2024-08-27
Economia e sicurezza: la balla sui flussi non regge
Mentre in Italia si discute di come accelerare la concessione della cittadinanza agli stranieri, in Germania da qualche giorno ci si chiede se non sia il caso di fare il contrario, e tornare alle vecchie norme che rendevano più lungo il processo per diventare cittadini tedeschi. Prima erano necessari almeno otto anni di residenza continuativa, ora ridotti a cinque e per chi dimostra una forte integrazione scolastica e lavorativa addirittura a tre. In seguito ai fatti di Solingen, dove un richiedente asilo ha accoltellato a morte tre persone, ferendone altre otto, qualche esponente politico però ha cominciato a chiedersi se non sia il caso di tornare al passato. A dirlo non sono gli attivisti di Afd, il partito di destra che proprio sul tema dell’immigrazione in alcuni land ha conquistato la maggioranza, ma anche dirigenti della Csu, il partito cristiano sociale bavarese che da sempre è al governo.Del resto, dopo l’attentato in Germania c’è grande preoccupazione per la situazione di alcune città. E per questo c’è chi si chiede se non sia il caso di vietare di portare coltelli alle manifestazioni pubbliche, come cortei e concerti, e chi invece sollecita un giro di vite per quanto riguarda la concessione dello status di rifugiato, precisando che chi non ha diritto alla protezione umanitaria, come nel caso del killer di Solingen, non deve essere lasciato libero di andarsene a spasso per il Paese, ma deve essere accompagnato in fretta fuori dalla Germania.In pratica, il dibattito scaturito dopo i fatti di Solingen ha all’improvviso oscurato la questione del sostegno all’economia, che in questi anni, da Merkel in poi, è stato l’argomento centrale, con cui si sono spalancate le porte alla facile immigrazione. Con la motivazione che le aziende avevano bisogno di manodopera (a basso prezzo, ma questo si è capito dopo), la Germania ha consentito l’afflusso di centinaia di migliaia di stranieri. Ufficialmente, gli ingressi erano motivati da ragioni umanitarie, ma quelle vere che facevano cadere le barriere ai confini erano molto più materiali, perché nelle fabbriche del Paese c’era urgente bisogno di operai per continuare la produzione. Del resto, questo è l’argomento usato anche in Italia da chi reclama una politica migratoria che spalanchi le porte del Paese a milioni di stranieri. Lo ha detto il governatore della Banca d’Italia pochi giorni fa e lo ripetono a rullo editorialisti alla Fubini sul Corriere della Sera. Senza migranti il nostro Paese si impoverirà e non ci saranno soldi per pagare le pensioni. Sulle pagine del quotidiano di via Solferino, addirittura ogni due per tre si calcola di quanto caleranno i redditi degli italiani senza il contributo dei migranti e l’assenza di stranieri adesso è diventata la giustificazione di tutto, anche della carenza di personale al banco dei surgelati dei supermercati.L’ideologia dell’immigrazione, usata come spinta fondamentale per sostenere la crescita economica e dunque il benessere del Paese, si scontra però con la realtà e soprattutto con i numeri. Itinerari previdenziali, ufficio studi che analizza l’andamento della spesa pensionistica, ha spiegato come la convinzione che gli immigrati «ci pagheranno la pensione» sia una pia illusione, in quanto il presunto vantaggio di 36,5 miliardi di euro dato dal pagamento dei contributi da parte degli immigrati, non solo non è una posta attiva del bilancio dello Stato (ma semmai un debito che in futuro dovrà consentire di pagare le pensioni), ma a fronte di questo presunto «beneficio» corrisponde un costo, dato dalla spesa sanitaria generata dai nuovi arrivati a cui si aggiungono i costi dell’accoglienza. Per non parlare del prezzo da pagare per la sicurezza nazionale, di cui oggi la Germania si accorge con un certo ritardo, dopo essersi convinta che la manodopera pagata poco fosse solo un vantaggio per l’industria tedesca.Ma poi, per capire quanto sia falsa l’equazione migranti uguale crescita del Paese e della relativa ricchezza delle famiglie, basta guardare un dato e cioè la percentuale di extracomunitari in stato di indigenza o quasi. Il 35 per cento delle persone povere residenti in Italia è infatti di origine straniera e i due terzi degli immigrati occupati, regolarmente residenti, lavora nei settori caratterizzati da rilevanti quote di lavoro sommerso. In altre parole, non sono loro a contribuire alla crescita del benessere. Semmai del malessere.