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2019-07-24
È il giorno dei soldi russi. Se Conte le volterà le spalle la Lega è pronta alla crisi
Ansa
Conte sulle montagne russe: oggi è il giorno decisivo per le sorti dell'ex avvocato del popolo, del governo da lui presieduto, della maggioranza Lega-M5s e (ma qui il discorso è più complesso) di questa legislatura. Alle 16.30 il premier Giuseppe Conte sarà in Senato per l'informativa sull'affaire Savoini, dopo essere stato protagonista alle 15 alla Camera di un question time al quale seguirà il voto di fiducia sul decreto Sicurezza bis, previsto per le 17.15. Conte al Senato darà quindi la sua versione sul Russiagate all'amatriciana. Subito dopo il premier verrà il momento di Matteo Renzi, che ha chiesto di intervenire «prima di Salvini». Il quale Matteo Salvini dovrebbe prendere la parola dai banchi della Lega, per quello che potrebbe essere l'intervento che mette fine all'esperienza del governo Conte. Condizionali indispensabili, visto che il leader del Carroccio, da consumato showman, tiene alta l'attesa: «Io domani (oggi per chi legge, ndr) sono a Roma, ma ho il Comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza sul tema immigrazione e non solo. Vediamo», ha risposto Salvini a chi gli ha chiesto se interverrà in aula, «se gli orari coincideranno o meno. A me pagano lo stipendio per risolvere i problemi legati alla criminalità e alla vita vera, non per commentare fantasie. Però vediamo, io domani sono a Roma, sono in ufficio di primo mattino».
Probabile che Salvini decida se intervenire o meno a seconda dei toni dell'informativa di Conte. Il quale è tra due fuochi: se cede alle insistenze dei suoi nuovi alleati, ovvero il Quirinale, l'Europa, la Banca centrale europea, e dei possibili nuovi alleati (il Pd) dovrà giocoforza bacchettare Salvini per i rapporti tra il suo entourage e i russi; se vuole invece sperare di restare a capo del governo del cambiamento, dovrà difendere Salvini come se fosse il più fedelissimo dei fedelissimi. Apprendista equilibrista, Conte spera ancora di poter restare a Palazzo Chigi, magari a capo di un «Conte bis», anche se la Lega staccherà la spina al governo, con il sostegno di una maggioranza arlecchino che sarebbe composta da Pd, M5s, Forza Italia e «responsabili» vari. La stessa maggioranza che, pensate un po', secondo qualcuno molto attivo in queste ore nei palazzi romani dovrebbe poi, nel 2022, riconfermare al Quirinale Sergio Mattarella per il secondo mandato quirinalizio. Le truppe leghiste sui territori intanto fremono: il voto a ottobre con Salvini a Palazzo Chigi è la richiesta unanime, pressante, quasi asfissiante che arriva al quartier generale del Carroccio da ogni parte d'Italia.
Ieri Salvini è tornato ad attaccare a muso duro il ministro grillino dei Trasporti, Danilo Toninelli: «Mi sembra chiaro ed evidente», ha detto il ministro dell'Interno, «che la Tav si farà. È un'opera fondamentale ma non è l'unica che un ministro ha bloccato. O il ministro dei blocchi sblocca, o non capisco cosa ci faccia al governo». Da parte sua, Luigi Di Maio è in enorme difficoltà. Ieri è stato cinicamente preso in giro anche da Beppe Grillo, che ha ironizzato pesantemente sul «mandato zero», la deroga alla regola dei due mandati varata per i consiglieri comunali del M5s: «Il mandato ora è in corso è il primo di un lungo viaggio», ha scritto Grillo sui social, pubblicando la canzone Se mi lasci non vale di Julio Iglesias, «...ma di andarmene a casa non ho proprio il coraggio…». «Mi auguro», ha detto Di Maio, «che possa esserci il prima possibile un incontro sia con Salvini sia con Conte. Io l'ho chiesto perché parlarci a mezzo stampa non è molto utile. Credo che stare al governo sia sempre delicato, significa», ha aggiunto il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, «portare a casa ogni giorno un risultato. Il caso Arata-Siri? Credo che questi temi in questo momento richiedano il massimo della chiarezza. È quello che ho chiesto anche alla magistratura. Per il resto», ha precisato Di Maio, «io non ho ragione di dubitare di Salvini. Noi lavoriamo bene insieme in questo governo e portiamo a casa i risultati».
