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2019-07-24
È il giorno dei soldi russi. Se Conte le volterà le spalle la Lega è pronta alla crisi
Ansa
Conte sulle montagne russe: oggi è il giorno decisivo per le sorti dell'ex avvocato del popolo, del governo da lui presieduto, della maggioranza Lega-M5s e (ma qui il discorso è più complesso) di questa legislatura. Alle 16.30 il premier Giuseppe Conte sarà in Senato per l'informativa sull'affaire Savoini, dopo essere stato protagonista alle 15 alla Camera di un question time al quale seguirà il voto di fiducia sul decreto Sicurezza bis, previsto per le 17.15. Conte al Senato darà quindi la sua versione sul Russiagate all'amatriciana. Subito dopo il premier verrà il momento di Matteo Renzi, che ha chiesto di intervenire «prima di Salvini». Il quale Matteo Salvini dovrebbe prendere la parola dai banchi della Lega, per quello che potrebbe essere l'intervento che mette fine all'esperienza del governo Conte. Condizionali indispensabili, visto che il leader del Carroccio, da consumato showman, tiene alta l'attesa: «Io domani (oggi per chi legge, ndr) sono a Roma, ma ho il Comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza sul tema immigrazione e non solo. Vediamo», ha risposto Salvini a chi gli ha chiesto se interverrà in aula, «se gli orari coincideranno o meno. A me pagano lo stipendio per risolvere i problemi legati alla criminalità e alla vita vera, non per commentare fantasie. Però vediamo, io domani sono a Roma, sono in ufficio di primo mattino».
Probabile che Salvini decida se intervenire o meno a seconda dei toni dell'informativa di Conte. Il quale è tra due fuochi: se cede alle insistenze dei suoi nuovi alleati, ovvero il Quirinale, l'Europa, la Banca centrale europea, e dei possibili nuovi alleati (il Pd) dovrà giocoforza bacchettare Salvini per i rapporti tra il suo entourage e i russi; se vuole invece sperare di restare a capo del governo del cambiamento, dovrà difendere Salvini come se fosse il più fedelissimo dei fedelissimi. Apprendista equilibrista, Conte spera ancora di poter restare a Palazzo Chigi, magari a capo di un «Conte bis», anche se la Lega staccherà la spina al governo, con il sostegno di una maggioranza arlecchino che sarebbe composta da Pd, M5s, Forza Italia e «responsabili» vari. La stessa maggioranza che, pensate un po', secondo qualcuno molto attivo in queste ore nei palazzi romani dovrebbe poi, nel 2022, riconfermare al Quirinale Sergio Mattarella per il secondo mandato quirinalizio. Le truppe leghiste sui territori intanto fremono: il voto a ottobre con Salvini a Palazzo Chigi è la richiesta unanime, pressante, quasi asfissiante che arriva al quartier generale del Carroccio da ogni parte d'Italia.
Ieri Salvini è tornato ad attaccare a muso duro il ministro grillino dei Trasporti, Danilo Toninelli: «Mi sembra chiaro ed evidente», ha detto il ministro dell'Interno, «che la Tav si farà. È un'opera fondamentale ma non è l'unica che un ministro ha bloccato. O il ministro dei blocchi sblocca, o non capisco cosa ci faccia al governo». Da parte sua, Luigi Di Maio è in enorme difficoltà. Ieri è stato cinicamente preso in giro anche da Beppe Grillo, che ha ironizzato pesantemente sul «mandato zero», la deroga alla regola dei due mandati varata per i consiglieri comunali del M5s: «Il mandato ora è in corso è il primo di un lungo viaggio», ha scritto Grillo sui social, pubblicando la canzone Se mi lasci non vale di Julio Iglesias, «...ma di andarmene a casa non ho proprio il coraggio…». «Mi auguro», ha detto Di Maio, «che possa esserci il prima possibile un incontro sia con Salvini sia con Conte. Io l'ho chiesto perché parlarci a mezzo stampa non è molto utile. Credo che stare al governo sia sempre delicato, significa», ha aggiunto il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, «portare a casa ogni giorno un risultato. Il caso Arata-Siri? Credo che questi temi in questo momento richiedano il massimo della chiarezza. È quello che ho chiesto anche alla magistratura. Per il resto», ha precisato Di Maio, «io non ho ragione di dubitare di Salvini. Noi lavoriamo bene insieme in questo governo e portiamo a casa i risultati».
