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2024-05-15
Ai macroniani la destra non fa più schifo
Charles Michel (Ansa)
Todos caballeros. A meno di un mese dalle elezioni europee il presidente del Consiglio Ue Charles Michel scopre che «con i partiti politici definiti di estrema destra si può collaborare». La conversione sulla via di Bruxelles è uno schiaffo in pieno volto alla galassia socialista e rossoverde che in questi cinque anni ha condizionato le politiche comunitarie, trasformando la transizione green e digitale in un incubo per i cittadini del continente. Quella che avviene durante il Forum per la Democrazia di Copenaghen è una presa di distanza neppure sfumata: «Al Consiglio europeo c’erano dubbi e preoccupazioni prima delle elezioni di Stati membri, poi abbiamo visto che era possibile lavorare con i governi di quei Paesi anche se nella coalizione c’era un partito di estrema destra».
Continua ad aggiungere «estrema» per tenere fede alla narrazione distorta da slogan mediatici compiacenti, ma il succo è facilmente individuabile: un’apertura ai conservatori di Ecr e ai sovranisti di Id. Michel, di fatto emanazione di Emmanuel Macron, aggiunge: «Non voglio fare esempi specifici». Poiché non si tratta di Spagna, Francia, Germania, Polonia (la destra non è più al governo) e l’Ungheria non è così centrale nel dibattito elettorale, è fin troppo facile intuire che sta parlando dell’Italia del governo di Giorgia Meloni, rappresentato a Bruxelles in un modo così grottesco da rendere lunare quella raffigurazione nell’impatto con la realtà.
Il belga numero due della Ue ha pulito gli occhiali e arriva ad ammettere: «Se osservo i partiti politici che vengono definiti di estrema destra, noto che vi sono al loro interno delle personalità con cui si può collaborare, perché condividono gli stessi obiettivi sui temi chiave, mentre ci sono altri con cui non è possibile collaborare. Al nuovo Parlamento europeo la questione principale sarà riconoscere i partiti politici pronti a cooperare per sostenere l’Ucraina, difendere i principi democratici e rendere l’Ue più forte». Improvvisamente non si parla d’altro. E deliri come i desideri Lgbtq, l’aborto nella Costituzione, il suicidio assistito universale, il fascismo marziano, la tassazione feroce degli immobili sono finiti nel deposito di Indiana Jones.
Quello di Michel è pragmatismo puro che arriva a smentire il «mai accordi con l’estrema destra» di Ursula von der Leyen, peraltro invisa all’euroburocrate belga di Renew Europe, quindi da contrastare con argomentazioni opposte. Ora diventa importante capire se l’uscita del colonnello macroniano che fu al centro del Sofagate (quando ad Ankara non aprì bocca mentre Recep Erdogan lasciava in piedi lady Ursula fra gli imbarazzi del mondo) sia spontanea o determinata da interessi elettorali maturati dopo aver preso visione degli ultimi sondaggi. Non è più così scontato che Ppe e alleati non marcatamente di sinistra abbiano i numeri per tenere fuori dagli accordi i Conservatori riformisti di Giorgia Meloni e i sovranisti di Identità e Democrazia, dove alberga la Lega di Matteo Salvini. A destra è in atto una ristrutturazione dei gruppi con l’obiettivo di un avvicinamento sulle posizioni mediane, con la marginalizzazione e l’espulsione di qualche frangia impresentabile. Un cammino che può avere appeal presso il blocco centrista del parlamento.
Per il capo delegazione di Fratelli d’Italia a Bruxelles, Carlo Fidanza, l’endorsement va accolto con molta prudenza. «Fa piacere questa conversione, ma noi ribadiamo l’impegno per creare una maggioranza alternativa alla sinistra e riprodurre il sistema di governo italiano. Con due temi cardine: una transizione verde sostenibile per i cittadini e un controllo serio e regolamentato delle frontiere esterne, dossier sui quali abbiamo avuto un’ampia conversione. Il nostro obiettivo principale rimane quello di mandare la sinistra all’opposizione, come abbiamo fatto in Italia». Sulla spontaneità delle parole di Michel, Fidanza non si sbilancia: «Mi auguro che sia sincero e non solo mosso da interessi elettorali. Che ci sia in atto un ripensamento dei centristi nei confronti della sinistra rossoverde è fuor di dubbio, anche perché l’elettorato di liberali e popolari non sta da quella parte. Solo non vorrei che si trattasse della solita logica dei “due forni”: prendere voti a destra per poi sedersi a sinistra».
