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2023-05-10
Il primo elicottero volò a Milano nel 1877
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L'elicottero sperimentale di Enrico Forlanini (Getty Images)
La Milano dell’anno 1877 era una città in grandissimo fermento. Centro della rivoluzione industriale, scientifica ed intellettuale, il capoluogo lombardo stava diventando un modello considerato attentamente anche dalle altre metropoli europee. La città, sotto la giunta guidata dal sindaco Giulio Bellinzaghi, stava cambiando pelle. Dalla originaria pianta medievale, conservata nei secoli, Milano vide una nuova fase di urbanizzazione e di riassetto sul modello delle grandi capitali come Parigi. Gli effetti furono visibili nel nuovo piano urbanistico elaborato dall’ingegnere e architetto Cesare Beruto principalmente con la sistemazione della Piazza Duomo e la costruzione della Galleria Vittorio Emanuele, la rimozione delle mura spagnole e l’inglobamento dei cosiddetti Corpi Santi, i quartieri situati al di fuori della prima cinta che furono uniti all’area urbana del comune di Milano. Di pari passo procedevano i lavori nell’ambito dei trasporti sia urbani che extraurbani (la stazione Cadorna era in costruzione), nonché quelli che riguardavano i servizi pubblici come la produzione di elettricità e l’illuminazione pubblica. Nel marzo 1877 un esperimento chiamò i milanesi a raccolta nella rinnovata piazza del Duomo. L’ingegnere e fondatore del Politecnico Giuseppe Colombo aveva fatto accendere su una colonna alta circa 20 metri una serie di lampadine elettriche alimentate da una dinamo a vapore. Di lì a pochi anni sarebbe nata la prima centrale elettrica urbana d’Europa, costruita a pochi passi dal luogo di quello strabiliante prodigio della tecnologia. La nuova borghesia industriale era in ascesa costante. L’anno 1877 fu quello della fondazione del primo grande magazzino milanese, «Aux Villes d’Italie» sul modello del «Bon Marché» parigino reso celebre dagli scritti di Emile Zola. Più tardi si chiamerà «La Rinascente».
Enrico Forlanini a Milano ci era nato nel 1848, l’anno delle Cinque Giornate. Figlio di un noto medico e accademico, aveva scelto in gioventù la carriera militare. Negli anni del grande fermento del capoluogo lombardo, futura locomotiva del Paese, si trovava nei reparti del Genio con il grado di tenente. Da sempre appassionato di meccanica e ingegneria, aveva assorbito la lezione di Leonardo da Vinci. Rimase particolarmente colpito dagli schizzi della «vite aerea» contenuta nel Codice Atlantico, foglio 83v. In quei disegni il giovane Forlanini aveva letto il futuro del volo umano, se applicati alle nuove risorse che l’evoluzione tecnico-scientifica forniva alla fine dell’800: il motore a vapore.
Nella caserma di Casale Monferrato, alla quale era stato assegnato, l’irrequieto e geniale Forlanini (già protagonista di notevoli imprese alpinistiche, altra sua grande passione) si mise a studiare la dinamica delle eliche usando legno e tela. In uno dei suoi esperimenti usò un pozzo per far scendere un peso collegato ad un elastico che dava il moto all’asse delle eliche di un rudimentale elicottero per verificarne la portanza. Nonostante un temporaneo trasferimento a Catanzaro, Enrico Forlanini riuscì a proseguire gli studi sul volo del più pesante dell’aria tramite corrispondenza continua con il suo assistente Torresini. In questo periodo Forlanini chiese ed ottenne un congedo temporaneo, che lo portò alla laurea in ingegneria al Politecnico di Milano, dove fu allievo proprio di Giuseppe Colombo, nel 1874. Tornato nei ranghi del Genio nella caserma di Alessandria, il neo ingegnere portò a termine il primo modello del suo elicottero. Costruito con canna di bambù, tela e ferro, fu equipaggiato con un piccolo motore a vapore. Quest’ultimo sviluppava la potenza di un quinto di cavallo vapore e pesava meno di due chilogrammi. I cilindri erano due, portati in pressione da un apparato esterno mentre le eliche, lunghe 1.70 metri, erano in configurazione coassiale controrotante, come quelle montate oggi sui piccoli elicotteri radiocomandati. La piccola caldaia, di forma sferica, si trovava all’estremo inferiore della macchina