Un Di Maio pomeridiano garantista, dunque, a differenza del Di Maio mattutino, che su Facebook aveva attaccato pesantemente la Lega: «Un po' di positività ci vuole», ha scritto il capo politico del M5s, «con tutte queste notizie che intossicano le giornate. Tipo questa storia di Arata che è inquietante. Diceva che siamo dei “rompic..." mentre parlava con la mafia. Un'altra medaglia al valore per il M5s. Vedete che facciamo bene a dire no quando serve? Anche perché di mio ho sempre diffidato da chi dice di sì a tutto e a tutti. Se da fuori ci vedono ancora come “spaghetti e mafia"», ha aggiunto Di Maio, «è perché i partiti ancora si imbarcano questa gente».
Dunque, tra attacchi, contrattacchi, accelerate e retromarce, siamo finalmente al giorno della verità. L'ala del M5s che vuole tenere in piedi a tutti i costi il governo è pronta a offrire a Matteo Salvini la testa (politicamente parlando) di Toninelli. Oggi, salvo imprevisti, sapremo se la maggioranza Lega-M5s è arrivata al capolinea.
Il massone dell’intrigo moscovita aveva una rete dalla Libia alla Serbia
Ci sono altre sliding doors nella vita dell'avvocato-massone Gianluca Meranda, indagato per corruzione internazionale a Milano per il Russiagate leghista. E non sono le porte scorrevoli dell'hotel Metropol, ma quelle di un albergo molto meno famoso. È un tre stelle di Roma e si chiama Piccadilly. Lo snodo, finora segreto, di una vita altrettanto misteriosa che nessuno davvero conosce. Forse neppure la moglie. Ma partiamo dalla sala centrale del Metropol di Mosca, quasi una tappa obbligata per chi vuole respirare l'aria della storia. Oggi i turisti in quelle stanze possono sorseggiare il borsch, ma un tempo qui uomini senza pietà combattevano la Guerra fredda offrendo agli sfortunati ospiti ben altri menù. Da quelle sale sono passati personaggi come Tolstoj, Lenin, Kennedy e Gorbaciov. La mattina del 18 ottobre del 2018 nel salone centrale, quello delle colazioni, c'erano un gruppo di russi e uno di italiani che parlavano fitto. Tra questi l'ex portavoce di Matteo Salvini, Gianluca Savoini. Ma come spesso succede al Metropol non erano soli. Il vicepresidente di Confindustria Russia, Fabrizio Candoni, è molto chiaro al riguardo: «Al Metropol non si porta nemmeno l'amante, a meno che non ci si voglia fare una recita. Là sei sempre in mondovisione». Le microspie sono numerose almeno quanto i croissant. Ma un uomo adatto a quella recita forse c'era. Gianluca Meranda è un Maestro venerabile della massoneria. E grazie al grembiulino è entrato in contatto con il mondo slavo nelle sue declinazioni più inquietanti. La sua storia apre piste libiche, ma anche balcaniche. Collega islamismo e religione ortodossa, massoneria e ateismo. Ma soprattutto è un rabdomante del petrolio. Dove c'è l'oro nero, spunta lui. In Libia, Algeria, Russia. Classe 1970, cosentino, è un tipo che colpisce anche per il look non banale. Un gran frequentatore di cene romane, di circoli sul Tevere, di personaggi di tutto il mondo che blandisce con i suoi modi eleganti e le sue chiacchiere fluenti. Anche perché Meranda è poliglotta, inglese, francese, russo, persino un po' di svedese. Un avvocato «internazionalista» con studio al fianco del palazzo della Marina militare, la costola italiana del noto Sq law di Bruxelles. [...] Ma quando i finanzieri sono andati a bussare alla sua porta, nell'appartamento non certo lussuoso di via Acherusio, hanno trovato l'altro Meranda, quello che l'1 giugno è stato sfrattato dallo studio e che, per problemi economici, teneva gli scatoloni con le sue carte presso un'autorimessa perché non era riuscito nemmeno a pagare la ditta di traslochi che aveva svuotato le stanze del Lungotevere. È lo stesso che era diventato socio del cognato Giovanni in una impresa edile miseramente fallita. Anche la casa in cui sono entrati i militari delle Fiamme gialle non rispecchia l'immagine che Meranda ha sempre cercato di dare all'esterno di sé. Si tratta di una banale truffatore o è finito in giri che lo hanno condotto in disgrazia? [...]