Anche la Lega osserva la dichiarazione in controluce. L’europarlamentare presidente del gruppo Id, Marco Zanni, ricorda cinque anni di disastri e intuisce nelle parole di Michel un certo interesse di facciata. «Finalmente, ora che è al termine di un mandato fallimentare dove è stato ininfluente quando non dannoso, Michel apre le porte al centrodestra che è in crescita in tutta Europa. E lo fa con la sua famiglia politica in picchiata nei sondaggi. Troppo poco, troppo tardi, specialmente dopo una legislatura in cui questa Ue ha fatto di tutto per escludere vergognosamente la Lega e i suoi alleati insultando il voto democratico di milioni di cittadini europei».
Secondo Zanni, più che le aperture tardive di euroburocrati in scadenza, «conta un cambio radicale di chi ha comandato e mal governato a Bruxelles finora, portando avanti una serie di politiche folli e fortemente penalizzanti verso imprese, lavoratori e famiglie. A cominciare dalle eurofollie green. Grazie lo stesso a Michel per avere evidenziato l’ovvio e ciò che sapevamo da tempo». Si sente il rumore di una porta che si chiude, magari non a chiave.
Un tribunale mette sotto tutela Afd il secondo partito della Germania
Il Tribunale amministrativo superiore della Renania Settentrionale-Vestfalia, con sede a Münster, ha respinto il ricorso presentato dall’Afd contro l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (Verfassungsschutz), ossia i servizi segreti interni della Germania, i quali avevano classificato il partito sovranista tedesco come un «caso sospetto» di estremismo di destra. I giudici, in sostanza, hanno dato torto al partito guidato da Alice Weidel e Tino Chrupalla, che attualmente è la seconda forza politica del Paese, data dai sondaggi intorno al 20%, dietro alla Cdu (30%) ma davanti ai tre partiti di governo.
Le motivazioni della sentenza non sono ancora note, ma il giudice Gerald Buck ha già spiegato che esisterebbero «prove sufficienti» per affermare che l’Afd starebbe «perseguendo obiettivi che attentano alla dignità umana di determinati gruppi di persone e ai princìpi democratici». La fondatezza di un’accusa tanto grave, tuttavia, non risiederebbe in presunte attività eversive del partito volte a rovesciare le istituzioni. Al contrario, sostengono i giudici, «c’è il fondato sospetto» che «una parte rilevante dell’Afd» non consideri veri tedeschi gli immigrati che hanno conseguito la cittadinanza». Il che, secondo il tribunale, «costituisce una discriminazione inammissibile ai sensi della Costituzione».
Il fatto che l’Afd conti tra le sue file diversi esponenti di origine straniera non ha convinto i togati. A pesare sarebbero piuttosto «numerose dichiarazioni rivolte contro i migranti» da alcuni membri del partito. I giudici, peraltro, si sono rifiutati di esaminare circa 470 istanze probatorie presentate dai legali dell’Afd, giudicandole irrilevanti. La decisione del tribunale permetterà al Verfassungsschutz di tenere sotto osservazione il partito e persino di infiltrarlo con agenti dei servizi segreti.
I vertici dell’Afd hanno contestato la sentenza, annunciando un ricorso presso il Tribunale amministrativo federale e, in caso, presso la Corte costituzionale. «Siamo stupiti che non debbano essere fornite prove a sostegno delle accuse e che il tribunale non le abbia neppure richieste», ha dichiarato la presidente Alice Weidel . «Per noi è un verdetto inaccettabile». Le ha fatto eco il copresidente Tino Chrupalla, il quale ha aggiunto che l’annuncio della sentenza «nel bel mezzo della campagna elettorale dimostra che dietro c’è una motivazione politica». In effetti, oltre alle Europee, in autunno si terranno le elezioni regionali in Turingia, Brandeburgo e Sassonia: tre Stati federati orientali in cui l’Afd è primo in tutti i sondaggi.
