2024-10-07
«Emarginare i populisti è da disperati»
Il politologo Marco Tarchi: «In Europa c’è un 25-30% dell’opinione pubblica che non si riconosce nei partiti tradizionali, ma non ha nulla a che vedere col neonazismo. In Francia, Marine Le Pen ora è diventata l’ago della bilancia»Professor Marco Tarchi, mentre infuria il conflitto in Medio Oriente a questo punto apertamente fra Israele e Iran, le chiedo da politologo di esprimersi su quello che a me appare un luogo comune. Ma magari mi sbaglio. Anche e soprattutto dentro una coalizione, si dice che non ci si può dividere su questioni fondamentali come la politica estera. «Non è l’unica linea di frattura che attraversa l’attuale compagine di governo. Per una volta ero stato buon profeta – o meglio, osservatore non condizionato da pregiudizi – quando, all’indomani del voto di due anni fa avevo indicato in Forza Italia un alleato problematico per Giorgia Meloni, intenzionato ad incalzarla non appena se ne presentasse un’occasione. Sul versante della politica estera, la presidente del Consiglio ha anticipato i rischi con le sue posizioni ultra atlantiste e soprattutto appiattite sulle decisioni statunitensi – creando semmai qualche frizione con la Lega, che però non ha interesse a rovesciare il tavolo – ma i punti di dissenso su altre questioni sono rimasti. E da quando gli eredi Berlusconi hanno deciso – per motivi in parte da decifrare – di sottolinearli, la situazione si è aggravata. Non c’è dubbio che, se avesse alternative praticabili, una parte di Forza Italia si sgancerebbe da un centrodestra a trazione Fratelli d’Italia. Il rientro a casa, o nei paraggi, di Carfagna, Costa e Gelmini, e gli acquisti di parlamentari da Azione e Italia Viva fanno capire che la svolta è percepita sempre più ampiamente come possibile. Ma, ad oggi, i numeri la rendono molto azzardata. Le schermaglie su immigrati, istanze Lgbtq+, conflitti bellici in corso sono comunque una cartina di tornasole della difficoltà di mantenere l’equilibrio all’interno della coalizione». Elly Schlein ha ereditato un partito al 20% ed alle ultime elezioni ha preso il 24%. Ma la coalizione di centrosinistra non sembra essere più forte di prima. «Non lo è, perché il suo grado di eterogeneità non è minore di quello della controparte. Fin dall’inizio, l’ipotesi di un “campo largo” che includesse tutti coloro che in Parlamento sono all’opposizione dell’attuale governo era poco credibile. La frettolosa verniciatura del M5s a tinte progressiste non ha cancellato un dato cruciale: gli elettori grillini – cioè quelli tuttora fedeli alla linea iniziale del movimento – non sono disposti a digerire accordi, perlopiù in posizione subordinata, con un Pd che è sempre stato uno dei loro bersagli polemici preferiti. Lo sprofondamento sotto il 10% alle Europee ne è la dimostrazione. Senza poi contare il fatto che tenere sotto lo stesso tetto liberisti accaniti e critici del capitalismo, nuclearisti ed ecologisti radicali, sostenitori della causa palestinese e partigiani incondizionati di Israele è un’acrobazia da brividi».Cosa succederà al M5S dopo l’Assemblea costituente secondo lei? «Tenuto conto delle reiterate inversioni di rotta di Grillo e dei suoi legami economici con il movimento, non è facile capire se le sue frizioni con Conte si spingeranno al punto di tenere a battesimo, o almeno auspicare apertamente, una formazione scissionista. E il vero problema, per chi dissente dalle decisioni dell’attuale gruppo dirigente, è di non poter contare su una figura aggregatrice credibile. Di Battista sarebbe il candidato naturale alla leadership degli “ortodossi” e forse avrebbe una capacità di attrazione sufficiente a dare a Conte e sodali parecchi grattacapi, ma il suo autoconfinamento al ruolo di grillo parlante (il gioco di parole è involontario) ostacola questa ipotesi». Conte è elettoralmente indebolito ma politicamente è sempre più forte dentro il suo partito e soprattutto dentro la coalizione. Detta legge sulle alleanze, ad esempio, ponendo il veto su Renzi. Un bel paradosso. «È l’unica carta che può giocare nell’attuale situazione. Persa la partita sulla leadership del “campo largo”, non gli resta che sabotarlo e restituire ai 5 stelle un’immagine, sia pur ridimensionata, di autonomia. E svolgere una funzione di interdizione, per ottenere più spazio nelle occasioni in cui accetterà compromessi elettorali».Sembra quasi che Conte, Bonelli e Fratoianni vogliano fare un partito unico a sinistra che dialoghi e contratti senza cappello in mano con il Pd. Dalle nomine in Rai al caso Renzi io vedo questi segnali. Lei? «Non ne sarei certo. Agli uni e agli altri conviene un gioco di sponda, soprattutto per dare ai simpatizzanti l’idea che la subordinazione al Pd non è un destino obbligato, ma non penso che si andrà oltre. Il M5s ha già pagato lo scotto di un’immagine troppo sbilanciata in senso progressista e credo che se ne sia reso conto. Il pacifismo e l’ecologismo