A noi interessa invece provare a lumeggiare il lato oscuro di Meranda. E che è, in parte, raccontato nelle carte segretate che il Gran Maestro Massimo Criscuoli Tortora ha depositato presso la commissione Antimafia nel 2017, quando venne convocato dal presidente Rosy Bindi per parlare di mafia e massoneria. Infatti la Bindi e i suoi commissari erano convinti che la primula rossa della Piovra, Matteo Messina Denaro, fosse coperto da una loggia deviata trapanese. Criscuoli Tortora, come si può ancora ascoltare nelle registrazioni della sua audizione su Radio radicale, accettò questa singolare intromissione della politica nella Fratellanza da uomo di mondo. «Abbiamo qualche problema a consegnarvi gli elenchi dei nostri iscritti per via della privacy ma se mi arriva una richiesta ufficiale, se lei me lo ordina, io vi do la chiave della cassaforte e vado al bar» rispose alla Bindi il 24 gennaio 2017. [...]
È lui che per primo, il 21 ottobre 2015, ha messo sotto i riflettori l'avvocato del Russiagate, il massone elegante e poliglotta, di cui era stato anche vicino di scrivania quando aveva occupato una stanza nel grande ufficio di Lungotevere per sbrigare gli affari della sua piccola casa editrice. Il Gran Maestro ha firmato il decreto magistrale 183, un provvedimento di espulsione immediata a cui l'avvocato calabrese non si è opposto. L'intestazione era solenne: «Noi Massimo Criscuoli Tortora XIV Gran maestro per i poteri e le prerogative a noi conferiti dalla costituzione e dal regolamento dell'ordine…». Seguivano, come in un decreto presidenziale gli articoli del regolamento dell'ordine violati da Meranda le sue «colpe gravi» e «gravissime». Meranda veniva espulso «per aver attentato all'armonia e all'integrità della comunione massonica italiana Serenissima gran loggia d'Italia e in particolare per la ribellione contro il Gran maestro e le autorità massoniche e la violazione dei principi fondamentali della massoneria comunque posta in essere».
[...] Ma andiamo nel dettaglio. Meranda è entrato in massoneria attraverso la Gran Loggia di via Tosti e oggi farebbe parte della loggia Salvador Allende del Grande Oriente di Francia, l'obbedienza atea, quella che ha abolito la storica figura del Grande architetto e il volume della legge sacra. Ma tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014 si presenta alla Serenissima gran loggia con un piano che secondo Criscuoli Tortora era chiarissimo: destituirlo. Meranda fa entrare con sé una quindicina di fratelli di altre obbedienze come se volesse lanciare una Opa sulla Serenissima. Ottiene di rifondare una loggia, la De dignitate hominis, e di divenirne il maestro venerabile. Il tempio si trovava a Roma in via Terni 62. Meranda in quella nuova avventura porta con sé un generale dell'esercito in pensione, D.P., che aveva operato per quasi tutta la carriera nel Sismi, i servizi segreti esteri, un noto costruttore calabrese, un mediatore italiano di petrolio in Algeria. Dopo l'espulsione di Meranda, anche i suoi uomini si dimisero in blocco e dopo qualche tempo alla Serenissima seppero che in una «dimora» nel quartiere Appio-Latino, a Roma, si era tenuto il battesimo della Protective, una loggia riservata serba che aveva filiali anche in Ungheria e Romania. Ma che soprattutto era un viatico con la massoneria russa e i suoi gran maestri. I nuovi fratelli avevano alloggiato e preparato la cerimonia d'iniziazione nell'hotel Piccadilly della catena Best Western di via Magna Grecia. Una struttura non certo monumentale come il Metropol, e di sicuro tutt'altro che compromettente, scelta forse perché richiamava alla memoria la statua londinese dell'ammiraglio Horatio Nelson, Gran maestro della massoneria inglese, che si trova a Piccadilly Circus. Un episodio che Criscuoli Tortora, come risulta a Panorama, ha denunciato nel suo dossier, inserendo, come si legge nelle carte, anche nomi pesantissimi della vecchia nomenclatura serba.
[...] Il suo braccio destro era, però, un italiano convertitosi all'Islam. Si chiama Gianluigi Biagioni Gazzoli, detto Khaled, e ha una storia davvero interessante. Originario di Misurata (Libia), ha sempre avuto stretti rapporti con il paese d'origine e con le associazioni filogovernative anche ai tempi del colonnello Gheddafi. Insegnante di arabo, segretario generale della Unione islamica d'Occidente, la più antica d'Italia, è stato anche candidato alla Camera, nel 2006, per l'Udeur di Clemente Mastella.
