un eroe, e il ministro Gilberto Pichetto Fratin.Caro lei quando c’era lui! Quando c’era lui l’Italia appena ridestata dagli orrori della guerra trovava energia, pensava in grande e contendeva ai monopolisti il dominio del mercato del petrolio e del gas. Lui era Enrico Mattei, morto ammazzato il 27 ottobre 1962. Il suo aereo di rientro da Catania Fontanarossa fu fatto saltare con una carica di esplosivo piazzata dietro al cruscotto e attivata dall’apertura del carrello quando era sulla verticale di Bascapè in avvicinamento a Linate. Col presidente dell’Eni morirono Irnerio Bertuzzi il pilota e il giornalista americano William McHale. Il delitto Mattei è uno dei grandi misteri d’Italia, ma non se ne ricorda quasi nessuno perché è paradigmatico: ci sono di mezzo politici, mafiosi, servizi deviati e servizi segreti interazionali, complicità interne all’Eni. Il delitto Mattei segnò una regressione dell’Italia di cui ancora paghiamo pegno: dall’euforia della ricostruzione alla cappa della restaurazione e della sudditanza estera. La scia di sangue non si è fermata a questo partigiano divenuto a suo modo comandante della modernità italiana: hanno ammazzato Mauro De Mauro perché sapeva molto sulla fine di Mattei e forse anche Pier Paolo Pasolini è finito nel cono d’ombra. La verità a volte costa carissima. Ma il presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo discorso d’insediamento ha risvegliato l’Italia dall’oblio: «Il 27 ottobre ricorrerà il sessantesimo anniversario della morte di Enrico Mattei, un grande italiano che fu tra gli artefici della ricostruzione post bellica, capace di stringere accordi di reciproca convenienza con nazioni di tutto il mondo. Credo che l’Italia debba farsi promotrice di un “piano Mattei” per l’Africa, un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area sub-sahariana. Ci piacerebbe così recuperare, dopo anni in cui si è preferito indietreggiare, il nostro ruolo strategico nel Mediterraneo». Sentenziò Niccolò Machiavelli: «Tutti li tempi tornano, li uomini son sempre li medesimi.» Magari fosse vero pensando a Enrico Mattei che mentre comprava petrolio e gas, trivellava ovunque e aveva fatto dell’Italia la terza potenza nucleare del mondo. Si era legato a Felice Ippolito (finirà sotto inchiesta anche lui, ma almeno non lo hanno ammazzato) e in soli quattro anni aveva realizzato a Latina la prima centrale nucleare alimentata a uranio naturale che l’Eni aveva trovato in Italia. Aveva una potenza di 210 megawatt, l’avviarono il 27 dicembre del 1962. Mattei non c’era più da due mesi. Stamani a Matelica, la città in provincia di Macerata dove ha vissuto e dove ne sono sepolti i resti e che è stata per almeno un decennio una capitale mondiale del petrolio senza averne una goccia, Enrico Mattei viene ricordato in convegno organizzato dalla Fondazione Mattei presieduta da Aroldo Curzi-Mattei, figlio di Rosangela Mattei, la combattiva nipote di Enrico che ha scritto libri, promosso inchieste, che cura il museo Mattei, è presidente dell’Associazione partigiani cristiani che fu fondata da Enrico e mai ha smesso di testimoniare la verità sulla fine del presidente dell’Eni. Al convegno di stamane partecipano il neo ministro Gilberto Pichetto Fratin e il suo omologo algerino Laid Rebigua. Se l’Italia riceve tanto gas dall’Algeria il merito è anche di Enrico Mattei: per gli algerini è un eroe nazionale. Fu lui a sostenerli nella guerra d’indipendenza contro i francesi e il 5 luglio scorso si sono festeggiati i sessanta anni dell’indipendenza d’Algeria. Rosy Mattei e suo figlio, che ha facilitato le trattative tra l’ex ministro Roberto Cingolani e il governo africano, sono stati gli ospiti d’onore. Questo era il metodo Mattei: fare partecipare agli utili del petrolio le popolazioni che detenevano i giacimenti e aiutarle nel loro progresso. Lo ha fatto in Africa, in Persia, in Russia (allora Urss). La sua lezione resta: l’Eni è impegnata in Africa a promuovere con Filiera Italia e Coldiretti progetti di sviluppo agricolo e gli italiani forti dell’eredità Mattei, non sono mai percepiti come conquistatori. «Questa è l’unica consolazione per l’uccisione dello zio», dice Rosangela Mattei a La Verità. «Me la ricordo quella mattina quando portarono la bara con una macchina nera che scappò subito via. Dentro non c’era nulla, fecero i funerali senza il corpo. Poi portarono i resti: c’erano tre gambe. Al processo portato avanti con coraggio dal pm Vincenzo Calia ho fatto nomi cognomi e circostanze e le ho descritte nel mio libro, ma il caso Mattei non è chiuso. Al museo abbiamo tutto: le lettere, i documenti del suo lavoro nel mondo a vantaggio dell’Italia per tesser alleanze con i Paesi produttori. Quello è l’esempio da seguire: nel Maghreb, ma anche in Iran, come in Libia e in Egitto si deve tornare a usare il metodo Mattei. Che era anche quello di costruire i gasdotti di notte, saltando tutte le autorizzazioni. C’era un Paese da mettere in moto e lui lo fece. Ripeteva: l’Italia sa fare le automobili deve fare anche la benzina. Quello spirito è ciò che serve e con quello spirito l’Eni nel nome di Enrico Mattei, in Algeria ha trovato le porte aperte. E però non mi stanco di far vedere la lettera con cui Aldo Moro tre mesi prima che lo zio fosse ucciso gli ordinava di lasciare la presidenza dell’Eni perché gli americani si erano stufati della concorrenza sul petrolio. Lui non lasciò e oggi ricordiamo la sua morte. Ma se l’Italia vuole il piano energetico c’è, è pronto. Lo aveva scritto Mattei settant’anni fa», conclude la nipote di Enrico.
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