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2020-02-19
Assieme a Ubi
Intesa si mangia i vecchi nemici. E Mps resta sola
Carlo Messina (Ansa)
Ore 23.36. Lunedì. L'istituto guidato da Carlo Messina annuncia con una nota scarna di aver dato il via a una maxi operazione con una Offerta pubblica di scambio per mangiarsi Ubi, valorizzandola qualcosa come 4,9 miliardi di euro. Lo scambio è di 10 azioni contro 17, che significa 4,25 euro per ogni titolo di Ubi. La notizia arriva poche ore dopo la diffusione dei conti da parte del capo di Ubi, Victor Massiah, il quale dopo aver annunciato 2.000 esuberi, 2.360 ricollocamenti e il taglio di oltre 170 filiali, aveva confermato un buon dividendo e sentenziato: «L'operazione su Mps? La valuteremo quando c'è chiarezza». Invece, la luce è arrivata in piena notte e di colpo il sistema bancario si è accorto che il concetto di terzo polo bancario, di cui si vocifera da oltre quattro anni, è ormai stantio e superato. La mossa di Messina in un solo colpo si mangia Ubi, per certi versi mettendola anche in sicurezza rispetto al mare magnum europeo. E dimostra che i grandi player domineranno per acquisizione. Ne consegue che chi resta indietro o mangia o sarà mangiato.
Ma l'idea di apparecchiare nozze paritetiche sembra da accantonare. Una doccia fredda per Mps e per certi versi pure per Bpm. Con l'Ops su Ubi nascerà un polo bancario da 460 miliardi di impieghi e oltre 1.100 miliardi di risparmi affidati. Stando alle stime di Messina già nel 2022 produrrà 6 miliardi di utili e dal 2020 oltre 21 miliardi di ricavi. Un forza d'urto sufficiente a misurarsi con le nuove regole europee e, come ha osservato ieri il segretario nazionale della Fabi Lando Maria Sileoni, a creare valore per tutto il Nord Italia. «Operazione che crea valore per tutti, anche per il nostro territorio. Mentre Unicredit si è alleggerita in Italia per preparare probabilmente una grande operazione su scala internazionale, Intesa fa una mossa importante nei nostri confini. Intesa e Ubi sono due banche ben gestite. Per quanto riguarda l'occupazione, chiederemo almeno il 50% di nuove assunzioni rispetto alle uscite solo volontarie», ha concluso Sileoni.
Ciò che crea ulteriore valore è il prezzo riconosciuto alla banca bergamasca. Oltre 4 euro per azione significa innescare una svolta definitiva per il sistema bancario. Le acquisizioni degli ultimi anni sono state in realtà salvataggi, più o meno urgenti. Ma in ogni caso il messaggio inviato agli istituti stranieri è stato uno e molto semplice. Le nostre banche valgono 1 euro. Non una cifra simbolica, ma quanto effettivamente Intesa ha pagato per le due Venete andate a gambe all'aria dopo aver bruciato la dote del fondo Atlante (quasi 5 miliardi raccolti dai vari istituti tricolore). La maxi svalutazione è cominciata con il fallimento di banca Etruria (con le altre tre Popolari) e il pasticcio sull'avvio del bail in tricolore. In quell'occasione partì il massacro degli Npl e la valutazione infima fissata dai commissari al 17%.
Si è creato così un benchmark di riferimento che ha piallato le speranze dell'intero sistema e fatto guadagnare milioni anche a chi ha varcato il nostro confine appositamente per partecipare a un banchetto improvviso. Adesso le carte in tavola sono cambiate. Al tempo stesso, la mossa di Messina svincola una volta per tutte le relazioni politiche. Annientando la possibilità che si formi un terzo polo per aggregazione, l'Ops su Ubi imporrà innanzitutto al Monte dei Paschi di Siena scelte importanti. Entro l'estate il Tesoro dovrà uscire dal capitale e l'istituto ora guidato da Marco Morelli dovrà semplicemente essere venduto.