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Il premier riferirà al Senato sul Metropol: Europa e sinistra tifano per un attacco ai leghisti. Il Carroccio spinge il leader allo strappo: «Torniamo alle urne da soli». Il massone dell'intrigo moscovita aveva una rete dalla Libia alla Serbia. L'avvocato Gianluca Meranda, su cui l'Antimafia ha aperto un fascicolo, si era procurato contatti nei Balcani e il suo braccio destro era un tale Khaled, nato a Misurata e convertito all'islam. Lo speciale comprende due articli. Conte sulle montagne russe: oggi è il giorno decisivo per le sorti dell'ex avvocato del popolo, del governo da lui presieduto, della maggioranza Lega-M5s e (ma qui il discorso è più complesso) di questa legislatura. Alle 16.30 il premier Giuseppe Conte sarà in Senato per l'informativa sull'affaire Savoini, dopo essere stato protagonista alle 15 alla Camera di un question time al quale seguirà il voto di fiducia sul decreto Sicurezza bis, previsto per le 17.15. Conte al Senato darà quindi la sua versione sul Russiagate all'amatriciana. Subito dopo il premier verrà il momento di Matteo Renzi, che ha chiesto di intervenire «prima di Salvini». Il quale Matteo Salvini dovrebbe prendere la parola dai banchi della Lega, per quello che potrebbe essere l'intervento che mette fine all'esperienza del governo Conte. Condizionali indispensabili, visto che il leader del Carroccio, da consumato showman, tiene alta l'attesa: «Io domani (oggi per chi legge, ndr) sono a Roma, ma ho il Comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza sul tema immigrazione e non solo. Vediamo», ha risposto Salvini a chi gli ha chiesto se interverrà in aula, «se gli orari coincideranno o meno. A me pagano lo stipendio per risolvere i problemi legati alla criminalità e alla vita vera, non per commentare fantasie. Però vediamo, io domani sono a Roma, sono in ufficio di primo mattino». Probabile che Salvini decida se intervenire o meno a seconda dei toni dell'informativa di Conte. Il quale è tra due fuochi: se cede alle insistenze dei suoi nuovi alleati, ovvero il Quirinale, l'Europa, la Banca centrale europea, e dei possibili nuovi alleati (il Pd) dovrà giocoforza bacchettare Salvini per i rapporti tra il suo entourage e i russi; se vuole invece sperare di restare a capo del governo del cambiamento, dovrà difendere Salvini come se fosse il più fedelissimo dei fedelissimi. Apprendista equilibrista, Conte spera ancora di poter restare a Palazzo Chigi, magari a capo di un «Conte bis», anche se la Lega staccherà la spina al governo, con il sostegno di una maggioranza arlecchino che sarebbe composta da Pd, M5s, Forza Italia e «responsabili» vari. La stessa maggioranza che, pensate un po', secondo qualcuno molto attivo in queste ore nei palazzi romani dovrebbe poi, nel 2022, riconfermare al Quirinale Sergio Mattarella per il secondo mandato quirinalizio. Le truppe leghiste sui territori intanto fremono: il voto a ottobre con Salvini a Palazzo Chigi è la richiesta unanime, pressante, quasi asfissiante che arriva al quartier generale del Carroccio da ogni parte d'Italia. Ieri Salvini è tornato ad attaccare a muso duro il ministro grillino dei Trasporti, Danilo Toninelli: «Mi sembra chiaro ed evidente», ha detto il ministro dell'Interno, «che la Tav si farà. È un'opera fondamentale ma non è l'unica che un ministro ha bloccato. O il ministro dei blocchi sblocca, o non capisco cosa ci faccia al governo». Da parte sua, Luigi Di Maio è in enorme difficoltà. Ieri è stato cinicamente preso in giro anche da Beppe Grillo, che ha ironizzato pesantemente sul «mandato zero», la deroga alla regola dei due mandati varata per i consiglieri comunali del M5s: «Il mandato ora è in corso è il primo di un lungo viaggio», ha scritto Grillo sui social, pubblicando la canzone Se mi lasci non vale di Julio Iglesias, «...ma di andarmene a casa non ho proprio il coraggio…». «Mi auguro», ha detto Di Maio, «che possa esserci il prima possibile un incontro sia con Salvini sia con Conte. Io l'ho chiesto perché parlarci a mezzo stampa non è molto utile. Credo che stare al governo sia sempre delicato, significa», ha aggiunto il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, «portare a