Nel frattempo, diversi avversari politici hanno colto l’occasione per rilanciare la proposta di mettere al bando l’Afd. Marco Wanderwitz, esponente della Cdu, ha persino affermato, in un’intervista a Die Zeit, che «soprattutto all’Est il partito non può più essere sconfitto politicamente». Dove non arriva la politica, insomma, devono arrivare i giudici. Di diverso avviso è Marco Buschmann (Fdp), il ministro della Giustizia: la sentenza, ha dichiarato, «non apre automaticamente la strada a una procedura di messa al bando dell’Afd». E comunque, ha aggiunto, sarebbe opportuno continuare a combattere l’Afd con la forza degli argomenti: «Questa dovrebbe rimanere l’aspirazione dei veri democratici».
Occorre ricordare che il Verfassungsschutz dipende dal ministro dell’Interno e che i suoi presidenti sono dirette emanazioni della politica. L’attuale, Thomas Haldenwang, è un membro della Cdu, che sin dalla sua nomina nel 2018 (sotto l’ultimo governo di Angela Merkel) aveva dichiarato che avrebbe rilanciato la lotta contro l’estremismo di destra. Di recente, inoltre, il presidente della succursale in Turingia, Stephan Kramer (membro della Spd), ha promesso che farà tutto ciò che è in suo potere per scongiurare la vittoria elettorale dell’Afd. Che, attualmente, in Turingia veleggia intorno al 30%.
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Michel, il presidente del Consiglio Ue, si converte sulla via delle Europee: «Ci preoccupavamo per certe forze andate al governo, invece con loro si può collaborare». Ma Fdi e Lega non abboccano: «Troppo tardi, noi lavoriamo a maggioranze alternative».Gli 007 potranno infiltrare Afd, secondo partito in Germania. E tra i rivali c’è chi torna a chiederne lo scioglimento.Lo speciale contiene due articoli.Todos caballeros. A meno di un mese dalle elezioni europee il presidente del Consiglio Ue Charles Michel scopre che «con i partiti politici definiti di estrema destra si può collaborare». La conversione sulla via di Bruxelles è uno schiaffo in pieno volto alla galassia socialista e rossoverde che in questi cinque anni ha condizionato le politiche comunitarie, trasformando la transizione green e digitale in un incubo per i cittadini del continente. Quella che avviene durante il Forum per la Democrazia di Copenaghen è una presa di distanza neppure sfumata: «Al Consiglio europeo c’erano dubbi e preoccupazioni prima delle elezioni di Stati membri, poi abbiamo visto che era possibile lavorare con i governi di quei Paesi anche se nella coalizione c’era un partito di estrema destra».Continua ad aggiungere «estrema» per tenere fede alla narrazione distorta da slogan mediatici compiacenti, ma il succo è facilmente individuabile: un’apertura ai conservatori di Ecr e ai sovranisti di Id. Michel, di fatto emanazione di Emmanuel Macron, aggiunge: «Non voglio fare esempi specifici». Poiché non si tratta di Spagna, Francia, Germania, Polonia (la destra non è più al governo) e l’Ungheria non è così centrale nel dibattito elettorale, è fin troppo facile intuire che sta parlando dell’Italia del governo di Giorgia Meloni, rappresentato a Bruxelles in un modo così grottesco da rendere lunare quella raffigurazione nell’impatto con la realtà. Il belga numero due della Ue ha pulito gli occhiali e arriva ad ammettere: «Se osservo i partiti politici che vengono definiti di estrema destra, noto che vi sono al loro interno delle personalità con cui si può collaborare, perché condividono gli stessi obiettivi sui temi chiave, mentre ci sono altri con cui non è possibile collaborare. Al nuovo Parlamento europeo la questione principale sarà riconoscere i partiti politici pronti a cooperare per sostenere l’Ucraina, difendere i principi democratici e rendere l’Ue più forte». Improvvisamente non si parla d’altro. E deliri come i desideri