L'avverbio non va frainteso: di semplice non c'è nulla. Ma ciò che conta è che da adesso il valore riconosciuto a Ubi si rifletterà anche su tutte le altre banche. Vale anche per Banco Bpm. Anche se in queste ore Giuseppe Castagna, amministratore delegato del gruppo lombardo veneto, si sentirà più «piccolo» di prima e dovrà affrontare da solo il consolidamento del mercato. Farà il salto e si mangerà Mps? Oppure starà a guardare che arrivi qualcuno dall'estero? Rischiando di rimanere ancora più solo. Perché, bisogna ricordare, all'orizzonte c'è sempre il gruppo francese Credit Agricole. Che in Italia già è in pianta stabile e in queste settimane osserva da vicino la vicenda Carige e il futuro delle Bcc di Cassa centrale banca. Non è escluso che se la Bce chiedesse più capitale per l'istituto genovese, Credit Agricole possa sostenere l'azionista Ccb diventando partner stabile e magari aprendo il vero assalto a Mps. C'è il tema teorico dell'italianità, ma se gli stranieri devono fare shopping da noi almeno paghino un prezzo congruo. Ciò che è da combattere a tutti i costi sono le svendite.
Infine, si aprirebbe di nuovo un partita Italia-Francia e potrebbe essere l'occasione migliore o ideale per Intesa per muovere una volta su tutte su Generali. L'operazione ideata da Messina a gennaio del 2017 non è andata in porto. Adesso è tutto diverso.
Da quota 100 la vera spinta per alleggerire gli sportelli
Negli ultimi 18 mesi il computo degli esuberi bancari è arrivato a valere più o meno 15.000 unità. Tantissime persone che sono uscite dal mondo degli sportelli per avviarsi solitamente alla pensione. Una parte di questi esuberi è stata sostenuta dal sistema bancario in piena autonomia. L'altra metà è potuta avvenire grazie a quota 100. La norma leghista inserita nella manovra 2019 ha di fatto consentito l'avvio dei grandi pacchetti di riassetto dei bilanci. Basti pensare che Intesa, lo scorso maggio, ha annunciato 1.000 uscite legate al pilastro leghista e altre 600 agganciate al fondo di solidarietà. Un discorso simile vale per tutti gli altri esuberi del comparto.
E ora a posteriori si comprende quanto questa novità pensionistica (della durata di soli tre anni) sia una sorta di risarcimento dopo anni di dieta forzata sui non performing loans, gli Npl. Per almeno due decenni gli istituti hanno erogato credito a maglie larghe. Quasi sempre spinti e incentivati dai vari governi che si sono susseguiti. In fondo, la pratica dei roll over, i fidi continuativi, erano un modo per tenere più alta l'asticella del Pil. Per alcuni un trucco per modificare i dati della congiuntura, per altri un sistema che garantiva alle piccole aziende, in carente asfissia di capitali, di restare in vita. All'improvviso dopo il 2011, i governi a Roma, su input di Bruxelles, hanno cambiato le regole. Di punto in bianco gli Npl sono diventati un tumore da asportare. Per giunta in tempi rapidissimi. Dunque senza possibilità di cura se non con interventi chirurgici. Il valore delle banche è precipitato. Nel frattempo gli istituti hanno dovuto affrontare i tassi negativi e un radicale cambio di passo tecnologico. La rivoluzione è esplosa assieme ai mali tipici dell'Italia: conflitti d'interessi dei manager e degli azionisti. Soci ammanicati e spesso una vigilanza estremamente carente.