casa ogni giorno un risultato. Il caso Arata-Siri? Credo che questi temi in questo momento richiedano il massimo della chiarezza. È quello che ho chiesto anche alla magistratura. Per il resto», ha precisato Di Maio, «io non ho ragione di dubitare di Salvini. Noi lavoriamo bene insieme in questo governo e portiamo a casa i risultati». Un Di Maio pomeridiano garantista, dunque, a differenza del Di Maio mattutino, che su Facebook aveva attaccato pesantemente la Lega: «Un po' di positività ci vuole», ha scritto il capo politico del M5s, «con tutte queste notizie che intossicano le giornate. Tipo questa storia di Arata che è inquietante. Diceva che siamo dei “rompic..." mentre parlava con la mafia. Un'altra medaglia al valore per il M5s. Vedete che facciamo bene a dire no quando serve? Anche perché di mio ho sempre diffidato da chi dice di sì a tutto e a tutti. Se da fuori ci vedono ancora come “spaghetti e mafia"», ha aggiunto Di Maio, «è perché i partiti ancora si imbarcano questa gente». Dunque, tra attacchi, contrattacchi, accelerate e retromarce, siamo finalmente al giorno della verità. L'ala del M5s che vuole tenere in piedi a tutti i costi il governo è pronta a offrire a Matteo Salvini la testa (politicamente parlando) di Toninelli. 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Forse neppure la moglie. Ma partiamo dalla sala centrale del Metropol di Mosca, quasi una tappa obbligata per chi vuole respirare l'aria della storia. Oggi i turisti in quelle stanze possono sorseggiare il borsch, ma un tempo qui uomini senza pietà combattevano la Guerra fredda offrendo agli sfortunati ospiti ben altri menù. Da quelle sale sono passati personaggi come Tolstoj, Lenin, Kennedy e Gorbaciov. La mattina del 18 ottobre del 2018 nel salone centrale, quello delle colazioni, c'erano un gruppo di russi e uno di italiani che parlavano fitto. Tra questi l'ex portavoce di Matteo Salvini, Gianluca Savoini. Ma come spesso succede al Metropol non erano soli. Il vicepresidente di Confindustria Russia, Fabrizio Candoni, è molto chiaro al riguardo: «Al Metropol non si porta nemmeno l'amante, a meno che non ci si voglia fare una recita. Là sei sempre in mondovisione». Le microspie sono numerose almeno quanto i croissant. Ma un uomo adatto a quella recita forse c'era. Gianluca Meranda è un Maestro venerabile della massoneria. E grazie al grembiulino è entrato in contatto con il mondo slavo nelle sue declinazioni più inquietanti. La sua storia apre piste libiche, ma anche balcaniche. Collega islamismo e religione ortodossa, massoneria e ateismo. Ma soprattutto è un rabdomante del petrolio. Dove c'è l'oro nero, spunta lui. In Libia, Algeria, Russia. Classe 1970, cosentino, è un tipo che colpisce anche per il look non banale. Un gran frequentatore di cene romane, di circoli sul Tevere, di personaggi di tutto il mondo che blandisce con i suoi modi eleganti e le sue chiacchiere fluenti. Anche perché Meranda è poliglotta, inglese, francese, russo, persino un po' di svedese. Un avvocato «internazionalista» con studio al fianco del palazzo della Marina militare, la costola italiana del noto Sq law di Bruxelles. [...] Ma quando i finanzieri sono andati a bussare alla sua porta, nell'appartamento non certo lussuoso di via Acherusio, hanno trovato l'altro Meranda, quello che l'1 giugno è stato sfrattato dallo studio e che, per problemi economici, teneva gli scatoloni con le sue carte presso un'autorimessa perché non era riuscito nemmeno a pagare la ditta di traslochi che aveva svuotato le stanze del Lungotevere. È lo stesso che era diventato socio del cognato Giovanni in una impresa edile miseramente fallita. Anche la casa in cui sono entrati i militari delle Fiamme gialle non rispecchia l'immagine che Meranda ha sempre cercato di dare all'esterno di sé. Si tratta di una banale truffatore o è finito in giri che lo hanno condotto in disgrazia? [...] A noi interessa invece provare a lumeggiare il lato oscuro di Meranda. E che è, in parte, raccontato nelle carte segretate che il Gran Maestro Massimo Criscuoli Tortora ha depositato presso la commissione Antimafia nel 2017, quando venne convocato dal presidente Rosy Bindi per parlare di mafia e massoneria. Infatti la Bindi e i suoi