Lgbtq, l’aborto nella Costituzione, il suicidio assistito universale, il fascismo marziano, la tassazione feroce degli immobili sono finiti nel deposito di Indiana Jones. Quello di Michel è pragmatismo puro che arriva a smentire il «mai accordi con l’estrema destra» di Ursula von der Leyen, peraltro invisa all’euroburocrate belga di Renew Europe, quindi da contrastare con argomentazioni opposte. Ora diventa importante capire se l’uscita del colonnello macroniano che fu al centro del Sofagate (quando ad Ankara non aprì bocca mentre Recep Erdogan lasciava in piedi lady Ursula fra gli imbarazzi del mondo) sia spontanea o determinata da interessi elettorali maturati dopo aver preso visione degli ultimi sondaggi. Non è più così scontato che Ppe e alleati non marcatamente di sinistra abbiano i numeri per tenere fuori dagli accordi i Conservatori riformisti di Giorgia Meloni e i sovranisti di Identità e Democrazia, dove alberga la Lega di Matteo Salvini. A destra è in atto una ristrutturazione dei gruppi con l’obiettivo di un avvicinamento sulle posizioni mediane, con la marginalizzazione e l’espulsione di qualche frangia impresentabile. Un cammino che può avere appeal presso il blocco centrista del parlamento. Per il capo delegazione di Fratelli d’Italia a Bruxelles, Carlo Fidanza, l’endorsement va accolto con molta prudenza. «Fa piacere questa conversione, ma noi ribadiamo l’impegno per creare una maggioranza alternativa alla sinistra e riprodurre il sistema di governo italiano. Con due temi cardine: una transizione verde sostenibile per i cittadini e un controllo serio e regolamentato delle frontiere esterne, dossier sui quali abbiamo avuto un’ampia conversione. Il nostro obiettivo principale rimane quello di mandare la sinistra all’opposizione, come abbiamo fatto in Italia». Sulla spontaneità delle parole di Michel, Fidanza non si sbilancia: «Mi auguro che sia sincero e non solo mosso da interessi elettorali. Che ci sia in atto un ripensamento dei centristi nei confronti della sinistra rossoverde è fuor di dubbio, anche perché l’elettorato di liberali e popolari non sta da quella parte. Solo non vorrei che si trattasse della solita logica dei “due forni”: prendere voti a destra per poi sedersi a sinistra».Anche la Lega osserva la dichiarazione in controluce. L’europarlamentare presidente del gruppo Id, Marco Zanni, ricorda cinque anni di disastri e intuisce nelle parole di Michel un certo interesse di facciata. «Finalmente, ora che è al termine di un mandato fallimentare dove è stato ininfluente quando non dannoso, Michel apre le porte al centrodestra che è in crescita in tutta Europa. E lo fa con la sua famiglia politica in picchiata nei sondaggi. Troppo poco, troppo tardi, specialmente dopo una legislatura in cui questa Ue ha fatto di tutto per escludere vergognosamente la Lega e i suoi alleati insultando il voto democratico di milioni di cittadini europei».Secondo Zanni, più che le aperture tardive di euroburocrati in scadenza, «conta un cambio radicale di chi ha comandato e mal governato a Bruxelles finora, portando avanti una serie di politiche folli e fortemente penalizzanti verso imprese, lavoratori e famiglie. A cominciare dalle eurofollie green. Grazie lo stesso a Michel per avere evidenziato l’ovvio e ciò che sapevamo da tempo». Si sente il rumore di una porta che si chiude, magari non a chiave.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/elezioni-europee-macroniani-2668260507.