Ci sono stati morti e caduti. Non stiamo a rivedere la lunga lista dei crac dal Veneto fino a Bari. E - con una storia a sé stante - il salvataggio pubblico del Monte dei Paschi di Siena. Superate le secche peggiori, però, il sistema bancario ha cominciato a capire dove poteva andare a prendere la marginalità necessaria per rilanciarsi e stare in piedi. Innanzitutto, dalle grandi masse di risparmio gestito e, poi, dai nuovi flussi tecnologici. La rivoluzione ha un prezzo umano. Quando i flussi di lavoro cambiano in modo veloce, migliaia di persone devono essere ricollocate (quelle che possono imparare una nuova mansione) e altre vengono espulse. Per questo ultimo tassello serviva quota 100, senza la quale - in poche parole - la grande operazione di Intesa su Ubi non sarebbe potuta avvenire. Nel senso che non ci sarebbe stato l'ambiente adatto per farla fiorire. Ecco perché il consigliere delegato di Intesa, Carlo Messina, ha più volte elogiato la manovra gialloblù. Per lo stesso motivo, l'attuale governo non ha potuto fare marcia indietro. Stoppare in anticipo il corso di quota 100 avrebbe creato migliaia di esodati sul modello di Elsa Fornero. E non avrebbe compreso le necessità del Nord Italia produttivo. Anche su questo tema si è esposto molto Messina. Lo scorso settembre si è rivolto al governo giallorosso e ai suoi supporter esterni come Matteo Renzi. «Non ci può e non ci deve essere contrapposizione tra questo governo e le regioni del Nord. Immaginare di governare contro la Lombardia e il Veneto dove governa, secondo me molto bene, la Lega è un elemento che deve essere tenuto in considerazione», ha detto a un convegno sulle assicurazioni. Il riferimento era soprattutto a Giancarlo Giorgetti e a una buona fetta del Carroccio. Ma c'era anche un messaggio a Sergio Mattarella: attenzione a sostenere troppo a lungo un governo avulso dalla realtà.
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Dopo anni di salvataggi e svendite ripartono le acquisizioni importanti. Tramonta la prospettiva di creare un terzo polo e ora Mps dovrà cercare da sola un partner. Se fosse Credit Agricole, almeno dovrà pagare...Con la riforma leghista ridotti gli organici senza danneggiare i lavoratori in esubero.Lo speciale contiene due articoliOre 23.36. Lunedì. L'istituto guidato da Carlo Messina annuncia con una nota scarna di aver dato il via a una maxi operazione con una Offerta pubblica di scambio per mangiarsi Ubi, valorizzandola qualcosa come 4,9 miliardi di euro. Lo scambio è di 10 azioni contro 17, che significa 4,25 euro per ogni titolo di Ubi. La notizia arriva poche ore dopo la diffusione dei conti da parte del capo di Ubi, Victor Massiah, il quale dopo aver annunciato 2.000 esuberi, 2.360 ricollocamenti e il taglio di oltre 170 filiali, aveva confermato un buon dividendo e sentenziato: «L'operazione su Mps? La valuteremo quando c'è chiarezza». Invece, la luce è arrivata in piena notte e di colpo il sistema bancario si è accorto che il concetto di terzo polo bancario, di cui si vocifera da oltre quattro anni, è ormai stantio e superato. La mossa di Messina in un solo colpo si mangia Ubi, per certi versi mettendola anche in sicurezza rispetto al mare magnum europeo. E dimostra che i grandi player domineranno per acquisizione. Ne consegue che chi resta indietro o mangia o sarà mangiato. Ma l'idea di apparecchiare nozze paritetiche sembra da accantonare. Una doccia fredda per Mps e per certi versi pure per Bpm. Con l'Ops su Ubi nascerà un polo bancario da 460 miliardi di impieghi e oltre 1.100 miliardi di risparmi affidati. Stando alle stime di Messina già nel 2022 produrrà 6 miliardi di utili e dal 2020 oltre 21 miliardi di ricavi. Un forza d'urto sufficiente a misurarsi con le nuove regole europee e, come