
Il Paese aveva presentato la causa da 1,1 miliardi di dollari presso una Corte di Londra, dichiaratasi non competente sul caso. L'azienda rimane sotto inchiesta solo a Milano.Dopo l'archiviazione del dipartimento di giustizia americano lo scorso anno e dopo la chiusura dell'inchiesta da parte della Sec (Securities and exchange commission) un mese fa, ora anche la Corte di Londra dà ragione a Eni sul caso di presunta corruzione internazionale intorno all'acquisto del giacimento Opl 245 in Nigeria. È l'ennesimo punto a favore per il Cane a sei zampe, rimasto ormai sotto inchiesta solo a Milano per l'acquisto del blocco petrolifero nigeriano nel 2011. Quello che è stato ribattezzato il processo del secolo -che vede sul banco degli imputati anche l'attuale amministratore delegato, Claudio Descalzi, da poco riconfermato - rimane appeso ormai solo alle aule di giustizia milanesi, ancora ferme per l'emergenza sanitaria. Oltre a un procedimento ad Abuja, di cui si conosce molto poco, è rimasta aperta solo una causa in Olanda, al momento congelata, sempre in attesa delle decisioni di Milano.Il tribunale civile inglese, quindi, ha deciso di respingere venerdì la richiesta di risarcimento da 1,1 miliardi di dollari che la Nigeria aveva presentato contro Eni e Shell, le due compagnie che aveva acquistato la licenza. Il governo nigeriano sosteneva che il denaro versato dalle società (circa 1,4 miliardi di dollari) per i diritti di esplorazione di un tratto nel Golfo di Guinea chiamato Oil Prospecting License 245, fosse poi stato diviso in mazzette tra intermediari, politici e manager. Da qui la giustificazione della richiesta dei danni del Paese africano che vuole comunque presentare ricorso, sostenendo che il procedimento inglese sia slegato da quello italiano. Di diverso parere la Corte britannica che ha stabilito invece di non essere competente sul caso proprio perché i fatti contestati sono oggetto di un altro processo. Eni e Shell hanno sempre negato di aver commesso illeciti. «Riteniamo che la risoluzione delle controversie legali del 2011 relative a Opl 245 sia stata una transazione completamente legale con Eni e il governo federale della Nigeria, rappresentati dai più alti funzionari dei ministeri competenti», ha spiegato ieri Shell in una nota. Così anche Eni, ha fatto sapere di prendere «atto con soddisfazione che la High court of justice di Londra ha negato la propria giurisdizione in materia di Opl245, respingendo la causa promossa dal governo federale della Nigeria. La competenza rimane quindi in capo al solo Tribunale italiano, dove si attende la sentenza». Nella nota Eni ricorda «che nell'ottobre 2019 il Dipartimento di giustizia americano, e più recentemente la Securities and exchange commission americana, avevano chiuso le proprie indagini sull'operazione Opl245 senza intraprendere alcuna azione». La storia dell'inchiesta nigeriana si trascina ormai da anni. A Milano non è ancora stata fissata la prossima udienza dopo la chiusura dell'istruttoria a febbraio. Forse c'è una possibilità di rivedersi in aula a luglio, ma bisognerà capire quando e come riapriranno le udienze in tribunale dopo l'emergenza coronavirus. Si attende la requisitoria da parte del pm Fabio De Pasquale e poi le arringhe degli avvocati. Nell'ultima udienza i giudici avevano respinto la richiesta dell'accusa di convocare come testimone Piero Amara, per anni legale esterno di Eni, ma soprattutto l'uomo del presunto depistaggio su cui stanno indagando sempre a Milano i pm Laura Pedio e Paolo Storari. Di sicuro dopo la decisione di Londra continuano a diminuire le speranza della Nigeria di ottenere un risarcimento, nonostante la girandola di avvocati messa in campo in questi anni.
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Il quotidiano dei vescovi celebra il Giubileo di «omoaffettivi e Lgbt». Neanche una riga per le ostetriche che si ribellano alla proposta di Crisanti di far praticare loro gli aborti.