
Dal Regno Unito al Canada passando per gli Stati Uniti, negli ultimi dieci anni i minorenni che vogliono cambiare sesso sono aumentati a dismisura. Grazie a campagne ideologiche e pressioni delle associazioni.Nei mesi scorsi, come noto, l'Aifa (l'Agenzia italiana del farmaco) ha dato il via libera alla triptorelina, il medicinale che consente di bloccare la pubertà ai ragazzini intenzionati a cambiare sesso. Quando è uscita la notizia non ci sono state grandi reazioni da parte della politica e di ampi settori dell'opinione pubblica. Gli esperti, per lo più, hanno reagito allo stesso modo, cioè invitando blandamente alla prudenza. Secondo Laura Palazzani del Comitato nazionale di bioetica, la triptorelina è da utilizzare «solo in casi molto circoscritti, con prudenza, con una valutazione caso per caso». Leggermente più deciso è stato Maurizio Bini, luminare dell'ospedale Niguarda di Milano. La sensazione, tuttavia, è che la gestione della faccenda sia lasciata nelle mani dei medici: ci si affida al loro buonsenso. Purtroppo, però, le esperienze di altri Paesi non consentono di essere troppo ottimisti. Abbiamo raccontato ieri la rivolta del personale del Tavistock Centre di Londra, ovvero la clinica inglese - dipendente dal servizio sanitario nazionale che si occupa di disturbi dell'identità di genere. In quell'ospedale i farmaci che bloccano la pubertà sono somministrati da anni benché non si conoscano ancora bene gli effetti che possono avere su bambini e ragazzi. Secondo Carl Heneghan - autorevole professore di Oxford - dare medicinali di questo tipo ai minorenni significa di fatto «fare esperimenti sui bambini». Questa vicenda in Gran Bretagna ha creato un putiferio e se ne sono occupati i principali quotidiani, a partire dal Times. Dalle nostre parti, però, sembra che la lezione inglese non susciti particolari reazioni. Eppure, dopo la liberalizzazione della triptorelina, il rischio è anche qui accada ciò che è successo Oltremanica. Secondo i dati riportati dal Telegraph, tra il 2009 e il 2010 nel Regno Unito ci furono solo 40 ragazzine intenzionate a cambiare sesso. Nel 2017-2018 sono diventate 1.806, con un aumento del 450%. Nello stesso periodo, i maschi (sedicenti) trans sono passati da 57 a 713. Non è un fenomeno isolato. Ovunque i farmaci per il blocco della pubertà siano diffusi, nel giro di pochi anni si produce un aumento spropositato dei minorenni che chiedono la transizione. A febbraio, il Centers for Disease Control (Cdc) degli Stati Uniti ha pubblicato una ricerca inquietante, una sorta di sondaggio su larga scala condotto nelle scuole pubbliche che ha preso in esame 131.901 studenti. È emerso che il 2% degli alunni delle scuole superiori si identifica come transgender. È un numero impressionante, specie se si considera che i trans, negli Usa, nel 2016 erano circa lo 0,5% della popolazione. Una situazione analoga si è verificata in Canada. Qualche settimana fa la Cbc (l'emittente pubblica canadese) ha parlato di un aumento esponenziale di minorenni intenzionati a cambiare sesso. I responsabili dell'ospedale Cheo di Ottawa hanno raccontato che dieci anni fa avevano a che fare con uno o due casi l'anno di bambini trans. Nel 2018, invece, i casi sono stati 189. Il Children's Hospital della British Columbia, invece, aveva 20 minorenni trans nel 2013. Nel 2018 erano diventati 240. Perché accade tutto questo? Bisogna dire che la propaganda gioca un ruolo niente affatto secondario. Lisa Littman, studiosa della Brown University, ha mostrato in un recente articolo accademico che la pressione sociale (o il «contagio sociale») sono parecchio influenti. I ragazzi possono essere influenzati dagli amici, da ciò che leggono sul Web o vedono in televisione. Basta dare un'occhiata in giro per rendersi conto di quanto sia diffusa, specie nel settore dell'intrattenimento, l'ideologia Lgbt. Serie tv, reality show come I am Jazz, basato sulla vita di Jazz Jennings, che è nata maschio nel 2000 e ha iniziato il percorso di transizione appena 5 anni dopo. Anche in Italia sono arrivati prodotti televisivi come Butterfly, storia di un ragazzino di 11 anni che si identifica come femmina. Ovviamente, non basta guardare uno show per decidere di cambiare sesso. La pressione sociale viene esercitata a livello molto più ampio. Chi si occupa di disturbi del gender in Inghilterra lo ha sperimentato in prima persona. Cinque medici che si sono dimessi dal Tavistock Centre di Londra hanno raccontato al Times che «i gruppi di pressione transgender incoraggiano i giovani vulnerabili e le loro famiglie e li spingono a chiedere interventi chirurgici, indipendentemente dal fatto che gli specialisti concordino o meno». Associazioni Lgbt come Mermaids (Sirene), che si occupa appunto di minorenni trans, sono accusate dai dottori di convincere i ragazzini a fare ricorso ai farmaci e, poi, alla chirurgia. «Se dici le parole giuste», racconta un ex dipendente della clinica al Times, «avrai Mermaids dalla tua parte. A 11 anni ti somministreranno i bloccanti della pubertà e a 16 anni prenderai gli ormoni. Tutto questo non è etico». Nel nostro Paese non siamo ancora a questo punto. Maurizio Bini, qualche settimana fa, ci ha detto che, secondo lui, il contagio sociale riguardo ai minori trans ancora non si vede. Però il professore ammette che, negli ultimi anni, si è verificato un aumento della «fluidità sessuale». In quel caso, il contagio c'è stato eccome. Il fatto è che siamo agli inizi del processo e il rischio concreto è che fra cinque o dieci anni ci si ritrovi ad affrontare una situazione del tutto simile a quella inglese (o canadese o americana). Siamo ancora in tempo per cambiare rotta. Per farlo dovremmo prima riflettere a fondo sull'uso del farmaco trans e su alcuni presunti «diritti» arcobaleno. Ma appena qualcuno prova a sollevare dubbi, ecco che scatta l'accusa di «omotransfobia». C'è pure chi propone leggi liberticide per zittire ogni pensiero difforme. La propaganda, a quanto pare, è destinata a trionfare anche da noi.
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(IStock)
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