Un Di Maio pomeridiano garantista, dunque, a differenza del Di Maio mattutino, che su Facebook aveva attaccato pesantemente la Lega: «Un po' di positività ci vuole», ha scritto il capo politico del M5s, «con tutte queste notizie che intossicano le giornate. Tipo questa storia di Arata che è inquietante. Diceva che siamo dei “rompic..." mentre parlava con la mafia. Un'altra medaglia al valore per il M5s. Vedete che facciamo bene a dire no quando serve? Anche perché di mio ho sempre diffidato da chi dice di sì a tutto e a tutti. Se da fuori ci vedono ancora come “spaghetti e mafia"», ha aggiunto Di Maio, «è perché i partiti ancora si imbarcano questa gente».
Dunque, tra attacchi, contrattacchi, accelerate e retromarce, siamo finalmente al giorno della verità. L'ala del M5s che vuole tenere in piedi a tutti i costi il governo è pronta a offrire a Matteo Salvini la testa (politicamente parlando) di Toninelli. Oggi, salvo imprevisti, sapremo se la maggioranza Lega-M5s è arrivata al capolinea.
Il massone dell’intrigo moscovita aveva una rete dalla Libia alla Serbia
Ci sono altre sliding doors nella vita dell'avvocato-massone Gianluca Meranda, indagato per corruzione internazionale a Milano per il Russiagate leghista. E non sono le porte scorrevoli dell'hotel Metropol, ma quelle di un albergo molto meno famoso. È un tre stelle di Roma e si chiama Piccadilly. Lo snodo, finora segreto, di una vita altrettanto misteriosa che nessuno davvero conosce. Forse neppure la moglie. Ma partiamo dalla sala centrale del Metropol di Mosca, quasi una tappa obbligata per chi vuole respirare l'aria della storia. Oggi i turisti in quelle stanze possono sorseggiare il borsch, ma un tempo qui uomini senza pietà combattevano la Guerra fredda offrendo agli sfortunati ospiti ben altri menù. Da quelle sale sono passati personaggi come Tolstoj, Lenin, Kennedy e Gorbaciov. La mattina del 18 ottobre del 2018 nel salone centrale, quello delle colazioni, c'erano un gruppo di russi e uno di italiani che parlavano fitto. Tra questi l'ex portavoce di Matteo Salvini, Gianluca Savoini. Ma come spesso succede al Metropol non erano soli. Il vicepresidente di Confindustria Russia, Fabrizio Candoni, è molto chiaro al riguardo: «Al Metropol non si porta nemmeno l'amante, a meno che non ci si voglia fare una recita. Là sei sempre in mondovisione». Le microspie sono numerose almeno quanto i croissant. Ma un uomo adatto a quella recita forse c'era. Gianluca Meranda è un Maestro venerabile della massoneria. E grazie al grembiulino è entrato in contatto con il mondo slavo nelle sue declinazioni più inquietanti. La sua storia apre piste libiche, ma anche balcaniche. Collega islamismo e religione ortodossa, massoneria e ateismo. Ma soprattutto è un rabdomante del petrolio. Dove c'è l'oro nero, spunta lui. In Libia, Algeria, Russia. Classe 1970, cosentino, è un tipo che colpisce anche per il look non banale. Un gran frequentatore di cene romane, di circoli sul Tevere, di personaggi di tutto il mondo che blandisce con i suoi modi eleganti e le sue chiacchiere fluenti. Anche perché Meranda è poliglotta, inglese, francese, russo, persino un po' di svedese. Un avvocato «internazionalista» con studio al fianco del palazzo della Marina militare, la costola italiana del noto Sq law di Bruxelles. [...] Ma quando i finanzieri sono andati a bussare alla sua porta, nell'appartamento non certo lussuoso di via Acherusio, hanno trovato l'altro Meranda, quello che l'1 giugno è stato sfrattato dallo studio e che, per problemi economici, teneva gli scatoloni con le sue carte presso un'autorimessa perché non era riuscito nemmeno a pagare la ditta di traslochi che aveva svuotato le stanze del Lungotevere. È lo stesso che era diventato socio del cognato Giovanni in una impresa edile miseramente fallita. Anche la casa in cui sono entrati i militari delle Fiamme gialle non rispecchia l'immagine che Meranda ha sempre cercato di dare all'esterno di sé. Si tratta di una banale truffatore o è finito in giri che lo hanno condotto in disgrazia? [...]
