2020-10-18
Prof decapitato, caccia ai complici filo Isis
Anche il Gran muftì d'Egitto ha lanciato l'allarme sul rischio radicalizzazione. In Italia l'Ucoii preferisce guardare altroveFermati l'intero nucleo familiare del terrorista e due genitori di allievi dell'istituto. Il docente si sentiva in pericolo e aveva denunciato le minacce. Ricercata la zia di una studentessa arruolatasi nell'Isis in SiriaLo speciale contiene due articoli Come fin troppo spesso accade in questi casi, è immediatamente partita la corsa alla deresponsabilizzazione. A Conflans-Saint-Honorine un diciottenne nato a Mosca, dopo aver gridato Allah Akbar, ha tagliato la gola a un insegnante di scuola media, colpevole di aver mostrato in classe le vignette su Maometto di Charlie Hebdo. Il brutale omicidio di Samuel Paty, 47 anni, è l'ennesimo mostruoso risveglio dal sonno europeo: regolarmente ci dimentichiamo di questo islam assassino, dopo qualche periodo di indignazione tentiamo di convincerci che non esista più, facciamo finta di non vedere i massacri che produce nel mondo, e puntualmente ci troviamo di fronte agli occhi un nuovo attacco, un nuovo morto innocente. Fra un po' ci dimenticheremo anche di Samuel e torneremo anzi a occuparci dell'islamofobia dilagante o di altre baggianate di tal fatta.Già ieri sulla Stampa il sociologo Olivier Roy, interpellato ogni volta che si discute di islam radicale, si affannava a ripetere che i soldati islamici sono in realtà «assassini mossi da rabbia personale che vogliono solo uccidere e farsi uccidere». E aggiungeva che i criminali «spesso non frequentano nemmeno la moschea». Tutto risolto dunque: l'importante è non turbare la minoranza islamica europea.Eppure ci sarebbe da affrontare più a fondo la questione. Ci sarebbe da prestare ascolto ad altre voci. Ad esempio quella del Gran muftì d'Egitto, Shawki Allam. Come ha riportato il quotidiano online musulmano La Luce (quello con cui collabora Silvia Aisha Romano, tanto per intendersi), Allam in un'intervista rilasciata al canale televisivo satellitare Sada Al-Balad ha dichiarato che «il 50% dei musulmani europei simpatizza per l'Isis». Una affermazione pesante, che tuttavia non è molto lontana dal vero, e che andrebbe presa sul serio se si volesse realmente sradicare il terrorismo.Secondo Allam, «il numero di europei nell'Isis è in aumento» e gran parte della responsabilità grava sui centri islamici europei, i quali «devono rivedere la formazione, la qualificazione e la formazione scientifica delle guide religiose». A dire queste cose non è un pericoloso sovranista ma un leader musulmano per altro non esattamente «moderato», come superficialmente si usa dire da noi. Allam è vicino a Mohamed Al Tayyeb, il grande imam di Al Azhar che papa Francesco ha citato come fonte di ispirazione per la sua Fratelli tutti. Se persino personaggi del genere si spingono a segnalare l'aumento dei casi di radicalizzazione significa che un problema esiste eccome.È interessante notare, in ogni caso, come abbiano reagito vari esponenti del mondo islamico alle esternazioni di Allam. I Fratelli musulmani lo hanno immediatamente attaccato per bocca di Ali Moheiddin al-Qaradaghi, capo della Iums, l'Unione internazionale degli studiosi islamici.Quando la Fratellanza si muove, a ruota si muovono anche tantissime organizzazioni europee e italiane che a quella galassia fanno in vario modo riferimento. In Italia si è schierata anche l'Ucoii, ovvero l'Unione delle comunità islamiche italiane. Il presidente, Yassine Lafram, si è mostrato molto irritato dalle uscite del muftì egiziano. «Si tratta di dichiarazioni irresponsabili che di fatto danno le comunità islamiche in pasto ai movimenti xenofobi che non attendono altro che avere alleati all'interno del mondo islamico che legittimino le loro posizioni islamofobe», ha detto. «Queste dichiarazioni oltre a rappresentare delle fake news, non fanno altro che alimentare l'islamofobia in Europa, piaga che ci aspetteremmo si aiutasse a combattere invece di rinfocolare».Secondo Lafram, «è evidente che si tratta di una manovra politica: l'Egitto fa una rappresentazione infamante dei musulmani europei perché si vuole legittimare agli occhi degli Stati occidentali come soluzione a questo problema, è tempo che cerca di presentarsi come autorità religiosa in grado di correggere l'estremismo, in questo caso lo fa a danno dei musulmani