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="un-tribunale-mette-sotto-tutela-afd-il-secondo-partito-della-germania" data-post-id="2668260507" data-published-at="1715719606" data-use-pagination="False"> Un tribunale mette sotto tutela Afd il secondo partito della Germania Il Tribunale amministrativo superiore della Renania Settentrionale-Vestfalia, con sede a Münster, ha respinto il ricorso presentato dall’Afd contro l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (Verfassungsschutz), ossia i servizi segreti interni della Germania, i quali avevano classificato il partito sovranista tedesco come un «caso sospetto» di estremismo di destra. I giudici, in sostanza, hanno dato torto al partito guidato da Alice Weidel e Tino Chrupalla, che attualmente è la seconda forza politica del Paese, data dai sondaggi intorno al 20%, dietro alla Cdu (30%) ma davanti ai tre partiti di governo. Le motivazioni della sentenza non sono ancora note, ma il giudice Gerald Buck ha già spiegato che esisterebbero «prove sufficienti» per affermare che l’Afd starebbe «perseguendo obiettivi che attentano alla dignità umana di determinati gruppi di persone e ai princìpi democratici». La fondatezza di un’accusa tanto grave, tuttavia, non risiederebbe in presunte attività eversive del partito volte a rovesciare le istituzioni. Al contrario, sostengono i giudici, «c’è il fondato sospetto» che «una parte rilevante dell’Afd» non consideri veri tedeschi gli immigrati che hanno conseguito la cittadinanza». Il che, secondo il tribunale, «costituisce una discriminazione inammissibile ai sensi della Costituzione». Il fatto che l’Afd conti tra le sue file diversi esponenti di origine straniera non ha convinto i togati. A pesare sarebbero piuttosto «numerose dichiarazioni rivolte contro i migranti» da alcuni membri del partito. I giudici, peraltro, si sono rifiutati di esaminare circa 470 istanze probatorie presentate dai legali dell’Afd, giudicandole irrilevanti. La decisione del tribunale permetterà al Verfassungsschutz di tenere sotto osservazione il partito e persino di infiltrarlo con agenti dei servizi segreti. I vertici dell’Afd hanno contestato la sentenza, annunciando un ricorso presso il Tribunale amministrativo federale e, in caso, presso la Corte costituzionale. «Siamo stupiti che non debbano essere fornite prove a sostegno delle accuse e che il tribunale non le abbia neppure richieste», ha dichiarato la presidente Alice Weidel . «Per noi è un verdetto inaccettabile». Le ha fatto eco il copresidente Tino Chrupalla, il quale ha aggiunto che l’annuncio della sentenza «nel bel mezzo della campagna elettorale dimostra che dietro c’è una motivazione politica». In effetti, oltre alle Europee, in autunno si terranno le elezioni regionali in Turingia, Brandeburgo e Sassonia: tre Stati federati orientali in cui l’Afd è primo in tutti i sondaggi. Nel frattempo, diversi avversari politici hanno colto l’occasione per rilanciare la proposta di mettere al bando l’Afd. Marco Wanderwitz, esponente della Cdu, ha persino affermato, in un’intervista a Die Zeit, che «soprattutto all’Est il partito non può più essere sconfitto politicamente». Dove non arriva la politica, insomma, devono arrivare i giudici. Di diverso avviso è Marco Buschmann (Fdp), il ministro della Giustizia: la sentenza, ha dichiarato, «non apre automaticamente la strada a una procedura di messa al bando dell’Afd». E comunque, ha aggiunto, sarebbe opportuno continuare a combattere l’Afd con la forza degli argomenti: «Questa dovrebbe rimanere l’aspirazione dei veri democratici». Occorre ricordare che il Verfassungsschutz dipende dal ministro dell’Interno e che i suoi presidenti sono dirette emanazioni della politica. L’attuale, Thomas Haldenwang, è un membro della Cdu, che sin dalla sua nomina nel 2018 (sotto l’ultimo governo di Angela Merkel) aveva dichiarato che avrebbe rilanciato la lotta contro l’estremismo di destra. Di recente, inoltre, il presidente della succursale in Turingia, Stephan Kramer (membro della Spd), ha promesso che farà tutto ciò che è in suo potere per scongiurare la vittoria elettorale dell’Afd. Che, attualmente, in Turingia veleggia intorno al 30%.
