2020-03-14
«È partita la caccia alle nostre navi merci. Rischiamo la paralisi»
Il presidente di Federagenti Gian Enzo Duci: «Basta uno stop per un sospetto contagio e salta la catena degli approvvigionamenti. Cibo e carburanti su tutti».Professor Duci, come reagisce il mondo del mare alla crisi del Covid? «Mi viene in mente un proverbio cinese: «Se vuoi augurare a qualcuno qualcosa di male, auguragli di vivere un periodo interessante».E quindi? «Stiamo vivendo un periodo molto interessante. Anche perché chi come noi lavora con le navi ha ottimi squarci di visione sul futuro. Le movimentazioni delle navi segnano il futuro di un sistema». Mi spiega come?«Le faccio l'esempio delle navi portarinfuse più grandi. Le loro movimentazioni costituiscono un indice, il Baltic cape dry index, che sostanzialmente ci dice quanto si produrrà nel mondo». E come va? (Sorriso) «Ieri (l'altro ieri, ndr) è leggermente migliorato. Era a -347, e ha guadagnato 25 punti»Si fa per dire. «Questo però ci aiuta a capire il rischio sistema. Queste grandi navi da più di 200.000 tonnellate, oggi rendono 2.450 dollari al giorno e costa 30.000 dollari al giorno». Questo significa che ci sono armatori che stanno perdendo 27.000 dollari al giorno per ogni nave? «Sì. Non esiste armatore italiano in questo settore che in passato non sia fallito. Ci vuole un fegato così. Uno deve riuscire a dormire la notte». E chi ci riesce? «I greci per esempio. E poi i cinesi, che negli ultimi anni si sono assicurati il controllo questo settore strategico: carbone e minerale di ferro girano per il mondo con queste navi. Per la prima volta nella storia il coronavirus ha rallentato le due materie prime dell'economia mondiale». Erano le grandi arterie della globalizzazione. «Esatto. Il fattore tempo in questi giorni può cambiare le economie di grande scala del pianeta». Parla Gian Enzo Duci, professore di Economia marittima, presidente degli Agenti marittimi italiani. Duci, uomo che unendo le sue conoscenze sa tutto di navi e commerci, è uno di quelli da sentire per capire come gira il mondo in tempi come questi. Il mondo del mare che batte bandiera italiana è sotto attacco? «Stiamo vivendo giorni in cui la crisi del virus ha prodotto la caccia alle navi italiane. Ci boicottano. Pochi sanno che se si ferma questo polmone vitale dell'economia potranno mancare le merci sugli scaffali». Ritorniamo al primo segnale che arriva dal fermo delle grandi navi. «Cala il volume della produzione mondiale dell'acciaio. Ma questo può anche significare che se Ilva produce fa affari d'oro. Indiani e turchi già lo stanno facendo». Crolla il prezzo del greggio. «Il prezzo del petrolio basso rilancia il settore dello shipping. Faccio un esempio: due milioni di barili di petrolio li paghi 68 milioni di dollari». Prima questo carico ti costava 100 milioni. «Questo significa che nel tempo in cui una nave viaggia dal Golfo persico al Golfo del Messico si possono fare addirittura da 15 a 32 milioni di margine positivo». Perché quel Baltic dry Index che era sprofondato sottozero si muove di nuovo? «Per un solo motivo: le fabbriche cinesi lavorano di nuovo. Qui da noi tutto, ovviamente, è ritardato. In Italia stiamo subendo l'ondata di crisi prodotta dalla Cina. Meno navi porta container e meno carico in arrivo». E poi? «Il problema più grande è che le navi straniere iniziano ad avere dubbi se entrare nei porti italiani. Alcuni Paesi non accolgono le navi che hanno toccato i porti italiani entro il quattordicesimo giorno. Navi di bandiera italiana hanno problemi di equipaggio in tutta Europa». Mi faccia un quadro. «In Olanda, Spagna, Inghilterra, Cipro, Malta, Turchia, Portogallo e anche negli Stati Uniti, ci sono problemi per far transitare nei loro territori i marinai italiani che devono salire a bordo». Di cosa avete bisogno? «Abbiamo chiesto al governo l'estensione delle certificazioni che devono essere rinnovate, per impedire che una scadenza burocratica blocchi una intera nave nell'impossibilità di fare le visite. Oppure permettere di imbarcare equipaggi di nazionalità diversa. Se si fermano le nostre navi che in questo momento sono sotto attacco, si fermano gli approvvigionamenti merci della nostra grande distribuzione». Facciamo altri esempi. «C'è una traghetto italiano noleggiato in Spagna su cui doveva salire un medico italiano e scendere in medico italiano. Le autorità volevano impedire la staffetta. Oggi ci stanno impedendo l'accesso a porti limitrofi all'Italia. Albania e Malta - due nazioni amiche - hanno interrotto i collegamenti via traghetto». Fin quando possiamo reggere così? «Non ne ho idea. Nel momento in cui dovesse esserci un giro di vite ulteriore l'effetto si farebbe sentire in uno dei settori strategici del Paese, quello delle navi da carico liquido». Traduciamolo. «Se si bloccano queste navi nei porti italiani in poche settimane si resta senza benzina. Ci siamo abituati al just in time, non esiste una capacità di stoccaggio tale da sostenere questa emergenza». Ma anche sugli alimentari possono sorgere problemi? «Sì. Nessuno lo sa, ma la distribuzione del Nordovest ha già rischiato di rimanere senza ananas e banane. Per una di queste scaramucce si stava fermando l'unica grande nave che trasporta tutti i prodotti concorrenti di quel settore». Come mai? «Per le economie di scala con cui si organizzano i trasporti nel mondo globalizzato, molti produttori si muovono sulla stessa nave. Su quella nave c'era una marinaio con la febbre che poi, per fortuna è risultato negativo. Immaginate se fosse stato il contrario. Si fermava tutto». Quindi lei sa quanta autonomia di ananas e banane garantisce quella nave? «Una settimana in tutto il Nordovest. Fino a che non hanno fatto il tampone la nave era bloccata». Facciamo un altro esempio. «Gli iphone. L'hanno vestita in modo molto intelligente dal punto di vista di comunicazione, ma a Genova non c'è più un iphone nuovo nemmeno a pagarlo oro. Quando finisce lo stock finisce lo stock. Sta cambiando anche il mondo Amazon, senza troppo clamore. Fino a ieri un computer portatile te lo mandavano in giornata. Adesso ti dicono 10 giorni». Possibile che il sistema sia così vulnerabile?«Il mondo marittimo è il tessuto connettivo primario della globalizzazione. Fino a ieri garantiva efficienza a basso costo. Adesso, se con le quarantene e fermi degli equipaggi - giuso o meno non importa - salta il primo pre requisito, si ferma la catena di distribuzione della fabbrica mondo». Cosa stiamo imparando in queste ore?«Stiamo sperimentando che bloccare la libera circolazione delle persone significa anche bloccare la libera circolazione delle merci. Ed è un sistema pieno di effetti collaterali. La chiusura degli autogrill di notte mette a rischio la circolazione dei tir in autostrada». Perché i camionisti non si possono più lavare? «Esattamente. Ne bagno, né sosta, né rispetto delle misure di igiene. Molto di quello che in Italia cammina su gomma viene dal mare. Il 90% di quello che abbiamo attorno ha fatto almeno un passaggio in mare. Se la connettività via mare viene meno, viene meno anche buona parte della connettività su gomma».
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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