europei». Certo, per Lafram probabilmente, invece che all'Egitto dovremmo affidarci alla Turchia, tanto per stare sicuri...L'aspetto più interessante delle dichiarazioni del leader dell'Ucoii è proprio quello riguardante le autorità religiose egiziane. «Bisogna stare molto attenti a non cadere nell'errore di considerare il muftì o l'imam di Al Azhar come autorità islamiche universali alla stregua di un Papa», ha detto. «Questa è un'operazione che l'Egitto sta facendo ma che non trova nessuna corrispondenza nella realtà, né in base alla natura della nostra religione e tanto meno in base ai reali equilibri nel mondo islamico e al reale sentire dei musulmani». Davvero curioso.In pratica, Lafram sta sconfessando, dicendo che non rappresenta il comune sentire dei musulmani, il già citato Grande imam di Al Azhar. Cioè quello che da anni ci viene presentato come la vera voce dell'islam. Quello che fu invitato da Laura Boldrini a tenere una lezione alla Camera su «Islam religione di pace». Quello che papa Francesco cita a ripetizione descrivendolo come uomo del dialogo e simbolo della realtà musulmana (anche se ci ricordiamo sempre la sua giustificazione degli schiaffi alle donne). Insomma qualcosa non torna: che abbia ragione l'Ucoii o meno, questo cortocircuito smonta tutti gli artifici politicamente corretti sull'islam «buono» e presentabile.Qualcuno potrebbe obiettare: forse è l'Ucoii a non rappresentare i musulmani e ad avere posizioni troppo estreme. Può anche darsi. Ma allora ci devono spiegare perché, poche settimane fa, questa associazione è stata scelta dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, come principale riferimento per la formazione degli imam che devono occuparsi della assistenza spirituale nelle carceri italiane. L'Ucoii infatti ha stabilito una collaborazione con il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) del ministero della Giustizia, il cui scopo sarebbe quello di evitare la radicalizzazione dei detenuti e di deradicalizzare quelli già avviati sulla cattiva strada. Tale accordo di collaborazione «conferma e rilancia quello siglato nel 2015, nello spirito del rispetto della libertà religiosa, tutelata dalla Carta fondamentale e dall'articolo 26 dell'ordinamento penitenziario che garantisce a detenuti e internati di professare la propria fede religiosa anche in carcere».Lo stesso Lafram ha celebrato l'intesa spiegando che «la cura delle anime è importantissima e giustamente dev'essere esperita nel rispetto della tradizione di appartenenza del detenuto» e che bisogna «mettere il carcerato nelle migliori condizioni perché accetti la pena assegnatagli e scongiurare fenomeni di radicalizzazione, rari ma pur sempre possibili, innescati da una condizione di rancore generale nei confronti della società». Il leader dell'Ucoii si è anche sentito in dovere di ringraziare Bonafede «per l'atteggiamento scevro da ingiusti pregiudizi nei nostri confronti».Tutto molto bello. Però i dubbi restano. Perché affidare la cura dei detenuti a rischio a chi sminuisce gli allarmi sulla radicalizzazione e l'estremismo? E ancora: dobbiamo credere al Papa che ci presenta l'imam egiziano come il vero buono della situazione o dobbiamo fidarci della associazione scelta come interlocutrice dal governo che ne smonta l'autorità? La sensazione è che, come sempre, a dominare siano i pregiudizi buonisti e l'ideologia. E intanto che noi ci trastulliamo, gli estremisti continuano a colpire.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/e-gia-partita-la-corsa-ad-assolvere-lislam-e-a-scordare-i-morti-2648274982.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dieci-arrestati-per-il-prof-sgozzato-i-complici-del-boia-pure-nella-scuola" data-post-id="2648274982" data-published-at="1602976294" data-use-pagination="False"> Dieci arrestati per il prof sgozzato I complici del boia pure nella scuola Non il raptus folle di un assassino che decide sul momento. Il gesto improvviso di chi si prende la responsabilità di sostituirsi a dio in pochi secondi. Piuttosto il risultato di un preciso piano di delegittimazione prima e di eliminazione fisica poi maturato in quello spazio stretto tra due comunità che rappresentano i poli di formazione più importanti che esistono: la scuola e la famiglia. L'uccisione di Samuel Paty, il docente di storia e geografia decapitato venerdì pomeriggio all'uscita di scuola a