ha osservato ieri il segretario nazionale della Fabi Lando Maria Sileoni, a creare valore per tutto il Nord Italia. «Operazione che crea valore per tutti, anche per il nostro territorio. Mentre Unicredit si è alleggerita in Italia per preparare probabilmente una grande operazione su scala internazionale, Intesa fa una mossa importante nei nostri confini. Intesa e Ubi sono due banche ben gestite. Per quanto riguarda l'occupazione, chiederemo almeno il 50% di nuove assunzioni rispetto alle uscite solo volontarie», ha concluso Sileoni. Ciò che crea ulteriore valore è il prezzo riconosciuto alla banca bergamasca. Oltre 4 euro per azione significa innescare una svolta definitiva per il sistema bancario. Le acquisizioni degli ultimi anni sono state in realtà salvataggi, più o meno urgenti. Ma in ogni caso il messaggio inviato agli istituti stranieri è stato uno e molto semplice. Le nostre banche valgono 1 euro. Non una cifra simbolica, ma quanto effettivamente Intesa ha pagato per le due Venete andate a gambe all'aria dopo aver bruciato la dote del fondo Atlante (quasi 5 miliardi raccolti dai vari istituti tricolore). La maxi svalutazione è cominciata con il fallimento di banca Etruria (con le altre tre Popolari) e il pasticcio sull'avvio del bail in tricolore. In quell'occasione partì il massacro degli Npl e la valutazione infima fissata dai commissari al 17%. Si è creato così un benchmark di riferimento che ha piallato le speranze dell'intero sistema e fatto guadagnare milioni anche a chi ha varcato il nostro confine appositamente per partecipare a un banchetto improvviso. Adesso le carte in tavola sono cambiate. Al tempo stesso, la mossa di Messina svincola una volta per tutte le relazioni politiche. Annientando la possibilità che si formi un terzo polo per aggregazione, l'Ops su Ubi imporrà innanzitutto al Monte dei Paschi di Siena scelte importanti. Entro l'estate il Tesoro dovrà uscire dal capitale e l'istituto ora guidato da Marco Morelli dovrà semplicemente essere venduto. L'avverbio non va frainteso: di semplice non c'è nulla. Ma ciò che conta è che da adesso il valore riconosciuto a Ubi si rifletterà anche su tutte le altre banche. Vale anche per Banco Bpm. Anche se in queste ore Giuseppe Castagna, amministratore delegato del gruppo lombardo veneto, si sentirà più «piccolo» di prima e dovrà affrontare da solo il consolidamento del mercato. Farà il salto e si mangerà Mps? Oppure starà a guardare che arrivi qualcuno dall'estero? Rischiando di rimanere ancora più solo. Perché, bisogna ricordare, all'orizzonte c'è sempre il gruppo francese Credit Agricole. Che in Italia già è in pianta stabile e in queste settimane osserva da vicino la vicenda Carige e il futuro delle Bcc di Cassa centrale banca. Non è escluso che se la Bce chiedesse più capitale per l'istituto genovese, Credit Agricole possa sostenere l'azionista Ccb diventando partner stabile e magari aprendo il vero assalto a Mps. C'è il tema teorico dell'italianità, ma se gli stranieri devono fare shopping da noi almeno paghino un prezzo congruo. Ciò che è da combattere a tutti i costi sono le svendite. Infine, si aprirebbe di nuovo un partita Italia-Francia e potrebbe essere l'occasione migliore o ideale per Intesa per muovere una volta su tutte su Generali. L'operazione ideata da Messina a gennaio del 2017 non è andata in porto. Adesso è tutto diverso. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/e-finita-lera-delle-banche-a-1-euro-intesa-si-mangia-ubi-per-5-miliardi-2645188802.