2019-07-24
È il giorno dei soldi russi. Se Conte le volterà le spalle la Lega è pronta alla crisi
Il premier riferirà al Senato sul Metropol: Europa e sinistra tifano per un attacco ai leghisti. Il Carroccio spinge il leader allo strappo: «Torniamo alle urne da soli». Il massone dell'intrigo moscovita aveva una rete dalla Libia alla Serbia. L'avvocato Gianluca Meranda, su cui l'Antimafia ha aperto un fascicolo, si era procurato contatti nei Balcani e il suo braccio destro era un tale Khaled, nato a Misurata e convertito all'islam. Lo speciale comprende due articli. Conte sulle montagne russe: oggi è il giorno decisivo per le sorti dell'ex avvocato del popolo, del governo da lui presieduto, della maggioranza Lega-M5s e (ma qui il discorso è più complesso) di questa legislatura. Alle 16.30 il premier Giuseppe Conte sarà in Senato per l'informativa sull'affaire Savoini, dopo essere stato protagonista alle 15 alla Camera di un question time al quale seguirà il voto di fiducia sul decreto Sicurezza bis, previsto per le 17.15. Conte al Senato darà quindi la sua versione sul Russiagate all'amatriciana. Subito dopo il premier verrà il momento di Matteo Renzi, che ha chiesto di intervenire «prima di Salvini». Il quale Matteo Salvini dovrebbe prendere la parola dai banchi della Lega, per quello che potrebbe essere l'intervento che mette fine all'esperienza del governo Conte. Condizionali indispensabili, visto che il leader del Carroccio, da consumato showman, tiene alta l'attesa: «Io domani (oggi per chi legge, ndr) sono a Roma, ma ho il Comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza sul tema immigrazione e non solo. Vediamo», ha risposto Salvini a chi gli ha chiesto se interverrà in aula, «se gli orari coincideranno o meno. A me pagano lo stipendio per risolvere i problemi legati alla criminalità e alla vita vera, non per commentare fantasie. Però vediamo, io domani sono a Roma, sono in ufficio di primo mattino». Probabile che Salvini decida se intervenire o meno a seconda dei toni dell'informativa di Conte. Il quale è tra due fuochi: se cede alle insistenze dei suoi nuovi alleati, ovvero il Quirinale, l'Europa, la Banca centrale europea, e dei possibili nuovi alleati (il Pd) dovrà giocoforza bacchettare Salvini per i rapporti tra il suo entourage e i russi; se vuole invece sperare di restare a capo del governo del cambiamento, dovrà difendere Salvini come se fosse il più fedelissimo dei fedelissimi. Apprendista equilibrista, Conte spera ancora di poter restare a Palazzo Chigi, magari a capo di un «Conte bis», anche se la Lega staccherà la spina al governo, con il sostegno di una maggioranza arlecchino che sarebbe composta da Pd, M5s, Forza Italia e «responsabili» vari. La stessa maggioranza che, pensate un po', secondo qualcuno molto attivo in queste ore nei palazzi romani dovrebbe poi, nel 2022, riconfermare al Quirinale Sergio Mattarella per il secondo mandato quirinalizio. Le truppe leghiste sui territori intanto fremono: il voto a ottobre con Salvini a Palazzo Chigi è la richiesta unanime, pressante, quasi asfissiante che arriva al quartier generale del Carroccio da ogni parte d'Italia. Ieri Salvini è tornato ad attaccare a muso duro il ministro grillino dei Trasporti, Danilo Toninelli: «Mi sembra chiaro ed evidente», ha detto il ministro dell'Interno, «che la Tav si farà. È un'opera fondamentale ma non è l'unica che un ministro ha bloccato. O il ministro dei blocchi sblocca, o non capisco cosa ci faccia al governo». Da parte sua, Luigi Di Maio è in enorme difficoltà. Ieri è stato cinicamente preso in giro anche da Beppe Grillo, che ha ironizzato pesantemente sul «mandato zero», la deroga alla regola dei due mandati varata per i consiglieri comunali del M5s: «Il mandato ora è in corso è il primo di un lungo viaggio», ha scritto Grillo sui social, pubblicando la canzone Se mi lasci non vale di Julio Iglesias, «...ma di andarmene a casa non ho proprio il coraggio…». «Mi auguro», ha detto Di Maio, «che possa esserci il prima possibile un incontro sia con Salvini sia con Conte. Io l'ho chiesto perché parlarci a mezzo stampa non è molto utile. Credo che stare al governo sia sempre delicato, significa», ha aggiunto il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, «portare a casa ogni giorno un risultato. Il caso Arata-Siri? Credo che questi temi in questo momento richiedano il massimo della chiarezza. È quello che ho chiesto anche alla magistratura. Per il resto», ha precisato Di Maio, «io non ho ragione di