volante. L’elicottero sperimentale si staccò da terra per la prima volta nella piazza d’Armi della caserma di Alessandria. La prossima tappa, per Forlanini, sarebbe stata la dimostrazione a Milano, la sua città. L’estate del 1877 vide l’esperimento di Forlanini portato nella città all’avanguardia della scienza e della tecnica. Qui le fonti scritte (quotidiani, libri e documenti dell’epoca) si dividono sul luogo della dimostrazione dell’ingegnere milanese. Alcune di queste riportano quale luogo di svolgimento dell’evento il Teatro alla Scala, altre i vicini Giardini Pubblici presso il Salone del parco cittadino, che in età napoleonica aveva preso il posto del chiostro del convento delle Carcanine. Non è da escludere che la dimostrazione si sia tenuta in entrambi i luoghi. Tra il pubblico di accademici del Politecnico sedeva anche il mentore di Forlanini, Giuseppe Colombo. La macchina volante, con le sue eliche e aste in bambù si sollevò da terra spinta dal piccolo propulsore a vapore e riuscì ad alzarsi in un volo stabilizzato all’altezza di 13 metri dal suolo. L’elicottero, il primo a volare con propulsione a motore, rimase in aria per circa una ventina di secondi per poi posarsi docilmente esaurita la spinta dei piccoli cilindri, discesa attutita dalla rotazione inerziale delle eliche. Era un piccolo volo, che passò quasi in sordina. Ma un grandissimo passo per il futuro dell’aviazione. Un futuro, ai tempi di Forlanini, ancora lontanissimo perché dopo i voli del 1877 l’ingegnere si dedicò alla sperimentazione di piccoli alianti spinti da polvere pirica e quindi allo studio dei velivoli per i quali salirà nell’empireo dei pionieri dell’aviazione: i dirigibili.
La strada era però tracciata e fu Milano a posare la prima pietra: oggi l’elicottero-drone di Enrico Forlanini è conservato nella stessa città che lo vide in volo tra gli alberi dei giardini e gli eleganti palazzi del centro, in una sala del Museo della Scienza e della Tecnica «Leonardo da Vinci». Il genio che ispirò un altro genio.
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Simile a un attuale drone, fu realizzato dal pioniere dell'aviazione Enrico Forlanini. Si alzò in aria davanti ad un pubblico entusiasta nel cuore di una città che cresceva spinta dalle idee del positivismo tecnico-scientifico e industriale. La Milano dell’anno 1877 era una città in grandissimo fermento. Centro della rivoluzione industriale, scientifica ed intellettuale, il capoluogo lombardo stava diventando un modello considerato attentamente anche dalle altre metropoli europee. La città, sotto la giunta guidata dal sindaco Giulio Bellinzaghi, stava cambiando pelle. Dalla originaria pianta medievale, conservata nei secoli, Milano vide una nuova fase di urbanizzazione e di riassetto sul modello delle grandi capitali come Parigi. Gli effetti furono visibili nel nuovo piano urbanistico elaborato dall’ingegnere e architetto Cesare Beruto principalmente con la sistemazione della Piazza Duomo e la costruzione della Galleria Vittorio Emanuele, la rimozione delle mura spagnole e l’inglobamento dei cosiddetti Corpi Santi, i quartieri situati al di fuori della prima cinta che furono uniti all’area urbana del comune di Milano. Di pari passo procedevano i lavori nell’ambito dei trasporti sia urbani che extraurbani (la stazione Cadorna era in costruzione), nonché quelli che riguardavano i servizi pubblici come la produzione di elettricità e l’illuminazione pubblica. Nel marzo 1877 un esperimento chiamò i milanesi a raccolta nella rinnovata piazza del Duomo. L’ingegnere e fondatore del Politecnico Giuseppe Colombo aveva fatto accendere su una colonna alta circa 20 metri una serie di lampadine elettriche alimentate da una dinamo a vapore. Di lì a pochi anni sarebbe nata la prima centrale elettrica urbana d’Europa, costruita a pochi passi dal luogo di quello strabiliante prodigio della tecnologia. La nuova borghesia industriale era in ascesa costante. L’anno 1877 fu quello della fondazione del primo grande magazzino milanese, «Aux Villes d’Italie» sul modello del «Bon Marché» parigino reso celebre dagli scritti di Emile Zola. Più tardi si chiamerà «La Rinascente».Enrico Forlanini a Milano ci era nato nel 1848, l’anno delle