sono terreni d’incontro, ma restano divergenze solide in altri campi (vedi le politiche sull’immigrazione, a cui l’elettorato populista è molto sensibile)». Dopo la vittoria della Fpö in Austria parte sempre la stessa narrazione mediatica. Attenzione all’ultradestra filonazista. Ma come ha fatto notare un sociologo come Ricolfi, la cosa mica convince tanto. A partire dalle posizioni di questi partiti molto libertari contro le chiusure e i divieti Covid, pacifisti spesso e dalla parte di Israele. Lei condivide? «Certamente. Applicare ai partiti nazional-populisti l’etichetta di estrema destra, o quella di ultradestra (che ha una risonanza molto simile) è una scelta politica tendente a squalificare questi soggetti, che non hanno niente a che vedere con i gruppuscoli di nostalgici neofascisti o neonazisti. Da una parte c’è una piena accettazione dei principi e delle regole della democrazia; dall’altra un rifiuto ideologico, se non anche pratico. C’è in Europa un 25-30% dell’opinione pubblica che simpatizza per queste formazioni perché non tollera più i fallimenti politici e sociali dei governi di centrodestra e di centrosinistra. Sperare di tenerle ai margini con cordoni sanitari e discriminazioni istituzionali sa di mossa della disperazione».Esiste un futuro credibile per un partito liberale di centro che non sia Forza Italia? Guardando le esperienze di Renzi e Calenda sembrerebbe di no… «Al momento, no, anche perché, dai tempi di Veltroni e Prodi in poi, quello spazio è stato in parte occupato dalla sinistra ex socialdemocratica. E in epoca di personalizzazione acuta della politica, il pollaio appare troppo piccolo per ospitare i tanti galli in circolazione». A destra Forza Italia si fa sentire e molto. Annusa la possibilità di raccogliere l’elettorato centrista orfano di Renzi e Calenda? «Non userei l’espressione “destra” per definire Forza Italia. Non lo è mai stata, non lo è e ci tiene sempre più a rimarcarlo. È un partito di centro e si sforza di ampliare in quell’ambito il proprio peso elettorale. Può darsi che ci riesca, ma il 20% profetizzato da Tajani mi pare un traguardo troppo ambizioso. E insufficiente a guidare qualsiasi coalizione». In Francia il primo ministro Barnier ed il suo governo si reggono sulla benevolenza di Marine Le Pen (data per sconfitta alle elezioni e invece determinante) e contrastato da Mélenchon (dato per vincente alle elezioni ma all’opposizione). A distanza di mesi il racconto di quelle elezioni sembra non reggere… «Quello francese è uno scenario in movimento, perché le scelte di Barnier, a partire dagli aumenti di tasse già promessi, rendono il suo governo molto instabile. Il Rassemblement National è l’ago della bilancia, ma deve fare molta attenzione a come, e quando, giocare le sue carte, per non ridare fiato alla concorrenza degli ex gollisti». Oltre 600.000 firme raccolte elettronicamente per il referendum sulla cittadinanza. Il paradosso è che i referendum sono piuttosto facili da convocare ma praticamente impossibili da vincere a causa del quorum. Condivide? «Sì. E 600.000 firme sono una cifra fin troppo semplice da raggiungere per forze politiche che di voti ne assommano milioni. Il clamore dei media simpatizzanti per la causa dei promotori non cambia i dati di fatto». Sembra messa in freezer la riforma del premierato. Forse il centrodestra ha compreso che potrebbe essere politicamente non conveniente spingere su questa riforma? «Il clima non idilliaco all’interno della coalizione di cui si è detto consiglia questo stallo, ma Meloni ha puntato troppo su questa riforma per seppellirla. Probabilmente si affiderà alla collaudata formula dello stop-and-go, accusando l’opposizione di metterle i bastoni fra le ruote». Fdi e Lega sono due forze sostanzialmente simili. Politicamente parlando. Una cosa piuttosto strana vista con le lenti dello scienziato della politica. Non trova? «C’è del vero in questo rilievo, ma c’è una differenza cruciale: la Lega è un partito populista che assume questa identità e punta su di essa per apparire anti-establishment anche quando è al governo; Fdi è un partito tentato dal populismo che cerca di non cedere alla tentazione perché vuol dimostrare di aver assunto una mentalità istituzionale. Ne derivano due strategie in contrasto». Terminiamo con gli Usa. Donald Trump è un milionario. Perché sembra essere apprezzato dai ceti più popolari? I cosiddetti perdenti della globalizzazione? «Perché, agli occhi dei sostenitori, la sua figura rimane quella di un outsider rispetto alla politica tradizionale, e per i populisti, che sono il suo zoccolo duro, questo è ciò che conta: il loro disprezzo per l’establishment è tale da portarli a riconoscersi anche in “uno che ce l’ha fatta” e nella scala sociale si colloca molto più in alto di loro, purché nei modi e nei discorsi si dimostri distante da “quelli di Washington”».
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 17 settembre con Carlo Cambi