Maurizio Gasparri (Ansa)
Sono le 20.30, Andrea finisce il suo turno e sale negli spogliatoi, al piano superiore, per cambiarsi. Scendendo dalle scale si trova davanti ad un uomo armato che, forse in preda al panico, apre il fuoco. La pallottola gli buca la testa, da parte a parte, ma invece di ucciderlo lo manda in coma per mesi, riducendolo a un vegetale. La sua vita e quella dei suoi genitori si ferma quel giorno.
Lo Stato si dimentica di loro. Le indagini si concludono con un nulla di fatto. Non solo non hanno mai trovato chi ha sparato ma neppure il proiettile e la pistola da dove è partito il colpo. Questo perché in quel supermercato le telecamere non erano in funzione. Nel 2018 archiviano il caso. E rinvio dopo rinvio non è ancora stato riconosciuto alla famiglia alcun risarcimento in sede civile. Oggi Andrea ha 35 anni e forse neppure lo sa, ha bisogno di tutto, è immobile, si nutre con un sondino, passa le sue giornate tra il letto e la carrozzina. Per assisterlo, al mattino, la famiglia paga due persone. Hanno dovuto installare un ascensore in casa. E ricevono solo un indennizzo Inail che appena gli consente di provvedere alle cure.
Il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, membro della commissione Giustizia del Senato, è sconcertato: «Sono profondamente indignato per quanto accaduto a questa famiglia, Andrea e i suoi genitori meritano la giustizia che fino ad oggi gli è stata negata da lungaggini e burocrazia. Non si capisce il motivo di così tanti rinvii. Almeno si giunga a una sentenza e che Andrea abbia il risarcimento che merita dall’assicurazione. Anche il datore di lavoro ha le sue responsabilità e non possono non essere riconosciute dai giudici».
Il collega senatore di Forza Italia, nonché avvocato, Pierantonio Zanettin, anche lui membro della stessa commissione, propone «che lo Stato si faccia carico di un provvedimento ad hoc di solidarietà se la causa venisse persa. È patologico che ci siano tutti questi rinvii. Bisognerebbe capire cosa c’è sotto. Ci devono spiegare le ragioni. Comunque io mi metto a disposizione della famiglia e del legale. La giustizia ha l’obbligo di rispondere».
Ogni volta l’inizio del processo si sposta di sei mesi in sei mesi, quando va bene. L’ultima beffa qualche giorno fa quando la Corte d’Appello calendarizza un altro rinvio. L’avvocato della famiglia, Matteo Mion, non sa darsi una ragione: «Il motivo formale di tutti questi rinvii è il carico di lavoro che hanno nei tribunali, ma io credo più nell’inefficienza che nei complotti. In primo grado era il tribunale di Padova, adesso siamo in Corte di Appello a Venezia. Senza spiegazioni arriva una pec che ci informa dell’ennesimo rinvio. Ormai non li conto più. L’ultima volta il 4 dicembre, rinviati all’11 giugno 2026. La situazione è ingessata, non puoi che prenderne atto e masticare amaro».
In primo grado, il giudice Roberto Beghini, prova addirittura a negare che Andrea avesse diritto a un indennizzo Inail, sostenendo che quello non fosse un infortunio sul lavoro. Poi sentenzia che non c’è alcuna connessione, nemmeno indiretta, tra quanto successo ad Andrea e l’attività lavorativa che stava svolgendo, in quanto aveva già timbrato il cartellino, era quindi fuori dall’orario di lavoro, non era stata sottratta merce dal supermercato, né il ragazzo era stato rapinato personalmente. Per lui non è stata una rapina finita male. Nessuna merce sottratta, nessuna rapina. Il giudice Beghini insinua addirittura che potrebbe essere stato un regolamento di conti. Solo congetture, nessuna prova, nulla che possa far sospettare che qualcuno volesse fare del male al ragazzo. Giusto giovedì sera, alle 19.30, in un altro Prix market, stavolta a Bagnoli di Sopra (Padova), due banditi hanno messo a segno una rapina armati di pistola. Anche stavolta non c’erano le telecamere. Ed è il quarto colpo in nove giorni.