dubitare di Salvini. Noi lavoriamo bene insieme in questo governo e portiamo a casa i risultati». Un Di Maio pomeridiano garantista, dunque, a differenza del Di Maio mattutino, che su Facebook aveva attaccato pesantemente la Lega: «Un po' di positività ci vuole», ha scritto il capo politico del M5s, «con tutte queste notizie che intossicano le giornate. Tipo questa storia di Arata che è inquietante. Diceva che siamo dei “rompic..." mentre parlava con la mafia. Un'altra medaglia al valore per il M5s. Vedete che facciamo bene a dire no quando serve? Anche perché di mio ho sempre diffidato da chi dice di sì a tutto e a tutti. Se da fuori ci vedono ancora come “spaghetti e mafia"», ha aggiunto Di Maio, «è perché i partiti ancora si imbarcano questa gente». Dunque, tra attacchi, contrattacchi, accelerate e retromarce, siamo finalmente al giorno della verità. L'ala del M5s che vuole tenere in piedi a tutti i costi il governo è pronta a offrire a Matteo Salvini la testa (politicamente parlando) di Toninelli. Oggi, salvo imprevisti, sapremo se la maggioranza Lega-M5s è arrivata al capolinea. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/e-il-giorno-dei-soldi-russi-se-conte-le-voltera-le-spalle-la-lega-e-pronta-alla-crisi-2639318340.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-massone-dellintrigo-moscovita-aveva-una-rete-dalla-libia-alla-serbia" data-post-id="2639318340" data-published-at="1758162900" data-use-pagination="False"> Il massone dell’intrigo moscovita aveva una rete dalla Libia alla Serbia Ci sono altre sliding doors nella vita dell'avvocato-massone Gianluca Meranda, indagato per corruzione internazionale a Milano per il Russiagate leghista. E non sono le porte scorrevoli dell'hotel Metropol, ma quelle di un albergo molto meno famoso. È un tre stelle di Roma e si chiama Piccadilly. Lo snodo, finora segreto, di una vita altrettanto misteriosa che nessuno davvero conosce. Forse neppure la moglie. Ma partiamo dalla sala centrale del Metropol di Mosca, quasi una tappa obbligata per chi vuole respirare l'aria della storia. Oggi i turisti in quelle stanze possono sorseggiare il borsch, ma un tempo qui uomini senza pietà combattevano la Guerra fredda offrendo agli sfortunati ospiti ben altri menù. Da quelle sale sono passati personaggi come Tolstoj, Lenin, Kennedy e Gorbaciov. La mattina del 18 ottobre del 2018 nel salone centrale, quello delle colazioni, c'erano un gruppo di russi e uno di italiani che parlavano fitto. Tra questi l'ex portavoce di Matteo Salvini, Gianluca Savoini. Ma come spesso succede al Metropol non erano soli. Il vicepresidente di Confindustria Russia, Fabrizio Candoni, è molto chiaro al riguardo: «Al Metropol non si porta nemmeno l'amante, a meno che non ci si voglia fare una recita. Là sei sempre in mondovisione». Le microspie sono numerose almeno quanto i croissant. Ma un uomo adatto a quella recita forse c'era. Gianluca Meranda è un Maestro venerabile della massoneria. E grazie al grembiulino è entrato in contatto con il mondo slavo nelle sue declinazioni più inquietanti. La sua storia apre piste libiche, ma anche balcaniche. Collega islamismo e religione ortodossa, massoneria e ateismo. Ma soprattutto è un rabdomante del petrolio. Dove c'è l'oro nero, spunta lui. In Libia, Algeria, Russia. Classe 1970, cosentino, è un tipo che colpisce anche per il look non banale. Un gran frequentatore di cene romane, di circoli sul Tevere, di personaggi di tutto il mondo che blandisce con i suoi modi eleganti e le sue chiacchiere fluenti. Anche perché Meranda è poliglotta, inglese, francese, russo, persino un po' di svedese. Un avvocato «internazionalista» con studio al fianco del palazzo della Marina militare, la costola italiana del noto Sq law di Bruxelles. [...] Ma quando i finanzieri sono andati a bussare alla sua porta, nell'appartamento non certo lussuoso di via Acherusio, hanno trovato l'altro Meranda, quello che l'1 giugno è stato sfrattato dallo studio e che, per problemi economici, teneva gli scatoloni con le sue carte presso un'autorimessa perché non era riuscito nemmeno a pagare la ditta di traslochi che aveva svuotato le stanze del Lungotevere. È lo stesso che era diventato socio del cognato Giovanni in una impresa edile miseramente fallita. Anche la casa in cui sono entrati i militari delle Fiamme gialle non rispecchia l'immagine che Meranda ha sempre cercato di dare all'esterno di sé. Si tratta di una banale truffatore o è finito in giri che lo hanno condotto in disgrazia? [...] A