A noi interessa invece provare a lumeggiare il lato oscuro di Meranda. E che è, in parte, raccontato nelle carte segretate che il Gran Maestro Massimo Criscuoli Tortora ha depositato presso la commissione Antimafia nel 2017, quando venne convocato dal presidente Rosy Bindi per parlare di mafia e massoneria. Infatti la Bindi e i suoi commissari erano convinti che la primula rossa della Piovra, Matteo Messina Denaro, fosse coperto da una loggia deviata trapanese. Criscuoli Tortora, come si può ancora ascoltare nelle registrazioni della sua audizione su Radio radicale, accettò questa singolare intromissione della politica nella Fratellanza da uomo di mondo. «Abbiamo qualche problema a consegnarvi gli elenchi dei nostri iscritti per via della privacy ma se mi arriva una richiesta ufficiale, se lei me lo ordina, io vi do la chiave della cassaforte e vado al bar» rispose alla Bindi il 24 gennaio 2017. [...]
È lui che per primo, il 21 ottobre 2015, ha messo sotto i riflettori l'avvocato del Russiagate, il massone elegante e poliglotta, di cui era stato anche vicino di scrivania quando aveva occupato una stanza nel grande ufficio di Lungotevere per sbrigare gli affari della sua piccola casa editrice. Il Gran Maestro ha firmato il decreto magistrale 183, un provvedimento di espulsione immediata a cui l'avvocato calabrese non si è opposto. L'intestazione era solenne: «Noi Massimo Criscuoli Tortora XIV Gran maestro per i poteri e le prerogative a noi conferiti dalla costituzione e dal regolamento dell'ordine…». Seguivano, come in un decreto presidenziale gli articoli del regolamento dell'ordine violati da Meranda le sue «colpe gravi» e «gravissime». Meranda veniva espulso «per aver attentato all'armonia e all'integrità della comunione massonica italiana Serenissima gran loggia d'Italia e in particolare per la ribellione contro il Gran maestro e le autorità massoniche e la violazione dei principi fondamentali della massoneria comunque posta in essere».
[...] Ma andiamo nel dettaglio. Meranda è entrato in massoneria attraverso la Gran Loggia di via Tosti e oggi farebbe parte della loggia Salvador Allende del Grande Oriente di Francia, l'obbedienza atea, quella che ha abolito la storica figura del Grande architetto e il volume della legge sacra. Ma tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014 si presenta alla Serenissima gran loggia con un piano che secondo Criscuoli Tortora era chiarissimo: destituirlo. Meranda fa entrare con sé una quindicina di fratelli di altre obbedienze come se volesse lanciare una Opa sulla Serenissima. Ottiene di rifondare una loggia, la De dignitate hominis, e di divenirne il maestro venerabile. Il tempio si trovava a Roma in via Terni 62. Meranda in quella nuova avventura porta con sé un generale dell'esercito in pensione, D.P., che aveva operato per quasi tutta la carriera nel Sismi, i servizi segreti esteri, un noto costruttore calabrese, un mediatore italiano di petrolio in Algeria. Dopo l'espulsione di Meranda, anche i suoi uomini si dimisero in blocco e dopo qualche tempo alla Serenissima seppero che in una «dimora» nel quartiere Appio-Latino, a Roma, si era tenuto il battesimo della Protective, una loggia riservata serba che aveva filiali anche in Ungheria e Romania. Ma che soprattutto era un viatico con la massoneria russa e i suoi gran maestri. I nuovi fratelli avevano alloggiato e preparato la cerimonia d'iniziazione nell'hotel Piccadilly della catena Best Western di via Magna Grecia. Una struttura non certo monumentale come il Metropol, e di sicuro tutt'altro che compromettente, scelta forse perché richiamava alla memoria la statua londinese dell'ammiraglio Horatio Nelson, Gran maestro della massoneria inglese, che si trova a Piccadilly Circus. Un episodio che Criscuoli Tortora, come risulta a Panorama, ha denunciato nel suo dossier, inserendo, come si legge nelle carte, anche nomi pesantissimi della vecchia nomenclatura serba.
[...] Il suo braccio destro era, però, un italiano convertitosi all'Islam. Si chiama Gianluigi Biagioni Gazzoli, detto Khaled, e ha una storia davvero interessante. Originario di Misurata (Libia), ha sempre avuto stretti rapporti con il paese d'origine e con le associazioni filogovernative anche ai tempi del colonnello Gheddafi. Insegnante di arabo, segretario generale della Unione islamica d'Occidente, la più antica d'Italia, è stato anche candidato alla Camera, nel 2006, per l'Udeur di Clemente Mastella.
