L’Europa spinge la transizione eco senza comunicare l’ammontare dei fondi necessari e chi dovrà trovarli: gli Stati imbrigliati dal Patto di stabilità o l’Ue che continua ad alzare i tassi? Però chi lo dice viene attaccato.
L’Europa spinge la transizione eco senza comunicare l’ammontare dei fondi necessari e chi dovrà trovarli: gli Stati imbrigliati dal Patto di stabilità o l’Ue che continua ad alzare i tassi? Però chi lo dice viene attaccato.Sarebbe interessante sapere quanti, tra coloro che urlano all’apocalisse climatica, abbiano un’idea di ciò che comportano le soluzioni sin qui prospettate per arrivare ad azzerare le emissioni di CO2 nel 2050. Naturalmente, che Tizio o Caio affermino o neghino l’esistenza del nesso causale tra attività antropiche e cambiamento climatico non cambia la realtà: il mondo sta già operando come se questo esistesse. I governi di tutto il mondo stanno già assecondando la scienza, proprio come vogliono i titolisti con la bava alla bocca di certi giornali. Non saranno il tweet di Giraffina87 o un post su Facebook di «Alino da Foggia» a cambiare il corso delle cose. Gli Accordi di Parigi del 2015 sono stati ratificati da 195 Paesi su 198, compresi Cina, Usa, Russia e India e sono in vigore dal novembre 2016. L’Italia è già impegnata per legge a perseguire emissioni zero al 2050: la legge è entrata in vigore giusto due anni fa, il 29 luglio 2021. Si tratta del Regolamento 30 giugno 2021, numero 2021/1119/Ue, che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica. Il nostro Paese, assieme a tutta l’Ue, è vincolato e sta già spendendo e lavorando da anni per questo obiettivo, con una lunghissima serie di atti e provvedimenti corposi e articolati. Forse occorre sottolineare che la transizione ecologica, declinata nei vari Green deal continentali e nazionali, è un intreccio colossale di norme, investimenti, attività, trattati internazionali, sviluppi tecnologici e industriali, conseguenze socioeconomiche che ha dell’incredibile e che non ha precedenti nella storia. Mai prima d’ora il genere umano si è dedicato a una trasformazione globale, sincronizzata e pervasiva come questa. Mai prima d’ora si è verificata una tale potente convergenza di spinte politiche e interessi privati, tanto che siamo entrati di fatto in una fase di economia pianificata e diretta. Va da sé che la transizione ecologica rappresenta un business enorme.Considerata la portata dei cambiamenti in atto, che ci debba essere un dibattito dovrebbe essere pacifico. Invece, la cosa più incredibile che abbiamo letto in questi giorni è che non si deve discutere neppure delle soluzioni proposte. Se c’è qualcosa che va analizzato apertamente e fino in fondo, invece, è proprio il complesso delle soluzioni che vengono indicate, perché saranno i cittadini a subirne le conseguenze e questi devono esserne informati.Si può non negare il nesso causale ed essere duramente critici sulle soluzioni prospettate. Ma gli urlatori si guardano bene dal parlare dei paradossi, delle incongruenze, dei costi, dei vicoli ciechi a cui conducono i vari Green deal mondiali, e quello europeo in particolare. Il loro scopo è quello di creare una situazione emotiva di perenne emergenza, nella quale «non ci sono alternative» alle soluzioni proposte. Suona familiare?Quando si dice che occorre fare di più, o fare più in fretta, occorrerebbe anche dire quali sarebbero le conseguenze dell’accelerazione. Ma il rischio di avere dei cittadini informati è che questi non si conformino, quindi qualcuno pensa che sia meglio invocare la censura per chi solleva dei dubbi.Mercato o Stato?Abbiamo parlato di incongruenze. La più vistosa: gli investimenti. Secondo le istituzioni sovranazionali che guidano la transizione, molte delle soluzioni dovrebbero essere affidate al mercato. Poiché si crea ex lege una domanda, è il ragionamento, il mercato dal lato dell’offerta certamente fornirà tutto ciò che serve. Peccato che non sia affatto così. A oggi, la domanda di molte materie prime per la transizione (i metalli in particolare) non è particolarmente brillante, a causa dei timori per una recessione incombente. La Cina, il principale mercato delle materie prime, sta vivendo una ripresa incerta e più stentata rispetto alle attese, tanto che solo pochi giorni fa Pechino ha annunciato una serie di misure tese a sostenere la domanda interna, nella speranza di rianimare l’economia. Inoltre, i timori di un allungamento e di un ampliamento della guerra in Ucraina e i tassi di interesse ancora in crescita frenano gli investimenti. Gli investimenti per la transizione ecologica sono capital intensive, trattandosi di infrastrutture fisiche ad alto contenuto tecnologico, automobili e attività minerarie. Vi sono difficoltà anche tra gli operatori più a valle nella catena del valore. «L’aumento dell’inflazione e dei costi di capitale sta colpendo l’intero settore energetico, ma la situazione geopolitica ha reso l’eolico offshore e la sua catena di approvvigionamento particolarmente vulnerabili», ha detto pochi giorni il presidente e amministratore delegato di Vattenfall, Anna Borg, annunciando la sospensione del progetto eolico offshore britannico Norfolk Boreas. I costi sono troppo alti e l’investimento non ha più senso. La Borg ha anche avvertito che la Gran Bretagna potrebbe avere difficoltà a raggiungere i suoi obiettivi eolici «senza maggiori incentivi»: il mercato si appella a mamma Stato.