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="da-quota-100-la-vera-spinta-per-alleggerire-gli-sportelli" data-post-id="2645188802" data-published-at="1766668137" data-use-pagination="False"> Da quota 100 la vera spinta per alleggerire gli sportelli Negli ultimi 18 mesi il computo degli esuberi bancari è arrivato a valere più o meno 15.000 unità. Tantissime persone che sono uscite dal mondo degli sportelli per avviarsi solitamente alla pensione. Una parte di questi esuberi è stata sostenuta dal sistema bancario in piena autonomia. L'altra metà è potuta avvenire grazie a quota 100. La norma leghista inserita nella manovra 2019 ha di fatto consentito l'avvio dei grandi pacchetti di riassetto dei bilanci. Basti pensare che Intesa, lo scorso maggio, ha annunciato 1.000 uscite legate al pilastro leghista e altre 600 agganciate al fondo di solidarietà. Un discorso simile vale per tutti gli altri esuberi del comparto. E ora a posteriori si comprende quanto questa novità pensionistica (della durata di soli tre anni) sia una sorta di risarcimento dopo anni di dieta forzata sui non performing loans, gli Npl. Per almeno due decenni gli istituti hanno erogato credito a maglie larghe. Quasi sempre spinti e incentivati dai vari governi che si sono susseguiti. In fondo, la pratica dei roll over, i fidi continuativi, erano un modo per tenere più alta l'asticella del Pil. Per alcuni un trucco per modificare i dati della congiuntura, per altri un sistema che garantiva alle piccole aziende, in carente asfissia di capitali, di restare in vita. All'improvviso dopo il 2011, i governi a Roma, su input di Bruxelles, hanno cambiato le regole. Di punto in bianco gli Npl sono diventati un tumore da asportare. Per giunta in tempi rapidissimi. Dunque senza possibilità di cura se non con interventi chirurgici. Il valore delle banche è precipitato. Nel frattempo gli istituti hanno dovuto affrontare i tassi negativi e un radicale cambio di passo tecnologico. La rivoluzione è esplosa assieme ai mali tipici dell'Italia: conflitti d'interessi dei manager e degli azionisti. Soci ammanicati e spesso una vigilanza estremamente carente. Ci sono stati morti e caduti. Non stiamo a rivedere la lunga lista dei crac dal Veneto fino a Bari. E - con una storia a sé stante - il salvataggio pubblico del Monte dei Paschi di Siena. Superate le secche peggiori, però, il sistema bancario ha cominciato a capire dove poteva andare a prendere la marginalità necessaria per rilanciarsi e stare in piedi. Innanzitutto, dalle grandi masse di risparmio gestito e, poi, dai nuovi flussi tecnologici. La rivoluzione ha un prezzo umano. Quando i flussi di lavoro cambiano in modo veloce, migliaia di persone devono essere ricollocate (quelle che possono imparare una nuova mansione) e altre vengono espulse. Per questo ultimo tassello serviva quota 100, senza la quale - in poche parole - la grande operazione di Intesa su Ubi non sarebbe potuta avvenire. Nel senso che non ci sarebbe stato l'ambiente adatto per farla fiorire. Ecco perché il consigliere delegato di Intesa, Carlo Messina, ha più volte elogiato la manovra gialloblù. Per lo stesso motivo, l'attuale governo non ha potuto fare marcia indietro. Stoppare in anticipo il corso di quota 100 avrebbe creato migliaia di esodati sul modello di Elsa Fornero. E non avrebbe compreso le necessità del Nord Italia produttivo. Anche su questo tema si è esposto molto Messina. Lo scorso settembre si è rivolto al governo giallorosso e ai suoi supporter esterni come Matteo Renzi. «Non ci può e non ci deve essere contrapposizione tra questo governo e le regioni del Nord. Immaginare di governare contro la Lombardia e il Veneto dove governa, secondo me molto bene, la Lega è un elemento che deve essere tenuto in considerazione», ha detto a un convegno sulle assicurazioni. Il riferimento era soprattutto a Giancarlo Giorgetti e a una buona fetta del Carroccio. Ma c'era anche un messaggio a Sergio Mattarella: attenzione a sostenere troppo a lungo un governo avulso dalla realtà.