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Il premier riferirà al Senato sul Metropol: Europa e sinistra tifano per un attacco ai leghisti. Il Carroccio spinge il leader allo strappo: «Torniamo alle urne da soli». Il massone dell'intrigo moscovita aveva una rete dalla Libia alla Serbia. L'avvocato Gianluca Meranda, su cui l'Antimafia ha aperto un fascicolo, si era procurato contatti nei Balcani e il suo braccio destro era un tale Khaled, nato a Misurata e convertito all'islam. Lo speciale comprende due articli. Conte sulle montagne russe: oggi è il giorno decisivo per le sorti dell'ex avvocato del popolo, del governo da lui presieduto, della maggioranza Lega-M5s e (ma qui il discorso è più complesso) di questa legislatura. Alle 16.30 il premier Giuseppe Conte sarà in Senato per l'informativa sull'affaire Savoini, dopo essere stato protagonista alle 15 alla Camera di un question time al quale seguirà il voto di fiducia sul decreto Sicurezza bis, previsto per le 17.15. Conte al Senato darà quindi la sua versione sul Russiagate all'amatriciana. Subito dopo il premier verrà il momento di Matteo Renzi, che ha chiesto di intervenire «prima di Salvini». Il quale Matteo Salvini dovrebbe prendere la parola dai banchi della Lega, per quello che potrebbe essere l'intervento che mette fine all'esperienza del governo Conte. Condizionali indispensabili, visto che il leader del Carroccio, da consumato showman, tiene alta l'attesa: «Io domani (oggi per chi legge, ndr) sono a Roma, ma ho il Comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza sul tema immigrazione e non solo. Vediamo», ha risposto Salvini a chi gli ha chiesto se interverrà in aula, «se gli orari coincideranno o meno. A me pagano lo stipendio per risolvere i problemi legati alla criminalità e alla vita vera, non per commentare fantasie. Però vediamo, io domani sono a Roma, sono in ufficio di primo mattino». Probabile che Salvini decida se intervenire o meno a seconda dei toni dell'informativa di Conte. Il quale è tra due fuochi: se cede alle insistenze dei suoi nuovi alleati, ovvero il Quirinale, l'Europa, la Banca centrale europea, e dei possibili nuovi alleati (il Pd) dovrà giocoforza bacchettare Salvini per i rapporti tra il suo entourage e i russi; se vuole invece sperare di restare a capo del governo del cambiamento, dovrà difendere Salvini come se fosse il più fedelissimo dei fedelissimi. Apprendista equilibrista, Conte spera ancora di poter restare a Palazzo Chigi, magari a capo di un «Conte bis», anche se la Lega staccherà la spina al governo, con il sostegno di una maggioranza arlecchino che sarebbe composta da Pd, M5s, Forza Italia e «responsabili» vari. La stessa maggioranza che, pensate un po', secondo qualcuno molto attivo in queste ore nei palazzi romani dovrebbe poi, nel 2022, riconfermare al Quirinale Sergio Mattarella per il secondo mandato quirinalizio. Le truppe leghiste sui territori intanto fremono: il voto a ottobre con Salvini a Palazzo Chigi è la richiesta unanime, pressante, quasi asfissiante che arriva al quartier generale del Carroccio da ogni parte d'Italia. Ieri Salvini è tornato ad attaccare a muso duro il ministro grillino dei Trasporti, Danilo Toninelli: «Mi sembra chiaro ed evidente», ha detto il ministro dell'Interno, «che la Tav si farà. È un'opera fondamentale ma non è l'unica che un ministro ha bloccato. O il ministro dei blocchi sblocca, o non capisco cosa ci faccia al governo». Da parte sua, Luigi Di Maio è in enorme difficoltà. Ieri è stato cinicamente preso in giro anche da Beppe Grillo, che ha ironizzato pesantemente sul «mandato zero», la deroga alla regola dei due mandati varata per i consiglieri comunali del M5s: «Il mandato ora è in corso è il primo di un lungo viaggio», ha scritto Grillo sui social, pubblicando la canzone Se mi lasci non vale di Julio Iglesias, «...ma di andarmene a casa non ho proprio il coraggio…». «Mi auguro», ha detto Di Maio, «che possa esserci il prima possibile un incontro sia con Salvini sia con Conte. Io l'ho chiesto perché parlarci a mezzo stampa non è molto utile. Credo che stare al governo sia sempre delicato, significa», ha aggiunto il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, «portare a