2021-06-21
È arrivata l’ora di riaprire i manicomi?
La sanità dimentica le malattie psichiatriche, come dimostra la strage di Ardea. E riformare la legge Basaglia non è più tabùLa psicologa: «Le recenti tragedie impongono una riflessione. Le strutture pubbliche scaricano troppe responsabilità sui privati. In 40 anni le patologie sono cambiate mentre le norme sono rimaste uguali»Lo speciale contiene due articoliLa strage ad Ardea in cui sono rimasti uccisi due bambini e un anziano passante, intervenuto per cercare di evitare la tragedia, vittime di un uomo con problemi psichici che poi si è rinchiuso in casa e si è sparato con la stessa arma, è l'ultimo caso di follia omicida. Una tragedia annunciata, per alcuni osservatori; un dramma che si poteva evitare, come hanno commentato numerosi psicologi. Prima della strage l'uomo aveva dato segni di squilibrio mentale, litigava spesso con i vicini per futili motivi, era facile preda della rabbia e secondo alcune ricostruzioni si sfogava sparando in aria da una pistola ereditata dal padre vigilante. La situazione si era aggravata con la perdita del posto di lavoro e l'addio della fidanzata. Non aveva mai ricevuto un trattamento sanitario obbligatorio e mai si era presentato a un centro di igiene mentale: era stato sottoposto a «consulenza psichiatrica» per uno «stato di agitazione psicomotoria» al pronto soccorso di Ariccia dopo una lite con la madre. Non era in cura per patologie di carattere psichiatrico. Eppure il suo stato psichico peggiorava. Pochi giorno prima della tragedia di Ardea, il 13 giugno, un uomo di 64 anni ha ucciso a Ventimiglia (Imperia), a colpi di arma da fuoco, l'ex compagna di 30 anni dopo averla ripetutamente minacciata, e poi si è tolto la vita. Sulle reti sociali in passato aveva postato due foto che lo ritraevano mentre imbracciava un fucile mitragliatore e prendeva la mira impugnando una pistola. Da tempo l'uomo perseguitava la donna, che a marzo lo aveva denunciato per minacce. L'omicida era anche finito in carcere per molestie nei confronti della ex moglie. Da questi segnali inquietanti e premonitori, che avrebbero dovuto mettere in allarme chi gli era vicino, si è arrivati al tragico epilogo. Ancora una volta l'interrogativo: si poteva evitare?Sembra di leggere le cronache degli Stati Uniti che riportano casi di folli che uccidono per strada ignari passanti o entrano nelle scuole e fanno strage di ragazzini innocenti. Un mix di violenza e pazzia. Secondo la criminologa Antonella Cortese, presidente dell'Accademia italiana delle scienze di polizia investigativa e scientifica, «la tragedia di Ardea si poteva evitare perché l'omicida aveva mostrato da tempo di essere pericoloso. Era recidivo, non era la prima volta che sparava così, in aria, come se stesse nel Far west». Ma nonostante questi indicatori di un forte squilibrio mentale, nessuno è intervenuto ad aiutare quest'uomo: «Possibile che le persone a lui vicine non fossero consapevoli che rappresentava un pericolo per sé stesso e per la comunità? Bisogna sempre attendere la tragedia per affrontare il tema della follia?».La criminologa ha una risposta netta a queste domande: la paura. «È la paura che blocca chi entra in contatto con la malattia mentale. C'è la convinzione generalizzata dell'incertezza della pena, dell'incapacità delle strutture pubbliche di farsi carico del problema. Sono numerosi i casi di condannati per omicidio che hanno scontato pochi anni in carcere e poi sono stati trasferiti agli arresti domiciliari. E allora la gente preferisce far finta di non vedere». La soluzione secondo la criminologa è di modificare la normativa eliminando il rito abbreviato che di solito sconta la pena di un terzo.Ma in questi drammi, in cui l'omicida ha problemi di squilibrio psichico, emerge anche l'inadeguatezza del sistema sanitario, incapace di assistere in continuità quanti hanno bisogno di cure adeguate e di una terapia a lungo termine, non semplicemente di interventi episodici. I motivi sono vari, dalla mancanza di personale ai fondi insufficienti rispetto al fabbisogno. Alla salute mentale va solo il 3,5% del Fondo sanitario nazionale. Un budget risicato, se confrontato con Francia, Germania e Regno Unito che destinano a questo settore circa il 10% dei fondi della sanità pubblica.Il risultato è che nel nostro Paese c'è solo uno psichiatra ogni 10.000 abitanti e uno psicologo ogni 12.000, come attesta il Report sul personale del Servizio sanitario nazionale del ministero della Salute. Dallo studio viene fuori che la rete dei centri di salute mentale, dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura, è disomogenea nel territorio, e troppo spesso carente. La gestione della sanità in carico alla Regioni crea inoltre una difformità di interventi a livello nazionale. Oltre ai fondi manca il personale, falcidiato da prepensionamenti non compensati da un adeguato turn over. Il Rapporto 2018 sulla salute mentale realizzato dal ministero della Salute calcola che servirebbero oltre 14.000 unità in più. Manca oltre un terzo degli addetti.Uno studio realizzato da Fabrizio Starace, presidente della Società di epidemiologia psichiatrica (Siep) e componente del Consiglio superiore di sanità, stima che la capacità di rispondere al bisogno assistenziale da parte dei dipartimenti di salute mentale è circa il 55% di quanto sarebbe necessario. «E siccome c'è una stretta correlazione tra la consistenza numerica del personale in servizio e la capacità assistenziale che i servizi esprimono, la riduzione del personale determina una selezione a maglie sempre più strette dei bisogni che saranno presi in carico dai servizi pubblici, con il conseguente dirottamento di una quota sempre più rilevante di utenza a strutture e professionisti privati», commenta Starace.Sono valutazioni che appartengono al periodo della pre-pandemia e che andrebbero riviste alla luce della recentissima indagine dell'Organizzazione mondiale della Sanità su 130 Paesi che ha mostrato «l'impatto devastante del Covid-19 sull'accesso ai servizi di salute mentale e sottolineato l'urgente necessità di maggiori finanziamenti». La pandemia ha causato una situazione allarmante di disagio psichico che continuerà nel tempo, in particolare tra gli adolescenti, rimasti a lungo isolati in casa e senza scuola, che manifestano un aumento dei gesti di autolesionismo fino ai tentativi di suicidio, e una crescita dei disturbi del comportamento alimentare. Il Recovery plan che contiene i principi di sanità territoriale e di integrazione socio sanitaria rappresenta una occasione per potenziare e riqualificare i servizi pubblici per la salute mentale. È una cornice che va riempita di contenuti e al momento manca un progetto.
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