Cinque Giornate. Figlio di un noto medico e accademico, aveva scelto in gioventù la carriera militare. Negli anni del grande fermento del capoluogo lombardo, futura locomotiva del Paese, si trovava nei reparti del Genio con il grado di tenente. Da sempre appassionato di meccanica e ingegneria, aveva assorbito la lezione di Leonardo da Vinci. Rimase particolarmente colpito dagli schizzi della «vite aerea» contenuta nel Codice Atlantico, foglio 83v. In quei disegni il giovane Forlanini aveva letto il futuro del volo umano, se applicati alle nuove risorse che l’evoluzione tecnico-scientifica forniva alla fine dell’800: il motore a vapore. Nella caserma di Casale Monferrato, alla quale era stato assegnato, l’irrequieto e geniale Forlanini (già protagonista di notevoli imprese alpinistiche, altra sua grande passione) si mise a studiare la dinamica delle eliche usando legno e tela. In uno dei suoi esperimenti usò un pozzo per far scendere un peso collegato ad un elastico che dava il moto all’asse delle eliche di un rudimentale elicottero per verificarne la portanza. Nonostante un temporaneo trasferimento a Catanzaro, Enrico Forlanini riuscì a proseguire gli studi sul volo del più pesante dell’aria tramite corrispondenza continua con il suo assistente Torresini. In questo periodo Forlanini chiese ed ottenne un congedo temporaneo, che lo portò alla laurea in ingegneria al Politecnico di Milano, dove fu allievo proprio di Giuseppe Colombo, nel 1874. Tornato nei ranghi del Genio nella caserma di Alessandria, il neo ingegnere portò a termine il primo modello del suo elicottero. Costruito con canna di bambù, tela e ferro, fu equipaggiato con un piccolo motore a vapore. Quest’ultimo sviluppava la potenza di un quinto di cavallo vapore e pesava meno di due chilogrammi. I cilindri erano due, portati in pressione da un apparato esterno mentre le eliche, lunghe 1.70 metri, erano in configurazione coassiale controrotante, come quelle montate oggi sui piccoli elicotteri radiocomandati. La piccola caldaia, di forma sferica, si trovava all’estremo inferiore della macchina volante. L’elicottero sperimentale si staccò da terra per la prima volta nella piazza d’Armi della caserma di Alessandria. La prossima tappa, per Forlanini, sarebbe stata la dimostrazione a Milano, la sua città. L’estate del 1877 vide l’esperimento di Forlanini portato nella città all’avanguardia della scienza e della tecnica. Qui le fonti scritte (quotidiani, libri e documenti dell’epoca) si dividono sul luogo della dimostrazione dell’ingegnere milanese. Alcune di queste riportano quale luogo di svolgimento dell’evento il Teatro alla Scala, altre i vicini Giardini Pubblici presso il Salone del parco cittadino, che in età napoleonica aveva preso il posto del chiostro del convento delle Carcanine. Non è da escludere che la dimostrazione si sia tenuta in entrambi i luoghi. Tra il pubblico di accademici del Politecnico sedeva anche il mentore di Forlanini, Giuseppe Colombo. La macchina volante, con le sue eliche e aste in bambù si sollevò da terra spinta dal piccolo propulsore a vapore e riuscì ad alzarsi in un volo stabilizzato all’altezza di 13 metri dal suolo. L’elicottero, il primo a volare con propulsione a motore, rimase in aria per circa una ventina di secondi per poi posarsi docilmente esaurita la spinta dei piccoli cilindri, discesa attutita dalla rotazione inerziale delle eliche. Era un piccolo volo, che passò quasi in sordina. Ma un grandissimo passo per il futuro dell’aviazione. Un futuro, ai tempi di Forlanini, ancora lontanissimo perché dopo i voli del 1877 l’ingegnere si dedicò alla sperimentazione di piccoli alianti spinti da polvere pirica e quindi allo studio dei velivoli per i quali salirà nell’empireo dei pionieri dell’aviazione: i dirigibili. La strada era però tracciata e fu Milano a posare la prima pietra: oggi l’elicottero-drone di Enrico Forlanini è conservato nella stessa città che lo vide in volo tra gli alberi dei giardini e gli eleganti palazzi del centro, in una sala del Museo della Scienza e della Tecnica «Leonardo da Vinci». Il genio che ispirò un altro genio.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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