noi interessa invece provare a lumeggiare il lato oscuro di Meranda. E che è, in parte, raccontato nelle carte segretate che il Gran Maestro Massimo Criscuoli Tortora ha depositato presso la commissione Antimafia nel 2017, quando venne convocato dal presidente Rosy Bindi per parlare di mafia e massoneria. Infatti la Bindi e i suoi commissari erano convinti che la primula rossa della Piovra, Matteo Messina Denaro, fosse coperto da una loggia deviata trapanese. Criscuoli Tortora, come si può ancora ascoltare nelle registrazioni della sua audizione su Radio radicale, accettò questa singolare intromissione della politica nella Fratellanza da uomo di mondo. «Abbiamo qualche problema a consegnarvi gli elenchi dei nostri iscritti per via della privacy ma se mi arriva una richiesta ufficiale, se lei me lo ordina, io vi do la chiave della cassaforte e vado al bar» rispose alla Bindi il 24 gennaio 2017. [...] È lui che per primo, il 21 ottobre 2015, ha messo sotto i riflettori l'avvocato del Russiagate, il massone elegante e poliglotta, di cui era stato anche vicino di scrivania quando aveva occupato una stanza nel grande ufficio di Lungotevere per sbrigare gli affari della sua piccola casa editrice. Il Gran Maestro ha firmato il decreto magistrale 183, un provvedimento di espulsione immediata a cui l'avvocato calabrese non si è opposto. L'intestazione era solenne: «Noi Massimo Criscuoli Tortora XIV Gran maestro per i poteri e le prerogative a noi conferiti dalla costituzione e dal regolamento dell'ordine…». Seguivano, come in un decreto presidenziale gli articoli del regolamento dell'ordine violati da Meranda le sue «colpe gravi» e «gravissime». Meranda veniva espulso «per aver attentato all'armonia e all'integrità della comunione massonica italiana Serenissima gran loggia d'Italia e in particolare per la ribellione contro il Gran maestro e le autorità massoniche e la violazione dei principi fondamentali della massoneria comunque posta in essere». [...] Ma andiamo nel dettaglio. Meranda è entrato in massoneria attraverso la Gran Loggia di via Tosti e oggi farebbe parte della loggia Salvador Allende del Grande Oriente di Francia, l'obbedienza atea, quella che ha abolito la storica figura del Grande architetto e il volume della legge sacra. Ma tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014 si presenta alla Serenissima gran loggia con un piano che secondo Criscuoli Tortora era chiarissimo: destituirlo. Meranda fa entrare con sé una quindicina di fratelli di altre obbedienze come se volesse lanciare una Opa sulla Serenissima. Ottiene di rifondare una loggia, la De dignitate hominis, e di divenirne il maestro venerabile. Il tempio si trovava a Roma in via Terni 62. Meranda in quella nuova avventura porta con sé un generale dell'esercito in pensione, D.P., che aveva operato per quasi tutta la carriera nel Sismi, i servizi segreti esteri, un noto costruttore calabrese, un mediatore italiano di petrolio in Algeria. Dopo l'espulsione di Meranda, anche i suoi uomini si dimisero in blocco e dopo qualche tempo alla Serenissima seppero che in una «dimora» nel quartiere Appio-Latino, a Roma, si era tenuto il battesimo della Protective, una loggia riservata serba che aveva filiali anche in Ungheria e Romania. Ma che soprattutto era un viatico con la massoneria russa e i suoi gran maestri. I nuovi fratelli avevano alloggiato e preparato la cerimonia d'iniziazione nell'hotel Piccadilly della catena Best Western di via Magna Grecia. Una struttura non certo monumentale come il Metropol, e di sicuro tutt'altro che compromettente, scelta forse perché richiamava alla memoria la statua londinese dell'ammiraglio Horatio Nelson, Gran maestro della massoneria inglese, che si trova a Piccadilly Circus. Un episodio che Criscuoli Tortora, come risulta a Panorama, ha denunciato nel suo dossier, inserendo, come si legge nelle carte, anche nomi pesantissimi della vecchia nomenclatura serba. [...] Il suo braccio destro era, però, un italiano convertitosi all'Islam. Si chiama Gianluigi Biagioni Gazzoli, detto Khaled, e ha una storia davvero interessante. Originario di Misurata (Libia), ha sempre avuto stretti rapporti con il paese d'origine e con le associazioni filogovernative anche ai tempi del colonnello Gheddafi. Insegnante di arabo, segretario generale della Unione islamica d'Occidente, la più antica d'Italia, è stato anche candidato alla Camera, nel 2006, per l'Udeur di Clemente Mastella.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)