commissari erano convinti che la primula rossa della Piovra, Matteo Messina Denaro, fosse coperto da una loggia deviata trapanese. Criscuoli Tortora, come si può ancora ascoltare nelle registrazioni della sua audizione su Radio radicale, accettò questa singolare intromissione della politica nella Fratellanza da uomo di mondo. «Abbiamo qualche problema a consegnarvi gli elenchi dei nostri iscritti per via della privacy ma se mi arriva una richiesta ufficiale, se lei me lo ordina, io vi do la chiave della cassaforte e vado al bar» rispose alla Bindi il 24 gennaio 2017. [...] È lui che per primo, il 21 ottobre 2015, ha messo sotto i riflettori l'avvocato del Russiagate, il massone elegante e poliglotta, di cui era stato anche vicino di scrivania quando aveva occupato una stanza nel grande ufficio di Lungotevere per sbrigare gli affari della sua piccola casa editrice. Il Gran Maestro ha firmato il decreto magistrale 183, un provvedimento di espulsione immediata a cui l'avvocato calabrese non si è opposto. L'intestazione era solenne: «Noi Massimo Criscuoli Tortora XIV Gran maestro per i poteri e le prerogative a noi conferiti dalla costituzione e dal regolamento dell'ordine…». Seguivano, come in un decreto presidenziale gli articoli del regolamento dell'ordine violati da Meranda le sue «colpe gravi» e «gravissime». Meranda veniva espulso «per aver attentato all'armonia e all'integrità della comunione massonica italiana Serenissima gran loggia d'Italia e in particolare per la ribellione contro il Gran maestro e le autorità massoniche e la violazione dei principi fondamentali della massoneria comunque posta in essere». [...] Ma andiamo nel dettaglio. Meranda è entrato in massoneria attraverso la Gran Loggia di via Tosti e oggi farebbe parte della loggia Salvador Allende del Grande Oriente di Francia, l'obbedienza atea, quella che ha abolito la storica figura del Grande architetto e il volume della legge sacra. Ma tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014 si presenta alla Serenissima gran loggia con un piano che secondo Criscuoli Tortora era chiarissimo: destituirlo. Meranda fa entrare con sé una quindicina di fratelli di altre obbedienze come se volesse lanciare una Opa sulla Serenissima. Ottiene di rifondare una loggia, la De dignitate hominis, e di divenirne il maestro venerabile. Il tempio si trovava a Roma in via Terni 62. Meranda in quella nuova avventura porta con sé un generale dell'esercito in pensione, D.P., che aveva operato per quasi tutta la carriera nel Sismi, i servizi segreti esteri, un noto costruttore calabrese, un mediatore italiano di petrolio in Algeria. Dopo l'espulsione di Meranda, anche i suoi uomini si dimisero in blocco e dopo qualche tempo alla Serenissima seppero che in una «dimora» nel quartiere Appio-Latino, a Roma, si era tenuto il battesimo della Protective, una loggia riservata serba che aveva filiali anche in Ungheria e Romania. Ma che soprattutto era un viatico con la massoneria russa e i suoi gran maestri. I nuovi fratelli avevano alloggiato e preparato la cerimonia d'iniziazione nell'hotel Piccadilly della catena Best Western di via Magna Grecia. Una struttura non certo monumentale come il Metropol, e di sicuro tutt'altro che compromettente, scelta forse perché richiamava alla memoria la statua londinese dell'ammiraglio Horatio Nelson, Gran maestro della massoneria inglese, che si trova a Piccadilly Circus. Un episodio che Criscuoli Tortora, come risulta a Panorama, ha denunciato nel suo dossier, inserendo, come si legge nelle carte, anche nomi pesantissimi della vecchia nomenclatura serba. [...] Il suo braccio destro era, però, un italiano convertitosi all'Islam. Si chiama Gianluigi Biagioni Gazzoli, detto Khaled, e ha una storia davvero interessante. Originario di Misurata (Libia), ha sempre avuto stretti rapporti con il paese d'origine e con le associazioni filogovernative anche ai tempi del colonnello Gheddafi. Insegnante di arabo, segretario generale della Unione islamica d'Occidente, la più antica d'Italia, è stato anche candidato alla Camera, nel 2006, per l'Udeur di Clemente Mastella.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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