casa ogni giorno un risultato. Il caso Arata-Siri? Credo che questi temi in questo momento richiedano il massimo della chiarezza. È quello che ho chiesto anche alla magistratura. Per il resto», ha precisato Di Maio, «io non ho ragione di dubitare di Salvini. Noi lavoriamo bene insieme in questo governo e portiamo a casa i risultati». Un Di Maio pomeridiano garantista, dunque, a differenza del Di Maio mattutino, che su Facebook aveva attaccato pesantemente la Lega: «Un po' di positività ci vuole», ha scritto il capo politico del M5s, «con tutte queste notizie che intossicano le giornate. Tipo questa storia di Arata che è inquietante. Diceva che siamo dei “rompic..." mentre parlava con la mafia. Un'altra medaglia al valore per il M5s. Vedete che facciamo bene a dire no quando serve? Anche perché di mio ho sempre diffidato da chi dice di sì a tutto e a tutti. Se da fuori ci vedono ancora come “spaghetti e mafia"», ha aggiunto Di Maio, «è perché i partiti ancora si imbarcano questa gente». Dunque, tra attacchi, contrattacchi, accelerate e retromarce, siamo finalmente al giorno della verità. L'ala del M5s che vuole tenere in piedi a tutti i costi il governo è pronta a offrire a Matteo Salvini la testa (politicamente parlando) di Toninelli. 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Forse neppure la moglie. Ma partiamo dalla sala centrale del Metropol di Mosca, quasi una tappa obbligata per chi vuole respirare l'aria della storia. Oggi i turisti in quelle stanze possono sorseggiare il borsch, ma un tempo qui uomini senza pietà combattevano la Guerra fredda offrendo agli sfortunati ospiti ben altri menù. Da quelle sale sono passati personaggi come Tolstoj, Lenin, Kennedy e Gorbaciov. La mattina del 18 ottobre del 2018 nel salone centrale, quello delle colazioni, c'erano un gruppo di russi e uno di italiani che parlavano fitto. Tra questi l'ex portavoce di Matteo Salvini, Gianluca Savoini. Ma come spesso succede al Metropol non erano soli. Il vicepresidente di Confindustria Russia, Fabrizio Candoni, è molto chiaro al riguardo: «Al Metropol non si porta nemmeno l'amante, a meno che non ci si voglia fare una recita. Là sei sempre in mondovisione». Le microspie sono numerose almeno quanto i croissant. Ma un uomo adatto a quella recita forse c'era. Gianluca Meranda è un Maestro venerabile della massoneria. E grazie al grembiulino è entrato in contatto con il mondo slavo nelle sue declinazioni più inquietanti. La sua storia apre piste libiche, ma anche balcaniche. Collega islamismo e religione ortodossa, massoneria e ateismo. Ma soprattutto è un rabdomante del petrolio. Dove c'è l'oro nero, spunta lui. In Libia, Algeria, Russia. Classe 1970, cosentino, è un tipo che colpisce anche per il look non banale. Un gran frequentatore di cene romane, di circoli sul Tevere, di personaggi di tutto il mondo che blandisce con i suoi modi eleganti e le sue chiacchiere fluenti. Anche perché Meranda è poliglotta, inglese, francese, russo, persino un po' di svedese. Un avvocato «internazionalista» con studio al fianco del palazzo della Marina militare, la costola italiana del noto Sq law di Bruxelles. [...] Ma quando i finanzieri sono andati a bussare alla sua porta, nell'appartamento non certo lussuoso di via Acherusio, hanno trovato l'altro Meranda, quello che l'1 giugno è stato sfrattato dallo studio e che, per problemi economici, teneva gli scatoloni con le sue carte presso un'autorimessa perché non era riuscito nemmeno a pagare la ditta di traslochi che aveva svuotato le stanze del Lungotevere. È lo stesso che era diventato socio del cognato Giovanni in una impresa edile miseramente fallita. Anche la casa in cui sono entrati i militari delle Fiamme gialle non rispecchia l'immagine che Meranda ha sempre cercato di dare all'esterno di sé. Si tratta di una banale truffatore o è finito in giri che lo hanno condotto in disgrazia? [...] A noi interessa invece provare a lumeggiare il lato oscuro di Meranda. E che è, in parte, raccontato nelle carte segretate che il Gran Maestro Massimo Criscuoli Tortora ha depositato presso la commissione Antimafia nel 2017, quando venne convocato dal presidente Rosy Bindi per parlare di mafia e massoneria. Infatti la Bindi e i suoi