Ciò che è certo in questa storia è che il crimine è avvenuto all’interno del posto di lavoro dove Andrea era assunto, le telecamere erano spente e chi ha sparato è entrato dal retro dell’edificio attraverso un ingresso lasciato aperto. In un Paese normale i titolari del Prix, se non delle colpe dirette, avrebbero senz’altro delle responsabilità. «L’aspetto principale è l’assenza di misure di sicurezza del supermercato», conclude Mion, «che avrebbero tutelato il personale e che avrebbero consentito con buona probabilità di sapere chi ha sparato. C’è una responsabilità della sentenza primo grado, a mio avviso molto modesta».
Per il deputato di Forza Italia, Enrico Costa, ex viceministro della Giustizia e oggi membro della commissione Giustizia della Camera, «ancora una volta giustizia non è fatta. Il responsabile di quell’atto non è stato trovato, abbiamo un ragazzo con una lesione permanente e una famiglia disperata alla quale è cambiata la vita da un momento all’altro. È loro diritto avere un risarcimento e ottenere giustizia».
L’assicurazione della Prix Quality Spa, tace e si rifiuta di pagare. Sapete quanto hanno offerto ad Andrea? Cinquantamila euro. Ecco quanto vale la vita di un ragazzo.
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Beppe Sala (Ansa)
«Il Comune di Milano ha premiato la Cgil con l’Ambrogino, la più importante benemerenza civica. Quello che vorremmo capire è perché lo stesso riconoscimento non sia stato assegnato anche alla Cisl. O alla Uil. Insomma, a tutto il movimento sindacale confederale», afferma Abimelech. Il segretario della Cisl richiama il peso organizzativo del sindacato sul territorio e il ruolo svolto nei luoghi di lavoro e nei servizi ai cittadini: «È una risposta che dobbiamo ai nostri 185.000 iscritti, ai delegati e alle delegate che si impegnano quotidianamente nelle aziende e negli uffici pubblici, alle tantissime persone che si rivolgono ai nostri sportelli diffusi in tutta l’area metropolitana per chiedere di essere tutelate e assistite».
Nel merito delle motivazioni che hanno accompagnato il riconoscimento alla Cgil, Abimelech solleva una serie di interrogativi sul mancato coinvolgimento delle altre sigle confederali. «Abbiamo letto le motivazioni del premio alla Cgil e allora ci chiediamo: la Cisl non è un presidio democratico e di sostegno a lavoratori e lavoratrici? Non è interlocutrice cruciale per istituzioni e imprese, impegnata nel tutelare qualità del lavoro, salute pubblica e futuro del territorio?», dichiara.
Il segretario generale elenca le attività svolte dal sindacato sul piano dei servizi e della rappresentanza: «Non offre servizi essenziali, dai Caf al Patronato, agli sportelli legali? Non promuove modelli di sviluppo equi, sostenibili e inclusivi? Non è vitale il suo ruolo nel dibattito sulle dinamiche della politica economica e industriale?».
Nella dichiarazione trova spazio anche il recente trasferimento della sede della sigla milanese. «In queste settimane la Cisl ha lasciato la sua “casa” storica di via Tadino 23, inaugurata nel 1961 dall’arcivescovo Giovanni Battisti Montini, il futuro Papa Paolo VI, per trasferirsi in una più grande e funzionale in via Valassina 22», ricorda Abimelech, sottolineando le ragioni dell’operazione: «Lo ha fatto proprio per migliorare il suo ruolo di servizio e tutela per i cittadini e gli iscritti».
La presa di posizione si chiude con un interrogativo rivolto direttamente all’amministrazione comunale: «Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati di serie A e di serie B? Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati amici e nemici?». Al sindaco Sala non resta che conferire con Abimelech e metterlo a parte delle risposte ai suoi interrogativi.
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