Giovanni Malagò (Getty Images)
Adesso si trova in Campania, dopo esser passata tra Lazio, Umbria Toscana, Sardegna, Sicilia e Calabria. Molte regioni verranno ripercorse di nuovo, in lungo e in largo. Il 26 gennaio tornerà invece, dopo 70 anni esatti dalla Cerimonia d’Apertura dei Giochi, a Cortina d’Ampezzo e concluderà il suo tragitto a Milano facendo il suo ingresso allo Stadio di San Siro, la sera di venerdì 6 febbraio 2026. 10.000 tedofori la stanno conducendo tra volti noti e persone comuni. I primi volti noti dello spettacolo e dello sport sono il cantante Achille Lauro, Flavia Pennetta, icona del nostro tennis, vincitrice degli US Open 2015 e di 4 Billie Jean King Cup e Francesco Bagnaia, due volte campione del mondo di MotoGP e una in Moto2. Tantissimi altri ancora e altri ce ne saranno. Anche perché la storia del Viaggio della Fiamma è piena di leggende, come Muhammad Alì ad Atlanta 1996, Cathy Freeman a Sydney 2000 e poi ancora la fondista Stefania Belmondo, ultima tedofora di Torino 2006 vent’anni fa nell’ultima edizione invernale italiana, dopo le frazioni di altri campioni olimpici azzurri come Alberto Tomba, Manuela Di Centa, Silvio Fauner e Deborah Compagnoni (nella foto di copertina). Quattro anni prima, invece, l’intera squadra statunitense di hockey maschile del “Miracolo sul ghiaccio” di Lake Placid 1980 che accese il braciere di Salt Lake City 2002 tra la commozione del pubblico statunitense.
La fiamma olimpica nasce con le prime olimpiadi nell'antica Grecia, dove il fuoco sacro ardeva in onore degli dèi durante i Giochi originali. La tradizione moderna è stata reintrodotta con l'accensione del braciere ai Giochi Olimpici di Amsterdam nel 1928 e la prima staffetta della torcia a Berlino nel 1936. Le torce di #MilanoCortina2026 sono un omaggio al design italiano con uno stile che mette al centro la fiamma. Eleganti. Iconiche. Sostenibili. Si chiamano Essential e portano con sé lo spirito dei Giochi che verranno.
La fiamma paralimpica partirà invece il 24 febbraio 2026 e si concluderà il 6 marzo 2026, giorno della cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici all’Arena di Verona. Sfilerà nelle mani di 501 tedofori per 2.000 chilometri in 11 giorni. “La fiamma paralimpica verrà accesa il 24 febbraio a Stoke Mandeville in Inghilterra, storico luogo di nascita dello sport Paralitico - dichiara Maria Laura Iascone, Ceremonies Director di Fondazione Milano Cortina 2026 -. L’arrivo in Italia coinciderà con l’inizio di un viaggio che focalizzerà l’attenzione e l’entusiasmo verso le Paralimpiadi, amplificandone i messaggi di rispetto e inclusività, e generando un volano di entusiasmo, attesa e partecipazione intorno agli atleti paralimpici”. Dopo l'accensione nel Regno Unito, la fiamma paralimpica animerà 5 Flame Festival dal 24 febbraio al 2 marzo a Milano, Torino, Bolzano, Trento e Trieste, con la cerimonia di unione delle Fiamme il 3 marzo a Cortina d’Ampezzo. Dal 4 marzo, la fiamma raggiungerà Venezia e Padova, per fare il suo ingresso il 6 marzo all’Arena di Verona per la cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici.
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Tra Natale ed Epifania il turismo italiano supera i 7 miliardi di euro di giro d’affari. Crescono presenze, viaggi interni ed esperienze artigianali, con città d’arte e montagne in testa alle preferenze.
Le settimane comprese tra il Natale e l’Epifania si confermano uno dei momenti più redditizi dell’anno per il turismo italiano. Secondo le stime di Cna Turismo e Commercio, il giro d’affari generato tra feste, fine anno e Befana supera i 7 miliardi di euro. Un risultato che non fotografa soltanto l’andamento economico del settore, ma racconta anche un’evoluzione nelle scelte e nelle aspettative dei viaggiatori.