È di qualche settimana fa la notizia delle difficoltà di Siemens Gamesa, che ha visto aumentare in maniera spropositata i costi per la manutenzione degli impianti eolici già avviati. Componentistica scadente o stress dei materiali sopra le attese comportano frequenti rotture delle turbine eoliche o malfunzionamenti. L’azienda è stata costretta ad avviare un piano di revisione di tutte le installazioni già operanti, il che appesantisce i costi e frena lo sviluppo di nuovi progetti.il reportÈ evidente che il mercato da solo non basta. Servono investimenti pubblici, se si vogliono raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Che siano incentivi o investimenti diretti, stiamo parlando di migliaia di miliardi di euro di investimenti per la sola Europa, da qui al 2050, difficile dire persino quanti. La Corte dei conti europea è già intervenuta su questo poche settimane fa con un report molto severo nei confronti della Commissione europea. Basta leggere il documento ufficiale. La Corte ha sottolineato come non vi sia nessuna stima affidabile degli investimenti necessari al Green deal europeo, né esista alcun indicatore di efficacia dei soldi spesi nella lotta alle emissioni di CO2. Cioè la Corte, una istituzione europea con sede in Lussemburgo, dice che stiamo spendendo un sacco di soldi ma non sappiamo se e quanto effettivamente questo serva a qualcosa. Non è una critica da poco, ma ovviamente nessun media ne ha parlato, eccezion fatta per La Verità.Se sono gli Stati a dover investire, vi è da chiedersi come possano farlo, dato che tra pochi mesi termina la sospensione del Patto di stabilità e dovrà iniziare la fase di rientro del debito. Come possiamo emettere nuovo debito se dobbiamo abbatterlo? Mistero. Nel frattempo, il quadro temporaneo sugli aiuti di Stato permette ad alcuni Paesi di finanziare iniziative nazionali, come sta accadendo in Francia e in Germania, di cui abbiamo dato conto da queste colonne pochi giorni fa. Ma se è solo lo spazio fiscale nazionale a permettere investimenti pubblici, è chiaro che per l’Italia non c’è la minima possibilità di mobilitare risorse. Dunque il Green deal italiano andrebbe a cozzare contro le restrizioni alla spesa pubblica, a meno di imporre per legge sulle spalle dei privati cittadini i costi della transizione. È questo ciò che ci aspetta?Deve forse essere l’Unione europea a emettere nuovo debito per finanziare il Green deal? Bene, ma la Bce ha alzato pochi giorni fa i tassi di interesse portandoli a 4,25%, mentre un anno fa i tassi erano a 0%. Dunque, nel momento in cui serve uno sforzo finanziario titanico per cambiare faccia al mondo, ci troviamo con il più alto tasso di interesse da 15 anni a questa parte. L’Ue si indebiterà a questi tassi? Anche immaginando di abbattere le resistenze dei soliti noti, chi comprerà l’immensa mole di debito necessaria a sbloccare gli investimenti, in un mondo già inondato di debiti? Il Next generation Eu, da cui sono discesi i Pnrr nazionali, è ben poca cosa rispetto alla massa di denaro necessaria. In ogni caso, è tutto debito che qualcuno prima o poi dovrà ripagare.Insomma, chi deve pagare il Green deal, e come? Come si esce da questo vicolo cieco? Mistero. Non sappiamo neppure quanto ci costerà davvero, alla fine, tutto questo. È uno scandalo parlare di queste cose? È uno scandalo dire che l’intero settore agricolo italiano (allevamenti compresi) emette meno gas serra della sola centrale elettrica polacca di Bełchatów? È uno scandalo dire che quest’anno la Cina brucerà più carbone dell’anno scorso, ai massimi storici, mentre l’Europa intera ne brucia circa un dodicesimo? E infine, rispetto a tutto ciò, è uno scandalo dire che l’adozione di una Ztl in una grande città non cambia di una virgola la situazione? Sarebbe scandaloso non farlo. Fare domande, porre questioni, evidenziare i problemi, sottolineare le aporie e le incongruenze significa fare informazione. Questo è ciò che deve fare un giornale, a dispetto dei censori di regime.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.