commissari erano convinti che la primula rossa della Piovra, Matteo Messina Denaro, fosse coperto da una loggia deviata trapanese. Criscuoli Tortora, come si può ancora ascoltare nelle registrazioni della sua audizione su Radio radicale, accettò questa singolare intromissione della politica nella Fratellanza da uomo di mondo. «Abbiamo qualche problema a consegnarvi gli elenchi dei nostri iscritti per via della privacy ma se mi arriva una richiesta ufficiale, se lei me lo ordina, io vi do la chiave della cassaforte e vado al bar» rispose alla Bindi il 24 gennaio 2017. [...] È lui che per primo, il 21 ottobre 2015, ha messo sotto i riflettori l'avvocato del Russiagate, il massone elegante e poliglotta, di cui era stato anche vicino di scrivania quando aveva occupato una stanza nel grande ufficio di Lungotevere per sbrigare gli affari della sua piccola casa editrice. Il Gran Maestro ha firmato il decreto magistrale 183, un provvedimento di espulsione immediata a cui l'avvocato calabrese non si è opposto. L'intestazione era solenne: «Noi Massimo Criscuoli Tortora XIV Gran maestro per i poteri e le prerogative a noi conferiti dalla costituzione e dal regolamento dell'ordine…». Seguivano, come in un decreto presidenziale gli articoli del regolamento dell'ordine violati da Meranda le sue «colpe gravi» e «gravissime». Meranda veniva espulso «per aver attentato all'armonia e all'integrità della comunione massonica italiana Serenissima gran loggia d'Italia e in particolare per la ribellione contro il Gran maestro e le autorità massoniche e la violazione dei principi fondamentali della massoneria comunque posta in essere». [...] Ma andiamo nel dettaglio. Meranda è entrato in massoneria attraverso la Gran Loggia di via Tosti e oggi farebbe parte della loggia Salvador Allende del Grande Oriente di Francia, l'obbedienza atea, quella che ha abolito la storica figura del Grande architetto e il volume della legge sacra. Ma tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014 si presenta alla Serenissima gran loggia con un piano che secondo Criscuoli Tortora era chiarissimo: destituirlo. Meranda fa entrare con sé una quindicina di fratelli di altre obbedienze come se volesse lanciare una Opa sulla Serenissima. Ottiene di rifondare una loggia, la De dignitate hominis, e di divenirne il maestro venerabile. Il tempio si trovava a Roma in via Terni 62. Meranda in quella nuova avventura porta con sé un generale dell'esercito in pensione, D.P., che aveva operato per quasi tutta la carriera nel Sismi, i servizi segreti esteri, un noto costruttore calabrese, un mediatore italiano di petrolio in Algeria. Dopo l'espulsione di Meranda, anche i suoi uomini si dimisero in blocco e dopo qualche tempo alla Serenissima seppero che in una «dimora» nel quartiere Appio-Latino, a Roma, si era tenuto il battesimo della Protective, una loggia riservata serba che aveva filiali anche in Ungheria e Romania. Ma che soprattutto era un viatico con la massoneria russa e i suoi gran maestri. I nuovi fratelli avevano alloggiato e preparato la cerimonia d'iniziazione nell'hotel Piccadilly della catena Best Western di via Magna Grecia. Una struttura non certo monumentale come il Metropol, e di sicuro tutt'altro che compromettente, scelta forse perché richiamava alla memoria la statua londinese dell'ammiraglio Horatio Nelson, Gran maestro della massoneria inglese, che si trova a Piccadilly Circus. Un episodio che Criscuoli Tortora, come risulta a Panorama, ha denunciato nel suo dossier, inserendo, come si legge nelle carte, anche nomi pesantissimi della vecchia nomenclatura serba. [...] Il suo braccio destro era, però, un italiano convertitosi all'Islam. Si chiama Gianluigi Biagioni Gazzoli, detto Khaled, e ha una storia davvero interessante. Originario di Misurata (Libia), ha sempre avuto stretti rapporti con il paese d'origine e con le associazioni filogovernative anche ai tempi del colonnello Gheddafi. Insegnante di arabo, segretario generale della Unione islamica d'Occidente, la più antica d'Italia, è stato anche candidato alla Camera, nel 2006, per l'Udeur di Clemente Mastella.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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