Nel periodo festivo sono attesi oltre 5 milioni di turisti che trascorreranno almeno una notte in una struttura ricettiva: circa 3,7 milioni sono italiani, mentre 1,3 milioni arrivano dall’estero. A questi si aggiunge una platea ben più ampia di persone in movimento: oltre 20 milioni di individui si sposteranno per escursioni giornaliere, soggiorni nelle seconde case o visite a parenti e amici.
Per quanto riguarda i flussi internazionali, la componente europea resta prevalente, con arrivi soprattutto da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Fuori dal continente, si segnalano presenze significative da Stati Uniti, Canada e Cina. Le preferenze delle destinazioni confermano una tendenza ormai consolidata. In cima alle scelte ci sono le città e i borghi d’arte, seguiti dalle località di montagna. Due modi diversi di vivere le vacanze natalizie: da un lato l’attrazione per il patrimonio culturale, i mercatini e le atmosfere urbane illuminate dalle feste; dall’altro la ricerca della neve, degli sport invernali e di un contatto più diretto con l’ambiente naturale.
Alla base di questo successo concorrono diversi fattori. L’Italia continua a esercitare un forte richiamo quando si parla di tradizioni natalizie: dai presepi, in particolare quelli napoletani, ai mercatini dell’arco alpino, passando per i centri storici addobbati e le celebrazioni religiose che trovano a Roma uno dei loro punti centrali. Un insieme di elementi che costruisce un’offerta culturale difficilmente replicabile. Proprio la dimensione religiosa e identitaria del Natale italiano rappresenta un elemento di attrazione per molti visitatori nordamericani e per i turisti provenienti da Paesi di tradizione cattolica, spesso alla ricerca di un’esperienza percepita come più autentica rispetto a celebrazioni considerate eccessivamente commerciali. A questo si aggiunge la varietà climatica del Paese: temperature più miti al Sud e nelle isole per chi vuole evitare il freddo, condizioni ideali sulle Alpi per gli amanti dello sci e della montagna. Un segnale particolarmente rilevante arriva dalla crescita delle cosiddette esperienze, soprattutto quelle legate all’artigianato. Sempre più viaggiatori scelgono di affiancare alla visita dei luoghi la partecipazione diretta ad attività tradizionali: dalla preparazione della pasta fresca alle lavorazioni del vetro di Murano, fino alla ceramica umbra e toscana. È un approccio che indica un cambiamento nel modo di viaggiare, meno orientato alla semplice osservazione e più alla partecipazione.
Questo interesse incrocia diverse tendenze attuali: il bisogno di autenticità in un contesto sempre più standardizzato, la volontà di riportare a casa un’esperienza che vada oltre il souvenir e l’attenzione verso il “saper fare” italiano, riconosciuto come patrimonio immateriale di valore internazionale.
Sul piano economico incidono anche fattori più generali. La ripresa del potere d’acquisto delle classi medie in Europa e negli Stati Uniti, dopo anni di incertezza, ha sostenuto la propensione alla spesa per le vacanze. Il rafforzamento del dollaro favorisce i turisti statunitensi, mentre la fase di stabilizzazione successiva alla pandemia ha contribuito a ricostruire la fiducia nei viaggi. Il periodo natalizio rappresenta inoltre uno degli esempi più riusciti di destagionalizzazione, obiettivo perseguito da tempo dagli operatori del settore. Le strutture ricettive registrano livelli di occupazione elevati in settimane che in passato erano considerate marginali. Anche i collegamenti giocano un ruolo chiave: l’espansione dei voli low cost e il miglioramento dell’offerta ferroviaria rendono più accessibili non solo le grandi città, ma anche destinazioni meno centrali, favorendo una distribuzione più ampia dei flussi.