Conflans-Sainte-Honorine, segna una svolta nella travagliata lotta al terrorismo su suolo francese che pure ha segnato tappe di straziante dolore (Charlie Hebdo, il Bataclan). Il 18enne che ha ammazzato il professore, nato a Mosca ma ceceno di origine, di nome Abdoullakh Abuyezidvich Anzorov, a sua volta ucciso dalle forze dell'ordine durante la fuga, ha agito su mandato (morale o esecutivo, questo non si sa ancora) di un nutrito gruppo di fanatici religiosi che probabilmente nemmeno si conoscevano tra di loro, prima dell'agguato. Dieci di questi sono stati fermati, ieri, dalla procura anti terrorismo di Parigi. Oltre al padre, alla madre, al nonno e al fratello minorenne (17 anni) del boia tagliagole, e ad altri soggetti a lui legati, sono finiti sotto custodia pure due genitori di altrettanti studenti della vittima. Entrambi – pare – già protagonisti di liti e minacce nei confronti di Paty. La cui unica colpa è stata quella di mostrare, il 5 ottobre scorso, durante una lezione sulla libertà di espressione, due vignette, pubblicate da Charlie Hebdo, raffiguranti Maometto. Un affronto, secondo gli odiatori islamisti della banlieue a nord di Parigi, nonostante il docente – è stato accertato da una indagine interna dell'istituto – avesse avvisato i ragazzi musulmani di uscire dalla classe per non urtare la loro suscettibilità. In particolare, il papà di una giovane allieva si era mostrato particolarmente agguerrito con Paty tanto da pubblicare – ha spiegato il procuratore anti terrorismo Jean-François Ricard nel corso di una conferenza stampa – «sulla sua pagina Facebook un testo» in cui accusava apertamente l'insegnante «facendone il nome e aggiungendo il suo numero di telefono». Poche ore prima aveva cercato di ottenerne il licenziamento a seguito di un burrascoso incontro con la preside dell'istituto. Ad accompagnarlo, in quella circostanza, sarebbe stato Abdelhakim Sefrioui, militante estremista molto noto negli ambienti dell'intelligence francese (anche lui fermato). È stato poi accertato pure che la sorellastra del genitore capo-cordata della protesta è ricercata perché arruolatasi nell'esercito del Califfato in Siria. Ma siamo solo alla fase iniziale dell'inchiesta, altri indiziati potrebbero essere arrestati nei prossimi giorni o nelle prossime ore grazie all'analisi del cellulare dell'assassino. Nella memoria del telefono sono state ritrovate due foto: una del docente, presa dai social, e l'altra che lo mostra – senza più la testa, in una pozza di sangue – riverso sull'asfalto. Immagine che Anzorov ha fatto in tempo a lanciare su Twitter accompagnandola a questo messaggio: «In nome di Allah, il più misericordioso, il più misericordioso, [...] a Macron, il capo degli infedeli, io ho giustiziato uno dei tuoi segugi infernali che ha osato sminuire Maometto». Ma perché le forze speciali hanno catturato i parenti di Anzorov? È certo che il 18enne ha raccontato ai familiari e agli amici di essere «particolarmente arrabbiato» con Paty, soprattutto dopo aver visto il video su Youtube, pubblicato da uno dei genitori degli alunni fermati, in cui veniva invocata una mobilitazione contro l'insegnante a loro dire blasfemo. Dunque, un'ampia cerchia di soggetti – anche tra loro non collegati direttamente – era a conoscenza di quel che si stava pianificando ai danni del docente. Che, proprio pochi giorni prima di essere ammazzato, aveva presentato denuncia alla polizia, preoccupato dall'escalation di minacce che stava ricevendo. Le forze dell'ordine non sono però riuscite a proteggerlo in tempo, e su questo è esplosa una polemica dai toni molto accesi. Di certo si sa che Anzorov, che non era segnalato dai servizi come a rischio radicalizzazione, ma noto solo per piccoli reati e che «beneficiava in Francia dello status di rifugiato» ottenuto sei mesi fa, ha trascorso tutto il pomeriggio di venerdì davanti all'istituto in attesa dell'uscita della vittima. Chiedendo ai ragazzi del posto di indicargliela appena avesse oltrepassato la soglia. Paty non è riuscito a difendersi in tempo. Probabilmente, nemmeno si è accorto dell'arrivo di quel giovane con in pugno un coltello da macellaio lungo 35 centimetri.
Ecco #DimmiLaVerità dell'8 settembre 2025. Il generale Giuseppe Santomartino ci parla dell'attentato avvenuto a Gerusalemme: «Che cosa sta succedendo in Medio Oriente? Il ruolo di Hamas e la questione Cisgiordania».