Accanto ai dati positivi emergono però alcune criticità. La concentrazione dei visitatori rischia di mettere sotto pressione alcune mete, mentre altre restano ai margini. Il turismo di prossimità, rappresentato dai milioni di italiani che si spostano senza pernottare in alberghi o strutture ricettive, costituisce un bacino ancora parzialmente inesplorato. Allo stesso tempo, la crescente domanda di esperienze personalizzate richiede investimenti in formazione e una maggiore integrazione tra operatori locali.
Le festività di fine anno restano comunque un motore fondamentale per l’economia del turismo, in grado di coinvolgere l’intera filiera: ristorazione, artigianato, trasporti e offerta culturale. Un patrimonio che, per continuare a produrre risultati nel tempo, richiede una strategia capace di innovare senza snaturare quell’autenticità che rappresenta il vero punto di forza del sistema italiano.
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I computer che guidano i mezzi non sono più stati in grado di calcolare come muoversi anche perché i sensori di bordo leggono lo stato dei semafori e questi erano spenti. Dunque Waymo in sé non ha alcuna colpa, e soltanto domenica pomeriggio è stato ripristinato il servizio. Dunque questa volta non c’è un problema di sicurezza per gli occupanti e neppure un pericolo per chi si trova a guidare, piuttosto, invece, c’è la dimostrazione che le nuove tecnologie sono terribilmente dipendenti da altre: in questo caso il rilevamento delle luci dei semafori, indispensabili per affrontare gli incroci e le svolte. Qui si rivela la differenza tra l’umano che conduce la meccanica e l’intelligenza artificiale: innanzi a un imprevisto, seppure con tutti i suoi limiti e difetti, un essere umano avrebbe improvvisato e tentato una soluzione, mentre la macchina (fortunatamente) ha obbedito alle leggi di controllo. Il problema non ha coinvolto i robotaxi Tesla, che invece agiscono con sistemi differenti, più simili ai ragionamenti umani, ovvero sono più indipendenti dalle infrastrutture della circolazione. Naturalmente Waymo può trarre da questo evento diverse considerazioni. La prima riguarda l’effettiva dipendenza del sistema di guida dalle infrastrutture esterne; la seconda è la valutazione di come i mezzi automatizzati hanno reagito alla mancanza di informazioni. Infine, come sarà possibile modificare i software di controllo affinché, qualora capiti un nuovo incidente tecnico, le auto possano completare in sicurezza il servizio. Dall’esterno della vicenda è invece possibile valutare anche altro: le tecnologie digitali applicate alle dinamiche automobilistiche non sono ancora sufficientemente autonome. Sia chiaro, lo stesso vale per navi e aeroplani, ma mentre per questi ultimi gli algoritmi dei droni stanno già portando a una ricaduta di tecnologia che viene trasferita ai velivoli pilotati, nel campo automobilistico c’è ancora molto lavoro da fare. Proprio ieri, sempre negli Usa, il pilota di un velivolo King Air da nove posti è stato colpito da un malore. La chiamano “pilot incapacitation” e a bordo non c’era nessun altro che potesse prendere il controllo e atterrare. Ed è qui che la tecnologia ha salvato aeroplano e occupanti: il passeggero che sedeva accanto all’uomo ha premuto il tasto del sistema “Autoland”, l’autopilota ha scelto la pista idonea per lunghezza più vicina alla posizione dell’aereo e alla rotta percorsa, ha avvertito il centro di controllo e anche messo il passeggero nelle condizioni di dichiarare la necessità di un’ambulanza sul posto. L’alternativa sarebbe stato un disastro aereo con diverse vittime. La notizia potrebbe sembrare senza alcuna correlazione con quanto accaduto a San Francisco, ma così non è: il produttore del sistema di navigazione dell’aeroplano è Garmin, ovvero il medesimo che fornisce navigatori al settore automotive. E che prima o poi vedremo fornire uno dei suoi prodotti a qualche costruttore di automobili.
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